Da pagina 3 del Foglio di oggi, 30-09-04, l'articolo "Gli ebrei? "cospiratori dell'11/9, "nemici eterni". In onda a Riad"Roma. Che opinione hanno dell’"ebreo"
una decina di sauditi scelti a caso per strada?
A questa domanda ha pensato bene di
rispondere con una trasmissione ad hoc la
televisione privata (saudita) Iqra tv. "Lei come
essere umano sarebbe disposto a stringere
la mano a un ebreo?", esordisce l’intervistatore.
"Certamente no – replica un ragazzo
sui vent’anni – per motivi religiosi e
per via di quello che accade in Palestina. Ci
sono molte ragioni che non mi consentono di
stringere la mano a un ebreo". Stessa domanda
a un altro giovane e stessa sicurezza:
"No perché gli ebrei sono nostri nemici per
l’eternità. Gli ebrei assassini violano tutti gli
accordi". Convinzione granitica anche da
parte del terzo interpellato, e dal quarto che
rifiuterebbe la mano tesa di un ebreo perché
stringendola sarebbe poi costretto ad
amputare la propria. Il giornalista di Iqra tv
insiste: "Se fosse un bambino a chiederle chi è un ebreo lei cosa direbbe?". Il quinto
uomo sorride : "Gli ebrei sono nemici di Allah
e del suo profeta". Il sesto aggiunge: "L’ebreo
occupa le nostre terre".
La telecamera si sposta sul bel volto di
una ragazza velata di bianco, dice: "Naturalmente
gli ebrei sono gli assassini del profeta".
"La collera di Allah è su di loro – aggiunge
l’ottavo intervistato, un giovane con
barba e occhiali – tutti gli ebrei deviano dalla
strada della giustizia, sono gli esseri più
sporchi sulla faccia della terra, perché pensano
soltanto a se stessi". Per lui la soluzione,
"chiara a tutti" non può che essere una:
"Se soltanto i musulmani dichiarassero il
jihad… Ci sono Stati musulmani con 60-70
milioni di abitanti. Se lasciamo che uno solo
di questi Stati marci su Israele, anche senza
armi, schiaccerà tutti gli ebrei facendo di
loro carcasse marce sotto i nostri piedi". Per
il ragazzo dall’aria studiosa non basta il sostegno finanziario per le missioni dei terroristi
suicidi. "Non è sufficiente che uno Stato
dica: siamo con voi (con i palestinesi)". La
sua invocazione è perentoria: "Combattiamo
tutti il jihad!".
Di jihad si parla spesso a Iqra tv, come documenta
il monitoraggio di Memri (Middle
East Media Research Institute). Dai teleschermi
della tv, che fa delle tavole rotonde
con i mufti un leitmotiv, hanno parlato Youssef
al Qaradawi e gli altrettanto stimati
Sheikh Abdallah Muslih ed il Dottor Nawar
Nur. Se a Iqra tv al Qaradawi ha preferito
concentrarsi sulla "disobbedienza femminile",
in tema di ebrei e di jihad Muslih e Nur
non si sono risparmiati. "Non c’è niente di
sbagliato (negli attacchi suicidi) se causano
un grave danno al nemico. Non solo – ha incalzato
nel suo programma settimanale Muslih,
presidente della Commissione scientifica
sul Corano e la Sunnah della Lega mondiale musulmana – possiamo dire che, se l’operazione
crea un grave danno, è una buona
operazione". Se a saltare sono sauditi, algerini
o siriani "tutto ciò è vietato fratelli!", ha
chiarito . Per Nawar Nur e il figlio Hazem
Saleh Abu Ismail i bersagli sono i soliti
ebrei. In un commento sull’anniversario
dell’11/9 sottolineano che "gli attacchi non
hanno danneggiato la reputazione dell’islam
negli Stati Uniti". I due, spiega il conduttore,
devono saperne qualcosa: si dedicano al
proselitismo proprio negli Stati Uniti. "Non
è neanche stato provato che siano stati musulmani
– dice Nur – non c’è stata nemmeno
un’indagine, sono confusi su quello che è accaduto
ed è per questo che così tanta gente
si converte all’islam". Rincara la dose il figlio:
"Questi eventi sono stati fabbricati per
distorcere l’immagine dell’islam". Ma chi sono
i cospiratori? Che domanda: "Chiaramente
gli ebrei".
