Di pochi giorni fa è la notizia che Yasser Arafat ha proposto ad Hamas di creare un governo unitario palestinese sulla piattaforma comune dell'intifada. Le ragioni di questa scelta vengono spiegate sul Riformista di oggi da Paola Caridi, mentre Graziano Motta su Avvenire racconta le reazioni dell'amministrazione americana alla notizia. Pubblichiamo entrambi gli articoli.
Da IL RIFORMISTA, a pagina 3: "Perso il monopolio, Arafat non sa che fare" di Paola Caridi.Una vittoria, Hamas, l’ha già ottenuta. Se e quando entrerà formalmente in una nuova leadership palestinese, vi entrerà con un peso specifico rilevante. Osama Hamdan,rappresentante di Hamas in Libano e membro del politburo, lo ha detto a chiare lettere, non a caso in una intervista ad Al Ayyam, il quotidiano vicino a Fatah. «Sono finiti i tempi in cui solo una parte, tra i palestinesi, monopolizzava le decisioni. Fino a quando siamo partner nella resistenza, dobbiamo essere partner nelle decisioni».Tradotto: Hamas sa di contare molto sul piano "operativo", di avere il controllo di Gaza, di avere molto seguito in Cisgiordania. E in più ha ora anche un martire del calibro dello sceicco
Ahmed Yassin. Vuole, adesso, quel riconoscimento politico che gli serve dopo l’assassinio di Yassin e l’offensiva militare israeliana nella Striscia di Gaza.
Nonostante continui a essere un accentratore, il vecchio Yasser Arafat ha capito bene quello che sta succedendo. Sa che il suo movimento, Fatah, ha dei serissimi problemi non soltanto a Gaza, ma persino in Cisgiordania.Dove se si votasse domani per le elezioni locali - concordano tutti gli analisti - Hamas vincerebbe. Lo sa al punto che - nella famosa intervista concessa al settimanale
tedesco Focus che negli ultimi due giorni ha fatto il giro del mondo - Arafat ha anche confermato che a Tunisi, al vertice della Lega Araba, avrebbe voluto
mandare una delegazione di tre persone, compreso un rappresentante di Hamas. Forse proprio uno dei motivi per cui il summit di fine marzo è fallito.
La prova di forza di Arafat verso la Lega Araba vuol dire una sola cosa. Il presidente dell’Anp sa bene che far entrare Hamas dentro la leadership palestinese vuol dire farlo a pieno titolo. Ed è disposto a correre il rischio,
anche di fronte alla comunità internazionale, non solo Stati Uniti (che già hanno messo in guardia Arafat) ma anche Unione Europea. I tempi, insomma, sono cambiati molto da quando Abu Ammar cercò,varie volte,di far entrare Hamas dentro le istituzioni palestinesi tentando, in questo modo, di diminuirne il peso specifico e controllarla. Ora il Movimento islamico di resistenza è uno degli attori del nuovo panorama che si è delineato con la seconda Intifada. Per
questo, sinora, i negoziati non sono tanto sull’ingresso di Hamas in istituzioni già consolidate, come l’Autorità Nazionale o l’Olp. Quanto sulla costituzione di un organismo politico e di transizione che consenta a tutt’e due le parti in gioco, Fatah e Hamas, di superare le rispettive remore e le
reciproche diffidenze. L’obiettivo, insomma, è il riconoscimento politico di Hamas nello stesso modo in cui Hezbollah si trasformò, in Libano, da milizia in soggetto politico e sociale a tutti gli effetti, entrando successivamente anche nelle istituzioni rappresentative. Comprensibile, quindi, che Arafat non voglia il confronto con Abdel Aziz al Rantisi,l’uomo forte della Striscia che si era opposto, lo scorso anno, alla hudna, la tregua temporanea raggiunta da tutte le fazioni palestinesi. Abu Ammar cerca, invece, il dialogo con il politburo guidato, dall’estero, da Khaled Meshaal, uno che la hudna la concordò, con
egiziani. E che quindi potrebbe essere, su questo terreno, molto più duttile e politico di Rantisi. Se, però, l’ipotesi di una diarchia per il futuro palestinese fondata, questo vuol dire che negoziato non sarà breve e non sarà indolore. Soprattutto Fatah, su cui pesa l’incognita destino di Arafat, minacciato nella sua incolumità da Sharon. Difficile prevedere, per il vecchio presidente, un solo successore. Piuttosto un gruppo ristretto che guidi la transizione, e veda la compresenza della vecchia generazione (quella rappresentata dal premier Abu Ala, intenderci) e dei più giovani, cui leader carismatico, Marwan Barghouti, è per ora ancora ospite delle carceri israeliane.
