Se i terroristi diventano "vittime", l'autodifesa una "ritorsione", l'aggressione una "risposta"
il linguaggio orwelliano del quotidiano della Margherita
Testata: Europa
Data: 09/09/2004
Pagina: 4
Autore: Filippo Cicognani
Titolo: Tra Arafat e Abu Ala nuove tensioni
A pagina 4 di Europa di oggi, 09-09-04, Filippo Cicognani firma l'articolo "Tra Arafat e Abu Ala nuove tensioni".
Ecco il pezzo:

È di nuovo alta la tensione al vertice
dell’Autorità nazionale palestinese:
Arafat e Abu Ala non ce la fanno ad
andare d’accordo. La convivenza tra
presidente e primo ministro ha un’autonomia
sempre più ridotta. Abu Ala
aveva già presentato formalmente le dimissioni
a fine giugno – e non era la
prima volta da quando un anno fa prese
il posto di Abu Mazen, il quale, a sua
volta, aveva gettato la spugna per divergenze
con Arafat.
Stavolta, dopo un’aspra litigata col
bizzoso presidente durante una riunione
alla Muqata di Ramallah, il premier
ha soltanto minacciato di lasciare.
Nell’incontro era in discussione l’invio
o meno di una delegazione alla conferenza
dei donatori per il Medio oriente,
in programma a New York il 23 settembre
prossimo. Arafat ha insistito
sulla necessità di una rappresentanza
palestinese, Abu Ala ha replicato proponendo
un rinvio, se non addirittura
la cancellazione, dell’appuntamento.
La preoccupazione è che la Conferenza
sia – alla fine – solo l’occasione per
parlare del piano Sharon di ritiro dalla
striscia di Gaza e si trascuri, invece,
la richiesta palestinese di un disimpegno
anche dalla Cisgiordania – che
però necessita ancora di tempo per
una messa a punto.
In realtà esiste Israele intende samntellare insediamenti e disimpegnarsi anche in Cisgiordania
Arafat, invece,
spera che una sua delegazione riesca
a far allentare l’isolamento in cui si trova
relegato da quasi tre anni e che lo
rende ogni giorno più furioso e irascibile.
Ma al di là del pretesto occasionale,
il motivo di fondo del contenzioso è il
perdurante immobilismo di Arafat sul
dettagliato programma di riforme, sottoposto
alla sua approvazione.
Ma se sul fronte politico la tensione
raggiunge livelli di guardia, su quello
militare non va meglio. A 48 ore di
distanza dall’incursione contro Hamas
a Shijaia, sobborgo alla periferia est di
Gaza città, con 14 morti e 45 feriti tra
i palestinesi – l’incursione più massiccia
e sanguinosa dal 12 maggio scorso
Tutti i morti erano terroristi e l'operazione seguiva la strage di Beersheva, che non viene ricordata
– le truppe israeliane hanno compiuto
un nuovo raid nella striscia, con carri
armati ed elicotteri. Il bilancio è stato
di 6 feriti, tra i quali un dirigente di
Hamas, Adel Zaatari, catturato e ricoverato
in ospedale a Gerusalemme. I
palestinesi rispondono con lanci di
razzi Qassam, che, almeno per ora, fanno
pochi danni.
Lanci di razzi Qassam erano già stati efettuati ieri, evidentemente non "in risposta" alle operazioni di oggi.
Ma in Israele sono abituati
a non farsi troppe illusioni: da un
momento all’altro potrebbe scattare la
risposta, o la vendetta, come la definisco
i palestinesi, per le vittime dell’altro
giorno
"Risposta" e "vendetta", di un terrorismo che colpisce Israele solo perchè esiste, contro "vittime" che si addestravano alla strage. La distorsione della realtà non potrebbe essere più totale
.«La ritorsione, che venga da
una parte o dall’altra, non è la soluzione
», ha ammonito il segretario di stato
americano Colin Powell. È drammaticamente
ovvio, ma più che dirlo
occorre fare in modo che il sangue non
si lavi col sangue.
E' "drammaticamente ovvio" che non vi è equivalenza tra la violenza aggressiva e indiscriminata del terrorismo e quella difensiva e selettiva di Israele.
Ed'è sotto gli occhi di tutti che colpire i terroristi serve, eccome, a salvare vite umane innocenti, come dimostrano gli insuccessi di Hamas dopo le esecuzioni di Yassin e Rantisi.

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