A pagina 9 dell'UNITA' di oggi, Umberto De Giovannangeli firma l'articolo "Ayman, 19 proiettili per spegnere i suoi tredici anni", sulla tragica morte della tredicenne palestinese Ayman al-Hams. Si deve anzitutto osservare che De Giovannangeli non riprende la notizia dell'apertura di una commissione d'inchiesta sulla vicenda.
Inoltre pone in dubbio la versione dei soldati israeliani con due argomenti che non appaiono convincenti: la bambina, come spiega la madre "aveva una grande paura dei soldati israeliani e degli spari. Non si sarebbe mai avvicinata loro, di sua spontanea volontà". Ma potrebbe benissimo essersi trovata in quella situazione per sbaglio. Inolttre, come dice il padre: "Mai avrebbe accettato di fare da esca per qualche cecchino". Ma anche in questo caso il consenso della bambina non appare necessario.
Il fatto che la bambina sia stata colpita alla testa poi, non significa necessariamente che i soldati abbiano mirato a quella parte del corpo.
Ecco il pezzo.Dorit Aniso, 2 anni. Yuval Abebeh, 4 anni. Ayman al-Hams, 13 anni. Bambini israeliani, bambini palestinesi. Bambini uccisi dai razzi assassini di Hamas. Bambini crivellati dai colpi di mitra dei soldati israeliani. I «Giorni del Pentimento» - nome in codice dell’offensiva di Tsahal nel Nord della Striscia di Gaza - vedono la luce con la morte dei due cuginetti di Sderot - feriti mortalmente mentre giocavano nel piccolo cortile davanti alla loro casa - e proseguono con 28 bambini e adolescenti palestinesi (due, Sliman Abul Foul e Raed Abu Zeid, sono stati feriti mortalmente ieri nel campo profughi di Jabaliya) uccisi negli scontri a fuoco che investono il campo profughi di Jabaliya e altre aree di Gaza. A questa strage di innocenti vogliamo dare il volto, il sorriso, il corpo esile di Ayman al-Hams, 13 anni, uccisa nei giorni scorsi dal fuoco di militari israeliani mentre era diretta a scuola.
Il racconto inizia...dalla fine. Dalla testimonianza del dottor Ali Mussa, il direttore dell’ospedale Abu Yussef al-Najar di Rafah. A distanza di giorni, il dottor Mussa non riesce a trattenere la commozione. Il dottor Mussa ricorda bene Ayman. Era una bambina mingherlina, dice, e mostrava appena otto anni. Eppure i soldati israeliani non hanno esitato a colpirla ripetutamente alla testa, al volto, sul collo. «Da tempo non vedevo ferite del genere», dice il dottor Mussa. Non è stata una «pallottola vagante» a porre fine alla vita di Ayman al-Hams.
Al termine dell’autopsia sul corpo martoriato della bambina, il dottor Mussa ha contato 19 proiettili. Ricostruiamo le ultime ore della breve vita di Ayman dal racconto di Zahira, la giovane madre. «La mia bambina - dice Zahira - era andata come tutti i giorni a scuola». Che si sia avvicinata all’avamposto israeliano Ghirit, fra la Striscia di Gaza e il territorio egiziano, lo escludono senz’altro. «Ayman - spiega al madre - aveva una grande paura dei soldati israeliani e degli spari. Non si sarebbe mai avvicinata loro, di sua spontanea volontà».
La ricostruzione fornita dai responsabili militari israeliani è molto complessa. I soldati del fortino Ghirit sostengono che in precedenza un cecchino palestinese, appostato sul tetto di una casa di Rafah, aveva sparato contro di loro ed era stato ucciso. Poco dopo Ayman ha abbandonato la zona palestinese di Rafah ed è penetrata nella cosiddetta «zona vietata» di circa 400 metri. I soldati hanno sparato in aria - secondo questa ricostruzione - ma la piccola ha proseguito e ha lanciato il proprio zainetto verso il cancello del fortino. In quel momento un altro cecchino palestinese ha aperto il fuoco sui soldati, mentre la bambina si dava alla fuga. In quello zainetto - secondo le fonti - poteva esserci un ordigno. I soldati hanno sparato su Ayman contemporaneamente da diverse postazioni. Questo spiegherebbe forse l’elevato numero di proiettili: ma non la mira alla testa. Dopo alcune ore, artificieri hanno finalmente esaminato lo zainetto. All’interno non c’erano ordigni, ma solo quaderni. Mohammed, il padre di Ayman, si ribella a questa ricostruzione:
«È come se avessero ucciso la mia bambina per una seconda volta. Ayman era una bambina che aveva paura di tutto. La notte sobbalzava al minimo rumore, aveva chiesto di dormire con noi genitori. Mai avrebbe accettato di fare da esca per qualche cecchino».
Il mondo di Ayman è quello che prende forma dai disegni della bambina. Un mondo popolato da mostri volanti (gli elicotteri Apache israeliani), di bimbi strappati dalle mani delle madri, di case rase al suolo. Il mondo di Ayman era a due colori: nero, il buio, e il rosso, il colore del sangue. Ma il mondo di Ayman era anche un mondo di sogni. «La bambina - racconta Amira, la sua maestra - aveva una fantasia fervida, e ricordo la sua felicità il giorno in cui era venuta in classe con un libro di Henry Potter. Glielo aveva regalato una giovane cooperante americana».
Ayman volava con la fantasia assieme al simpatico maghetto. Volava via dalla realtà segnata dalla violenza e dalla miseria del campo profughi in cui viveva; sognava con Henry Potter straordinarie avventure in un mondo da fiaba. Ma quel sogno si è spezzato in una mattinata come tante altre a Rafah: una mattinata di guerra e di morte.
Cosa sia il mondo dei bambini di Gaza, lo spiega padre Manuel Musallam, parroco della chiesa della Santa Famiglia a Gaza e direttore della stessa scuola parrocchiale. «Un bambini che avrà 12-13 anni e che frequenta la mia scuola - racconta il religioso - era seduto con il papà, insegnante nel mio istituto, e la mamma, e stava cenando in casa sua. Ad un certo momento, il bambino ha cominciato a lamentare qualcosa al braccio, e ha detto al padre: "papà, mi fa male la mano". Il padre guarda il braccio del bambino: due proiettili, arrivati da fuori, sparati dall’esercito israeliano, erano entrati in casa; uno aveva penetrato al mano del bambino, il secondo era entrato nel suo corpo, finendo vicino al cuore». «Lo hanno portato immediatamente all’ospedale - continua il suo racconto padre Musallam - dove sono intervenuti per curare la mano, ma non sono stati in grado di intervenire sul secondo proiettile. Questa settimana l’hanno portato in America dove forse questo bambino potrà essere salvato». Se riuscirà a sopravvivere, Ahmed, questo il nome del bambino, resterà negli Usa, ospite di alcuni lontani parenti. Se sopravvivrà, il piccolo Ahmed potrà sognare una esistenza normale. E potrà conoscere al cinema il piccolo maghetto. Un sogno che Ayman custodiva nel suo zainetto, il giorno in cui è morta crivellata di proiettili
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