Dal Riformista di oggi, 15-07-04 riportiamo una corretta ed esauriente analisi sulla barriera difensiva. Alcune riflessioni ascrivibili a una sinistra intelligente e liberale che viene purtroppo sovente soverchiata dalle correnti irrazionali e totalitarie.
Cinque giorni fa, quando una bomba esplosa a una fermata d’autobus di Tel Aviv ha ucciso una donna e ferito una decina di persone, Israele è tornata a fare i conti con il proprio incubo peggiore, il terrorismo. Non che qualcuno se ne fosse dimenticato: prima che salire su un pullman o sedersi al tavolo di un ristorante possano tornare a essere attività normali, da affrontare senza l’obbligo di guardare con sospetto chiunque si avvicini, passerà chissà quanto tempo. Ma è un dato di fatto che da qualche mese a questa parte gli attentati nelle città israeliane (quelle all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti dello stato ebraico) sono molto meno frequenti che nel recente passato. I dati parlano chiaro: quello di Tel Aviv è stato il primo attentato riuscito da quasi quattro mesi, e a partire dall’estate scorsa gli episodi di questo genere sono diventati - relativamente parlando - sempre più rari. Sicuramente, una delle cause del calo è l’effetto provocato dalla campagna di assassinii mirati portata avanti dall’esercito israeliano, che a dispetto delle proteste ha continuatoa prendere di mira, in Cisgiordania e ancor più a Gaza,
i dirigenti delle organizzazioni armate palestinesi. Strategia assai controversa, che si espone a più di un interrogativo di carattere etico, l’azione preventiva contro i gruppi terroristici ha come effetto immediato quello di limitarne la capacità operativa: formare nuovi capi, individui in grado di pianificare gli attentati, di selezionare e formare gli shahid (i
«martiri» kamikaze) e organizzare materialmente gli attacchi, è operazione che richiede tempo. Semmai, la discussione sulla reale efficacia di questo modo di contrastare il terrorismo riguarda il periodo medio- lungo, e l’eventualità che
le azioni preventive (che sovente provocano la morte di persone che non c’entrano nulla) finiscano per esasperare gli animi e per nutrire le schiere degli aspiranti terroristi. Nell’immediato, tuttavia, non c’è dubbio che la potenza di fuoco di gruppi come Hamas, Jihad e Brigate al Aqsa venga compromessa ogni volta che un loro dirigente viene ucciso. Gli assassinii mirati, tuttavia, non sono sufficienti a spiegare la diminuzione degli attentati, non foss’altro perché la maggior parte di questi avviene nella Striscia di Gaza, dalla quale sono pochissimi i kamikaze che riescono penetrare in Israele. Gli indizi, dunque, portano a guardare altrove. E in special modo, all’assai contoverso Muro di difesa che Israele sta costruendo attorno (e in molte parti dentro) la Cisgiordania. Certo, la barriera di separazione è ancora
largamente incompleta quindi aggirabile: ma nel governo israeliano non hanno dubbio alcuno sul fatto che la ragione della diminuzione degli attentati vada cercata qui.E spiegano il perché. In passato, le città più colpite erano quella nel centro-nord di Israele:Tel Aviv,Hedera,Netanya, Haifa, Afula... Tutti centri, cioè, che era facilissimo raggiungere dalle principali fucine di kamikaze: Qalqiliah, Jenin e Tulkarem, tutte nel nord della Cisgiordania. Ora, allo stato attuale la parte di Muro già completata è proprio quella che separa
Israele dalla Cisgiordania settentrionale. Chi intende penetrare indisturbato in Israele è quindi costretto a recarsi molte decine di chilometri più a sud e cercare di aggirare la barriera, cosa facile a dirsi ma - tra checkpoint ufficiali, pattuglie militari e agenti undercover dei servizi - difficilissima da compiere. Risultato, spiegano ancora in Israele, le possibilità che un commando venga fermato prima di giungere a destinazione aumentano a dismisura.A supporto di questa tesi il governo di Gerusalemme sottolinea che se il numero degli attentati riusciti è calato nettamente, quello degli attentati sventati resta significativamente alto. Tutto ciò, naturalmente, ha poco a che vedere con il vero tallone d’Achille politico del Muro, ossia il suo tracciato. Certo, l’esercito ha scelto il percorso che ritiene più congegnale e che richiede il minor numero di uomini di guardia. Ma molti anche nell’establishment israeliano sono disposti a riconoscere che una barriera costruita su un tracciato diverso
e più aderente alla linea verde del ’67 - per quanto più oneroso possa essere pattugliarla - sortirebbe effetti sostanzialmente analoghi. E con minor danno per la popolazione civile palestinese.
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