Sul Riformista di oggi Paola Caridi scrive della visita di Sharon alla città di Maaleh Adumim, una visita di forte valore simbolico, che è stata compiuta da tutti i primi ministri a lui precedenti, laburisti compresi. Nonostante la Caridi chiami Maaleh Adumim colonia si tratta, in realtà e per contiguità geografica, di una vera e propria città non lontana da Gerusalemme. Nell'articolo viene indicato poi Ehud Barak come il primo ministro laburista degli accordi falliti di Wye Plantation, quando è arcinoto che i tentativi di pace di Barak fallirono a Camp David nel 2000 per il rifiuto di Arafat che avviò la seconda intifada. Oltre a compiere questo macroscopico errore la Caridi si dilunga nello spiegare la teoria secondo cui Sharon si ritirerebbe da Gaza ma allo stesso tempo annetterebbe città della Cisgiordania. Inoltre il voler tenere a tutti i costi Maaleh Adumim secondo la giornalista, significa mettere una pietra tombale su ogni possibile accordo di pace, poichè i palestinesi non accetterebbero mai di non avere Gerusalemme come capitale. L'invocazione degli accordi di Ginevra conclude l'articolo, in antitesi alla politica di annessione del primo ministro Sharon. Un pezzo che più che di cronaca sa molto di politica quello della Caridi, diamo ai lettori la possibilità di giudicare. Ecco il pezzo.Una scelta non casuale, quella fatta da Ariel Sharon appena poche ore prima di partire per gli Stati Uniti e presentare al presidente Bush il suo piano di disimpegno a Gaza e, di contrasto, di forte impegno in Cisgiordania. Presenziare al Mimouna, il festival degli ebrei sefarditi di origine marocchina che chiude la Pasqua israelita, in quella che da sempre è la colonia-simbolo, Maaleh Adumim. Per dire che Maaleh Adumim non si tocca, e assieme al più imponente insediamento in Cisgiordania non si toccano le altre colonie importanti come Ariel, Givat Ze’ev, Gush Etzion.
Prima di lasciare Israele, insomma, il premier ha voluto rassicurare quel settore del suo partito, il Likud, che si oppone al trasferimento degli insediamenti ebraici da Gaza. Per dire che, anche se 7500 coloni lasceranno la striscia, gli insediamenti della Cisgiordania rimarranno. Anzi, continueranno a essere sostenuti e sviluppati. Come si aspettano gli oltre duecentomila coloni che ci vivono. A dire il vero, Sharon non ha detto una cosa così sorprendente per la storia dei governi israeliani. Né per quelli likudisti, né tanto meno per quelli a guida laburista. Come dimostra proprio la storia di Maale Admumim, sorta quasi trent’anni fa da un gruppo di 25 famiglie. Grazie alla benedizione di Ytzhak Rabin. Ed è stato un altro laburista, Ehud Barak, quello degli accordi falliti di Wye Planatation, l’ultimo a essersi recato alle porte di Gerusalemme nel settembre del 1999, a Maale Adumim appunto, per dire che quelle case erano sotto lo Stato di Israele e nessuno le avrebbe mai toccate. Perché, allora, Maale Adumim è così importante? Maale Adumim vuol dire anzitutto Gerusalemme, l’ultimo dei punti all’ordine del giorno in un possibile processo di pace e il problema più spinoso e sempre rinviato. Un paesone di poco meno di 30mila abitanti, che dovrebbe contenerne almeno 50mila, secondo il piano di sviluppo che prevede anche la zona industriale e agevolazioni fiscali non di poco conto. È facile, per esempio, trovare negli annunci immobiliari case in vendita a Maale Adumim con l’avvertenza che chi sceglie di vivere nella colonia a due passi dalla città gode del 6% di riduzione nella dichiarazione dei redditi. Una proposta allettante, visti i prezzi degli appartamenti a Gerusalemme, soprattutto per giovani che vogliono farsi una famiglia e una casa.
Il tutto appena in periferia, a pochissimi chilometri dalle mura della città Vecchia, all’inizio dell’autostrada che da Gerusalemme porta a Gerico. Con un p problema di fondo: Maale Adumim si è sviluppata nella forma di un ferro di cavallo che circonda Abu Dis, il sobborgo di Gerusalemme dove vive il premier palestinese Abu Ala, e dove molti israeliani vedrebbero la capitale di un (possibile) e futuro stato palestinese. L’estrema parte orientale e araba di Gerusalemme, insomma. E secondo i piani del governo Sharon, Gerusalemme e l’insediamento dovrebbero essere protetti dal muro alto otto metri e mezzo, la cui costruzione sta procedendo speditamente da Abu Dis verso nord, appunto.
Non è ancora chiaro del tutto, però, né il percorso né il modo in cui Maale Adumim sarà tecnicamente inglobata. Se con un muro che segua tutto il percorso del ferro di cavallo o con altre misure di protezione, soprattutto all’altezza dell’autostrada per Gerico. Chiaro è invece un altro elemento. Abu Dis diventerà in questo modo una enclave, mentre sarà evidente il legame diretto tra Gerusalemme e Maale Adumim. Un dato di fatto che i palestinesi non potranno mai accettare, come ha ancora una volta detto ieri il premier Ahmed Qorei,. Che interpretano come la pietra tombale su ogni trattativa e come un chiaro segno della volontà del governo israeliano di fare di Gerusalemme solo la capitale dello Stato d’Israele. Non una possibile capitale condivisa, come descritto nell’accordo di Ginevra tra Yossi Beilin e Yasser Abed Rabbo. Quali che siano le future mappe topografiche di Gerusalemme, città già ora intrisa di confini, le ultime dichiarazioni i di Sharon mostrano quello che già era evidente sin da quando il premier lanciò, nello scorso dicembre, il piano di disimpegno da Gaza. Tutte le principali colonie della Cisgiordania non si toccano. Anche se questo mette in gioco uno dei miti, ormai infranti, di Oslo e di tutti i negoziati di pace: la Gerrn Line, il vecchio confine del 1967, già affossato dalla cronaca e dai dati di fatto. Insediamenti e muro compresi. Rimettere in discussione la linea del 1967 costringe unilateralmente, insomma, a guardare in faccia la realtà ormai consolidata sul terreno. E a cercare altre soluzioni. Non facili.
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