Finalmente anche i quotidiani a grande diffusione si accorgono della minaccia nucleare e missilistica iraniana. Mimmo Càndito firma,a pagina 7 sulla STAMPA di oggi, 06-10-04, l'articolo "L'Iran può colpire a duemila chilometri" in cui tuttavia non sembra del tutto consapevole della portata del problema. Non cita le esplicite minacce di sterminio rivolte dagli ayatollah a Israele e ritiene un'"ipotesi inquietante" la prospettiva di un raid israeliano per bloccare il programma nucleare iraniano. A questo proposito ricorda, a proposito, il raid dell'81 contro il reattore iracheno di Tammuz, senza osservare che è grazie a quell'azione che Saddam Hussein non è venuto in possesso della bomba atomica: la storia ha dato ragione a Israele su un'azione che, quando venne portata a termine, fu condannata e percepita come destabilizzante.
Ecco il pezzo:La politica non si esercita con frasi ufficiali, o annunci istituzionali dettati tra bandiere e ottoni; questa è la parte meno significativa, polvere negli occhi dell'opinione pubblica. Ciò che in realtà conta sono i messaggi in codice, le allusioni e i segnali velati che i politici si scambiano attraverso i massmedia, perché in quelle parole stanno nascosti fatti, impegni, minacce, che, loro sì, possono cambiare la Storia. Per questo non bisogna prendere sotto tono quello che ieri l'ex-presidente Rafsanjani ha detto senza dirlo: che l'Iran ha un missile capace di colpire Israele.
Naturalmente, la sua frase non è stata tanto diretta; diceva semplicemente: «Vogliamo far sapere che l'Iran oggi possiede un razzo con una gittata superiore ai 2000 chilometri». Pareva, più o meno, un annuncio di politica militare, una dichiarazione che rafforza l'orgoglio e la capacità operativa delle forze armate iraniane in un momento nel quale la guerra sta, minacciosa, addosso alle frontiere orientali di Teheran. Pura tattica, insomma (anche perché lo «Shahab-3» era stato testato già ad agosto). Solo che poi quelle parole erano seguite da una di quelle frasi ambigue, che dicono altre cose rispetto a quello che lasciano ascoltare, e allora il messaggio che l'Iran sta lanciando al mondo s'è svelato in tutta la sua drammaticità. Aggiustandosi il turbante con un pizzico di nervosismo davanti alla telecamera, Rafsanjani ha voluto aggiungere: «Tutti coloro che sanno di queste tecnologie sono perfettamente in grado di capire che chiunque ne sia in possesso può anche spingersi più avanti, seguire tutte le tappe successive».
A questo punto, le orecchie che dovevano ascoltare un'intimidazione neanche mimetizzata non erano più quelle di Sharon; destinatario diretto era diventato davvero il mondo intero. Perché, anche se Gerusalemme si trova nei 2000 chilometri di gittata, la minaccia che sta dentro «le tappe successive» significava che dal missile a testata convenzionale si può anche andare oltre e precipitarsi nella spirale nucleare.
Gli esperti dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica non credono che Teheran possieda già la bomba atomica, ma sono fortemente sospettosi che ne stia ad appena un passo. E il monitoraggio stretto che - su sollecitazioni costanti di Washington - conducono sui processi di arricchimento dell'uranio in corso in Iran si servono ormai d'una rete di intelligence e di controllo che mette assieme lavoro sul campo e lettura dai satelliti minuto dopo minuto. Infatti, l'arricchimento dell'uranio è una pratica che può essere certamente destinata a creare combustibile per le centrali nucleari, ma ugualmente può servire a realizzare la bomba atomica; il procedimento è praticamente identico, se ne può cogliere la destinazione reale soltanto nell'ultima fase di lavorazione. Quando ormai è troppo tardi.
Israele, che pare sapere molte più cose di quante ne dica pubblicamente, ha uno scenario di attacco preventivo contro l'Iran. Questa operazione, con un nome in codice passato ormai al top delle analisi dei servizi di spionaggio, da qualche mese sta circolando con troppa insistenza nei circuiti diplomatici e nei massmedia più attenti agli equilibri internazionali: New York Times, Wall Street Journal, e Financial Times ne hanno dato ripetutamente notizie e valutazioni. Può essere anche soltanto una tattica di Gerusalemme che attraverso quei giornali lancia moniti velati a Teheran; però può essere un vero lavoro d'indagine dei massmedia, e l'ipotesi si fa allora inquietante.
