Intervista a Mario Pirani
ma la sua denuncia delle condanne a priori di Israele è ancora tiepida
Testata:
Data: 29/07/2004
Pagina: 5
Autore: Tommaso Labate
Titolo: Se l'Europa continua così, non conterà in Medioriente
L'intervista di Mario Pirani di oggi, 29-07-04 sul Riformista ci dà l'occasione di sottoporre al lettore alcune ulteriori riflessioni su quanto l'editorialista di Repubblica aveva scritto martedì 27 luglio e che Federico Steinhaus aveva già commentato nell'edizione di ieri di Informazione Corretta. Ci ritorniamo volentieri poichè a nostro avviso l'editoriale di Pirani pecca per alcuni aspetti. In particolare, il giornalista di Repubblica, sostenendo che vi sia un quid plus antisemita nelle eccessivamente numerose risoluzioni dell'Onu su Israele, fa proprie quelle tesi che Fiamma Nirenstein ha enunciato nel suo ultimo libro " Gli antisemiti progressisti", che si è attirato critiche stizzite anche da Miriam Mafai proprio su Repubblica . Una delle tesi del saggio è che l'antisemitismo sia la vera ragione della condanna a priori che viene riservata a Israele. Pirani nel suo editoriale coglie il problema, ma, oltre a non citare Nirenstein, ritiene di dover indicare in coloro che scambiano ogni critica al governo Sharon con una forma di antisemitismo una parte consistente del problema. A noi sembra che nel dibattito italiano questi apolegeti fondamentalisti del governo israeliano non esistano. Vi è invece, come negli altri paesi europei, una condanna a priori di Israele, quale che sia il suo governo e quali le sue scelte. I giornali italiani criticano Sharon sia che si ritiri da Gaza sia che mandi l'esercito a catturare terroristi nei territori dell'autonomia, sia quando fa eliminare i capi terroristi sia quando innalza la barriera difensiva. E non hanno mancato di criticare Rabin e Barak, ogni qual volta questi hanno dovuto difendere Israele. La Repubblica non ha fatto certo eccezione, si è anzi spesso distinta in negativo (si vedano in proposito le nostre note critiche ad Alberto Stabile).
Non stupisce dunque che il grido d'allarme a metà lanciato da Pirani non venga effettivamente recepito dal quotidiano dell' Ing de Benedetti, ma trovi spazio su un giornale di opinione come il Riformista. Di seguito riportiamo l'intervista di oggi nella quale si sostiene la necessità di una condanna dell'Onu degli attentati suicidi come crimini contro l'umanità.«L’Unione Europea abbandoni la sua posizione equidistante e diventi protagonista del processo di pace tra Israele e i palestinesi. Il premio per un eventuale raggiungimento della pacificazione tra arabi e israeliani può essere l’ingresso sia di Israele che dello stato palestinese nell’Unione». La proposta arriva dall’editorialista di Repubblica Mario Pirani. Due giorni fa, Pirani era ritornato sulla sentenza della corte di giustizia dell’Aja e sul voto dell’assemblea generale dell’Onu, che a stragrande maggioranza (150 a 6) ha condannato lo stato d’Israele e chiesto lo smantellamento del Muro eretto da Sharon a protezione dei suoi confini. «Si può ben dire - scriveva Pirani - che molte proclamazioni e drastiche condanne contro Israele contengono già, senza alcuna avvisaglia e vigilanza democratica», quel «quid plus» che lascia intravedere «quasi tra una parola e l’altra, la sottesa ispirazione antisemita mascherata d’anti-israelismo».
Ieri Il Riformista, d’accordo con Pirani, ha invitato i «democratici italiani che vorrebbero non aver mai visto alzarsi quel muro» a fare pressione sul governo e sull’Unione Europea affinché le Nazioni Unite condannino il terrorismo suicida come un «crimine contro l’umanità».
«Occorre fare chiarezza - è la risposta di Pirani - e evitare proclami che abbiano solo effetti mediatici, che rischiano solo di acuire gli odi e rendere più difficile il percorso verso la pace. Una condanna al terrorismo suicida deve essere meglio specificata. Se affrontiamo l’argomento dal punto di vista dei diritti umani e del diritto internazionale, occorre fare differenza tra i kamikaze che attaccano obiettivi militari e quelli che producono vittime tra i civili». «Il terrorismo - prosegue Pirani - è una delle possibili armi della guerriglia, che lo utilizza come tecnica militare. L’attacco ai carabinieri di Nassiriya e un kamikaze che si fa esplodere all’interno di un autobus o vicino ad una scuola sono due cose differenti, per quanto entrambe siano moralmente condannabili. Solo il secondo è un crimine contro l’umanità, mentre il primo è un crimine di guerra. Per avviare un’iniziativa diplomatica del genere, soprattutto presso le Nazioni Unite, bisogna centrare bene questo punto. Altrimenti si rischia di dare alla proposta un tono puramente propagandistico e di commettere lo stesso errore di confusione di chi condanna il Muro sulla base del pregiudizio anti - israeliano».
Tornando al ruolo dell’Ue, i cui rappresentanti hanno in blocco votato contro il governo di Sharon e contro il Muro, Javier Solana, l’alto rappresentante per la politica estera dell’Unione, si è detto convinto che la «crisi con Israele passerà» e ha ribadito che Arafat resta l’interlocutore di Bruxelles. «Le posizioni di Solana e dell’Europa sono aria fritta», ribatte Pirani. «Io credo che se l’Ue andrà avanti sulla strada che ha intrapreso conterà sempre meno nei rapporti internazionali e nel processo di pace. Per due motivi: da un lato, Israele continuerà a considerarla un interlocutore privo di credibilità; dall’altro, per i palestinesi sarà sempre un soggetto a cui voltare le spalle dopo aver ricevuto contentini vari». Per evitare questo scenario, Pirani suggerisce all’Europa due strade da seguire parallelamente. La prima è «quella di abbandonare l’equanimità di giudizio sulle questioni del conflitto tra israeliani e palestinesi. Magari attivandosi politicamente per porre delle solide condizioni per la pace. Tra queste potrebbe esserci il "premio" di far aderire sia Israele che lo stato palestinese all’Unione. I vincoli economici non sarebbero di grande ostacolo, visto che Israele è un paese con un’economia consolidata e l’ingresso della Palestina sarebbe meno gravoso, ad esempio, di quello della Turchia. Una soluzione del genere ha permesso a Francia e Germania di lasciarsi alle spalle un secolo di conflitti». La seconda strada riguarda proprio l’interlocutore palestinese e la leadership di Arafat: «L’Ue dovrebbe fare pressioni affinché Arafat lasci al premier Abu Ala i pieni poteri nella gestione della forze di sicurezza e sul terrorismo. Questa sarebbe la chiave per fare una vera e propria scelta politica e non solo proclami».
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