Da AVVENIRE, pag. 16: "Pressing di Bush: Hamas fuori dall'Anp" di Graziano MottaBush riprende in mano la situazione che sembrava sfuggirgli con il progetto di disimpegno unilaterale di Sharon dai Territori palestinesi: cera soprattutto di contenerne le conseguenze compromettenti per la Road map, il piano di pace da lui patrocinato e che gode del consenso internazionale. Fa sapere infatti al primo ministro israeliano che è d’accordo sulle grandi linee di questo suo progetto ma che lo considera come «una fase intermedia di applicazione» della Road map, il che significa che confida in una ripresa del dialogo fra Israele e Autorità palestinese, dalla quale invece Sharon mantiene decisamente le distanze.
Rassicura poi Sharon che sui punti ancora in sospeso si troverà una soluzione prima della sua visita a Washington prevista per il 14 aprile. Tra questi punti, c’è la richiesta di contropartite finanziarie per quegli insediamenti di Gaza che saranno evacuati da coloni e da soldati israeliani. E c’è l’esigenza di evitare che a Gaza si stabilisca un potere politico fondamentalisti attraverso un rafforzamento dell’Autorità palestinese. In questa proiezione si comprendono non solo il monito dei giorni scorsi a Sharon di escludere l’uccisione mirata di Arafat, ma anche l’impegno, esplicitato ieri, di un aiuto alla Autorità palestinese dopo il ritiro israeliano da Gaza. Naturalmente a certe condizioni, la prima delle quali è che Arafat non attui il disegno annunciato nei giorni scorsi di inserire i fondamentalisti di Hamas e della Jihad nel governo. «Si tratta di questioni interne dei palestinesi –ha però risposto il ministro palestinese Saeb Erkat-. Gli americani non hanno alcuna veste per interferire».
Bush chiede inoltre che siano organizzate a Gaza forze di sicurezza in grado di controllare la situazione politica sul terreno e infine che siano arrestati e processati quei palestinesi che sei mesi fa a Gaza compirono un attentato a un convoglio diplomatico statunitense uccidendo tre agenti.
Per dare consistenza e ufficialità a questi impegni, il segretario di Stato, Colin Powell, e il consigliere per la sicurezza, Condoleezza Rice, riceveranno a Washington il ministro degli Esteri palestinese, Nabil Shaat, una settimana dopo la visita di Sharon. E Shaat ha reso noto che l’aiuto americano sarà investito a Gaza nella ricostruzione di infrastrutture che consentiranno di alleviare la disoccupazione.
Mentre Israele mantiene il blocco dei Territori palestinesi, prosegue nell’operazione militare a Nablus, dove due guerriglieri palestinesi sono stati feriti da soldati nella Casbha. In un ospedale di Nablus è intanto deceduto un ragazzo palestinese di 19 anni, rimasto ferito nei giorni scorsi in scontri con militari israeliani. Infine, per la quarta volta in pochi giorni, agenti di polizia e soldati hanno fatto sgomberare l’avamposto dell’insediamento illegale di Hazan’David tra Hebron e Kiryat Arba. A Bidou, a nord di Gerusalemme, scontri con feriti tra soldati e palestinesi che manifestavano contro la costruzione del muro di separazione.
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