Al Qaeda è sempre stata anticristiana
ma la reazione dei musulmani iracheni potrebbe isolare i terroristi
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Data: 03/08/2004
Pagina: 1
Autore: un giornalista
Titolo: Cristiani o sciiti, per Al Qaeda non fa differenza
Il Riformista di oggi, 03-08-04, pubblica in prima pagina un articolo che spiega molto bene perchè l'ostilità anticristiana è parte dell'ideologia di Al Qaeda fin dalle sue origini. A dispetto di chi, ignorando i fatti, vuole vedervi un effetto della guerra al terrorismo.
Ecco il pezzo:Gli attacchi terroristici contro le chiese cristiane in Iraq non sorprendono chi conosce la devastante ideologia di Al Qaeda. Da sempre i cristiani, così come gli ebrei, sono nel mirino degli jihadisti che ruotano attorno al mondo di Osama. Non occorre ricordare che il vero nome di Al Qaeda è «Fronte per il jihad contro i crociati e i sionisti». La matrice anticristiana scorre da lungo tempo nelle vene dell'organizzazione. Al Jihad, il gruppo egiziano di cui Ayman al Zawahiri è stato militante e leader, ha sempre praticato lo scontro contro i «nazareni», i copti delle regioni di Minia e Assiut. Così come il rigido e intransigente monoteismo wahhabita di Bin Laden nega qualsiasi dignità alle altre religioni del Libro, viste non tanto come «imperfette», ma come errori teologici destinati a essere mondati con ogni mezzo. E' di questo sostrato ideologico che si nutre la galassia radicale che agisce in Iraq. Una nebulosa, agli ordini della primula verde Abu Musab Zarkawi, che semina da un anno il terrore nelle città irachene.
La scelta di attaccare i cristiani risponde a due finalità: una religiosa e una politica. La prima consiste nel colpire, nel contesto della guerra civile di religione che contraddistingue l'azione di Tawhid Wal Jihad sin dalla sua fondazione, chiunque non accetti la rigida interpretazione del wahhabismo di cui i qaedisti sono portatori. Il programma del gruppo è tutto in quel nome, Tawhid. Parola che significa unità ma anche unicità. Nessun altro credo, tanto meno non islamico, può trovare spazio in questa concezione della nuova umma combattente e nel messianico progetto di costruzione neocaliffale in corso nelle pianure mesopotamiche. Il gruppo Zarkawi colpisce i cristiani caldei come prima aveva colpito quelli che i wahhabiti considerano gli eretici musulmani sciiti. Così come non indugia a colpire i sunniti che non aderiscono a quello che i terroristi di Dio considerano «l'autentico islam». Sottovalutare la dimensione religiosa nel cercare di spiegare simili azioni è un errore.
La seconda finalità è quella di colpire la stessa Chiesa di Roma. Colpevole, ai loro occhi, di accettare nei fatti il nuovo status quo iracheno. Per i qaedisti è irrilevante che la Chiesa si sia battuta, sino a spingersi in aperta rotta di collisione con l'amministrazione Bush, contro la guerra. E' più importante rilevare che dopo la caduta di Saddam e, soprattutto, dopo la recente svolta americana che ha cercato nell'Onu un'ancora di salvezza, la posizione della Santa Sede si è fatta più pragmatica. La Chiesa ha preso atto che in Iraq vi era ormai un nuovo, seppure instabile equilibrio politico, e ha cercato di agire all'interno del nuovo quadro. Favorita dal fatto che non si tratta di una realtà esterna, ma di una Chiesa da sempre radicata nell'area e nella società irachena. Tutto questo, però, non poteva concedere ai caldei una particolare protezione dal terrorismo. Semmai la stessa visita romana di Bush a Giovanni Paolo II può essere stata letta non tanto come un incontro diplomatico tra la nuova presidenza imperiale e il capo dei cattolici; quanto come una sorta di appeasement tra due diversi volti del medesimo mondo «crociato». Per questo sorprende un po' la sorpresa dei vertici vaticani di fronte agli eventi. Il cardinale Etchegaray afferma che il Vaticano non poteva immaginare la possibilità di attacchi del genere; ma non era difficile prevedere che nulla può arrestare l'odio del radicalismo jiahdista verso tutto ciò che non si sottomette alla sua totalizzante visione del mondo.
Paradossalmente però gli attacchi contro le chiese semplificano il quadro iracheno. Semmai qualcuno avesse nutrito dubbi sull'oggettiva pericolosità dello jihadismo, scambiandolo per mera forma di resistenza all'imperialismo yankee, è servito. Da tempo è chiaro che Al Qaeda-Tawhid conduce in Iraq una guerra parallela. E che per conseguire la vittoria, politica più che militare, è deciso a trasformarla in guerra di tutti contro tutti. Ora tutti sono stati colpiti. E il fronte della lotta al terrorismo islamista diventa più largo e deciso. L'appello all'unità tra cristiani e musulmani lanciato dal patriarca caldeo Emmanuel Delly, la condanna degli attentati contro le chiese di leader sciiti come l'ayatollah Sistani e Moqtada al Sadr, fa emergere un quadro forse maturo per aprire un processo politico che sganci definitivamente la guerriglia nazionalista dal terrorismo jihadista. Per farlo occorre però stabilire l'oggetto dello scambio politico. Il rinvio, voluto dallo stesso Kofi Annan per problemi di sicurezza, della conferenza che doveva eleggere una sorta di parlamento consultivo destinato ad affiancare il governo Alawi e a cooptare le formazioni non troppo soddisfatte degli attuali equilibri di potere, va rapidamente sanato. Un ruolo decisivo spetta agli americani. Sta a loro proporre un equilibrio politico realistico.
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