Infatti, è memoria comune di chi studia e segue le storie più drammatiche del Medio Oriente il ricordo di quanto accadde nel giugno dell'81, quando gli F-16 israeliani passarono rasenti sul territorio giordano (in modo da evitare l'occhio del radar) e arrivarono inaspettati e precisi sul reattore nucleare che, con l'aiuto di Parigi, Saddam stava facendo realizzare a Tamuz, poche decine di chilometri da Baghdad; e lo distrussero. I missili avevano testate particolari, studiate per creare una prima esplosione di penetrazione e poi la vera esplosione distruttiva; riuscirono ad arrivare fino al nucleo sotterraneo del reattore Osirak, e lo sbriciolarono, completamente. Quel 7 di giugno, finì l'ambizione nucleare di Saddam Hussein.
Con l'Iran la faccenda è un po' più complicata, i tempi sono diversi, la sensibilità del mondo islamico è molto più reattiva e determinata, i rischi d'una rottura d'ogni possibile equilibrio di contenimento assai più alti. Israele fa calcoli strategici che non sempre coincidono con quelli americani o, ancor meno, con quelli dell’Onu. E dentro l'Iran la lotta tra riformisti e integralisti sta segnando un forte arretramento d'ogni politica di moderazione, soprattutto dopo la pesante sconfitta delle liste di Khatami nelle elezioni di febbraio: in Parlamento, infatti, sta per essere votato un progetto di legge che chiede una «ripresa senza restizioni» della politica nucleare, con voci - non poche voci - che spingono per un'uscita dell'Iran dal Trattato di non-proliferazione nucleare.
Il 25 novembre l'Aiea deciderà possibili sanzioni contro Teheran, nonostante il tentativo di mediazione di Francia Inghilterra e Germania (l'Italia che, in tempi passati, aveva una sua importante politica iraniana è oggi assente dal tavolo delle negoziazioni); e queste sanzioni - fanno sapere gli Usa - potrebbero arrivare anche al blocco marittimo dei porti iraniani, con il fermo delle esportazioni di petrolio. Sarà difficile, certo, perché il mondo è assetato di petrolio, e comunque al vertice di novembre sull'Iraq, al Cairo, il segretario di Stato, Colin Powell, si vedrà faccia a faccia con il ministro degli Esteri iraniano. La politica fa il proprio mestiere, non sempre le sue parole significano quello che sono; però quel missile, intanto, sta sulla rampa di lancio.
AVVENIRE affida improvvidamente il commento delle notizie provenienti dall'Iran a Maurizio Blondet, che nell'editoriale a pagina 2, "Iran, partita a scacchi sopra l'abisso" descrive, senza fare alcuna distinzione, Israele e Iran come "due gorilla" impegnati in un pericoloso confronto iniziato "in febbraio" quando "Israele ha ricevuto dagli Usa 102 aerei F.161 equipaggiati con serba-toi supplementari per raggiungere l'Iran". Nessun cenno ai proclami genocidi degli ayatollah, mentre a questi viene attribuita una dichiarazione fin qui sconosciuta per la quale "la sospensione del programma nucleare è materia di negoziato". In realtà Teheran, che nemmeno riconosce ufficialmente di avere un programma di armamento nucleare, e non lo può dunque dichiarare "oggetto di negoziato", si è detta disponibile a interrompere l'arricchimento dell'uranio (primo passo per la costruzione delle bombe) se... la comunità internazionale cesserà le ispezioni per verificare che l'arrichimento non abbia luogo.
Una proposta che non ha bisogno di commenti.