A pagina 1 dell'inserto l'articolo di Carlo Panella "Se l'Europa bluffa, la Turchia di Erdogan ha una carta di riserva"L’ammissione o no della Turchia nell’Unione
europea è oggetto di dichiarazioni
di leader politici franco-tedeschi caratterizzate
da una pericolosa superficialità e
ignoranza della complessità del problema,
ben rispecchiate nella frase para razzista
usata a proposito dal presidente della Commissione,
Romano Prodi, un anno fa: "Mamma,
li turchi!". In assenza di un’intelligenza
politica collettiva, di un dibattito strategico
serio, di una cultura politica condivisa, il tema
è infatti affrontato secondo parametri
"europei" formali. La Turchia entrerà o no
in Europa se "rispetterà i parametri di Copenaghen".
Il metodo delle procedure unificate
e omnivalenti che soppianta quello dell’analisi
politica – come si trattasse di stabilire
la lunghezza dei cetrioli comunitari – diventa
così merito. Il disastro è che questi parametri
sono inadeguati a decidere e a formare
una valutazione utile, in un senso o
nell’altro, perché non contemplano la specificità
unica del caso di una Turchia che chiede
di entrare nell’Ue forte del suo essere l’unica
nazione islamica a democrazia matura.
I parametri di Copenaghen sono stati infatti
definiti per risolvere quello che era il
problema del 1993: l’ammissione dei paesi
di "democrazia popolare". Applicarli oggi è
un "non senso". Essi, infatti, si dilungano sul
tema – allora cogente – del pieno esercizio
della proprietà privata, della libertà economica
e sociale, del pluralismo, del superamento
della proprietà dello Stato dei mezzi
di produzione, di liberalizzazione dell’agricoltura
e dei commerci, e ignorano il delicato
e fondamentale problema della laicità
dello Stato, che era acquisito e scontato nei
paesi ex comunisti. Ma questo è invece il tema
centrale in una nazione musulmana.
Questo è invece il primato, l’originalità di
una Turchia kemalista in cui questa laicità,
così come la piena democrazia, è stata garantita
dall’ingerenza costituzionale dei militari,
del vertice delle Forze armate che
presiedeva il Consiglio per la sicurezza nazionale.
Un Consiglio con funzioni di Corte
costituzionale, presidio non solo di laicità,
ma anche di democrazia. Grazie a questo
Consiglio per ben due volte, infatti, le Forze
armate turche hanno "sospeso" la democrazia,
sconfitto nel 1960 un golpe di Menderes
e nel 1980 un terrorismo devastante, e poi
hanno spontaneamente riconsegnato il paese
alla libera dialettica democratica. Oggi questo ruolo dei militari turchi viene
ovviamente abbattuto su richiesta dell’Ue, il
Consiglio di sicurezza nazionale è sterilizzato,
a dimostrazione di quanto questo meccanismo
dei parametri sia sbagliato. Il partito
islamico Akp del premier Tayyp Erdogan ha
infatti tutto l’interesse a smantellare il controllo
dei militari sulla laicità dello Stato
(come pensa un’Europa che crede che il suo
Montesquieu sia applicabile meccanicamente
anche alla società islamica) e con ciò
l’Ue apre le porte proprio a un’islamizzazione
– già iniziata – dello Stato turco. Il tutto,
naturalmente, senza neanche che i vertici
europei se ne accorgano.
Ma l’Europa non vede, non discute, non si
preoccupa di molte altre cose che riguardano
la Turchia. Non valuta il fatto che il suo
attuale governo a simpatia islamica è in
realtà il frutto episodico di una legge elettorale
anomala e mal scritta che assegna il 66
per cento dei seggi parlamentari a un partito
che ha solo il 34,29 per cento dei suffragi
e che esclude, con un incredibile sbarramento
al 10 per cento, i partiti storici (in crisi
cronica) permettendo solo la presenza di
due forze politiche in Parlamento. Ma l’Europa
non sa e non valuta, soprattutto, che i
vari "mamma li turchi!" di Prodi e dei leader
della vecchia Europa franco-tedesca,
hanno già spinto il governo di Erdogan a delineare
un’alternativa strategica all’ingresso
nell’Unione europea. Alternativa praticabile
con profitto, quanto pericolosa e destabilizzante
per l’Europa. La strategia alternativa prevede che nel
caso l’Ue non sappia comprendere e apprezzare
la scelta storica dei turchi di entrare
in occidente, di sentirsi occidente,
svolta epocale, Ankara non farà altro che riproporre
lo schema che ha funzionato per 16
secoli a Istanbul, prima con i bizantini, poi
con gli ottomani: egemonizzare la sponda
sud del Mediterraneo, il Caucaso e penetrare
nell’Asia centrale turcofona (e ricchissima
di petrolio). E’ una strategia praticabile,
perché si basa su una novità della Turchia
di oggi, che la differenzia da quella degli ultimi
secoli: il ritmo di espansione della sua
forza economica, del suo sviluppo nella modernità
e la sua coesione politica interna.