Ecco il pezzo:L'ayatollah più potente di Teheran dopo la guida suprema Khamenei, Hashemi Rafsanjani, ha annunciato che l'Iran dispone di missili con 2000 chilometri di gittata. È l'ultima mossa della partita sull'abisso che da mesi si gioca, nella disattenzione delle opinioni pubbliche, sulla scacchiera centro-asiatica. Ricapitoliamo le mosse: in febbraio, Israele ha ricevuto dagli Usa 102 aerei F.161 equi-pag-giati con serba-toi supplementari per raggiungere l'Iran: il segnale che se il regime di Teheran continua a sviluppare il suo programma nucleare, si espone a un attacco preventivo. A giugno, per rafforzare il messaggio, Sharon ha acquistato dagli Usa 5mila bombe teleguidate, fra cui 500 "bunker buster", capaci cioè di perforare bunker sotterranei con muri di cemento spessi due metri. Teheran ha risposto annunciando pubblicamente d'essere oggi in grado di produrre l'esafluoruro di uranio, il gas che serve ad arricchire il materiale fissile per usi militari. Inoltre, ha sperimentato una nuova versione del suo missile Shahab, la cui gittata è passata da 1200 a 1500 chilometri: certo con l'assistenza discreta di Mosca, visto che lo Shahab è una versione locale del vettore intercontinentale sovietico SS-9. Inoltre Putin - che partecipa alla partita con mosse a sorpresa - ha recentemente reso noto che «la collaborazione nucleare fra Mosca e Teheran obbedisce alle regolamentazioni internazionali», e nessuna autorità (l'Onu) ha diritto di proibirla. Gerusalemme minaccia quasi ogni giorno di «prendere le misure di autodifesa» che riterrà necessarie. Il lato comicamente tragico di questa sfida a colpi di pugni sul petto è che, presa per sé, ciascuna delle mosse dei due gorilla è intesa a scongiurare il rischio più temuto da entrambi, nella folle logica delle deterrenza. Teheran ha pur chiarito che «la sospensione del programma nucleare è materia di negoziato»: insomma che può rinunciarvi, se riceverà qualche tipo di garanzia: oggi non ne ha, essendo nella lista americana degli "Sta ti canaglia" passibili di attacco preventivo. Quanto ad Israele, i suoi esperti temono che l'attacco preventivo possa rivelarsi tutt'altro che uno scacco matto risolutore. «La nostra intelligence sull'Iran è debole», ha ammesso Reuven Pedatzur, analista israeliano. Secondo la rivista militare Jane's, le installazioni atomiche iraniane sono sparse e probabilmente duplicate al modo sovietico. Da una parte, imporre sanzioni è impossibile data l'attuale sete mondiale di greggio (e l'Iran ne produce 2,6 milioni di barili al giorno). Dall'altra, un attacco preventivo lascerebbe vulnerabile Israele, Paese vasto come la Puglia, a una ritorsione rovinosa: proprio a segnalare questo serve l'annuncio iraniano della lunga gittata acquisita dai missili. Ieri, gli Usa hanno detto che «non si vede ragione per offrire incentivi all'Iran» in cambio della rinuncia alle bombe. Sullo sfondo, una corsa all'atomica accelera in Asia: Corea e perfino Giappone hanno programmi, perché la Corea del Nord ha dimostrato che solo la Bomba impone rispetto. Questa è la partita, e queste le mosse dei giocatori. Ciascuna intesa a distogliere l'avversario dalla successiva, ciascuna conduce ad una nuova sfida che esige una sfida ulteriore. Ad ogni mossa, l'impensabile orrore appare più vicino.
Mentre i quotidiani a grande tiratura che in passato avevano quasi ignorato le vicende iraniane oggi scoprono il pericolo, Il Manifesto, che grande spazio aveva dedicato alla sua sistematica minimizzazione e ad accuse di allarmismo contro Stati Uniti e Israele, sceglie di relegare l'annuncio di Rafsanjani in un trafiletto di 18 righe, in piccoli caratteri, a pagina 5: "Iran missili da 2000 chilometri".
Ecco il pezzo:L'Iran ha aumentato la gittata dei suoi missili a 2.000 chilometri. Con il che anche l'Europa è a portata di tiro. L'annuncio del rafforzamento balistico è stato fatto ieri dall'ex presidente Rafsanjani, citato dall'agenzia ufficiale Irna. «Se gli americani attaccheranno l'Iran, il mondo cambierà...Non oseranno fare un simile errore» ha anche dichiarato l'alto clerico in un discorso tenuto in occasione di una mostra dedicata allo Spazio e alla Sicurezza Nazionale. Gli esperti militari avevano finora posto la capacità di tiro iraniana a 1.300 chilometri.
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