Tutta la storia recente d’Europa, dall’avventura
napoleonica in Egitto in poi, è stata condizionata da una progressiva erosione di
tipo coloniale di un impero ottomano che è
stato in condizioni preagoniche per più di
un secolo. Gigante perennemente impermeabile
alla modernità, tenuto assieme solo
da un gigantesco apparato amministrativo
e da un esercito relativamente efficiente
(oltre che dall’eclissi totale di un mondo arabo
sottomesso, prono e per cinque secoli incolto),
l’impero ottomano era forte solo della
sua debolezza e fu sbocconcellato pezzo a
pezzo ora da una, ora dall’altra potenza europea
(Italia inclusa, in Libia). Oggi, invece,
il "sistema Turchia" è forte economicamente
(ha un tasso di sviluppo annuo dell’8 per
cento e un’inflazione a una cifra) e altrettanto
lo è politicamente e culturalmente.
Una rinnovata e pacifica leadership economico-
politica della Turchia del mondo arabo-
islamico è dunque praticabile e può svilupparsi.
Se Ankara sarà ammessa in Europa,
si consoliderà a tutto vantaggio del vecchio
continente. Ma è indubbio che questa
leadership mediterranea potrà svilupparsi
anche se Ankara sarà rifiutata dall’Ue. In
questo caso, però, vi potranno essere aspetti
non simpatici per l’Europa costretta a confrontarsi
con un paese forte che rappresenta
sul mediterraneo un punto di vista asiatico,
oggi caratterizzato da molte "asprezze"
religiose, politiche e culturali nei confronti
dell’occidente. Come spesso succede, anche
in questo caso si può leggere il futuro guardando
a come questa nuova strategia si rapporta
alla pietra dello scandalo della modernità:
lo Stato degli ebrei, Israele.
La Turchia, si sa, pur avendo votato nel
1947 in sede Onu contro la nascita di Israele,
carta di riserva
Israele,
dagli anni 50 in poi è stato il più fedele alleato
mediterraneo di Gerusalemme. Lo è
stata perché alleata degli Usa e inserita nel
blocco Nato; perché avversaria dell’Urss e
delle sue relazioni con i regimi arabi che solo
sull’odio per Israele si giustificavano; perché
la comunità ebraica è integrata in una
nazione turca che non conosce l’antisemitismo;
perché, infine, i turchi mantengono un
certo disprezzo per gli arabi che hanno dominato
per 400 anni e che mai hanno avuto
forza e fierezza di ribellarsi al loro dominio.
Il governo di Erdogan ha conservato alta
questa alleanza: sono continuate le manovre
navali congiunte tra le due flotte; durante la
guerra del 2003 contro Saddam le coste
israeliane erano protette da navi turche;
continua la collaborazione nell’industria
bellica ed è stato firmato un contratto strategico
per la fornitura di 50 milioni di metri
cubi d’acqua l’anno a Gerusalemme. Ma Erdogan
ha anche iniziato una strana, pericolosa,
presa di distanze: due settimane dopo
la distruzione di case a Gaza per bonificare
i tunnel del contrabbando d’armi di Hamas,
dunque a freddo, ha accusato Israele di
scelte spregevoli. Da quel momento in poi le
relazioni formali tra i due Stati si sono fatte
critiche. Passate poche settimane si è capito
il perché di quelle parole di Erdogan: a
sorpresa la Turchia è stata infatti nominata
al vertice della Organizzazione della conferenza
islamica, che raccoglie ben 54 paesi
musulmani, organizzazione sinora egemonizzata
dai sauditi, cui Ankara sino a pochi
anni fa aderiva con riserva, per rispetto della
propria Costituzione laica. Organizzazione,
ovviamente, fortemente antisionista.
Questa nuova leadership musulmana di alta
levatura politica – più che sostanziale –
viene dunque ad arricchire la dote che la
Turchia di Erdogan intende offrire all’Europa
in caso di nozze. Se però sarà ripudiata
prima ancora del matrimonio, o se sarà
costretta a una umiliante attesa di 15-20 anni
(come i geniali strateghi di certa Europa
intendono fare), si può stare tranquilli che
Ankara si cercherà altri rapporti, altre relazioni
e offrirà a un mondo islamico ostile all’occidente
quel che oggi gli manca: la leadership
di un paese economicamente forte,
unito, che insegue, con possibilità di successo,
il sogno di una presenza mediterranea
e asiatica forte e aggressiva.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione de Il Foglio. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita. lettere@ilfoglio.it