Addio al Kibbutz
fra nostalgia e realtà
Testata:
Data: 03/04/2004
Pagina: 1
Autore: Federico Steinhaus
Titolo: Addio al Kibbutz
La Repubblica di sabato 3 aprile è un numero da leggere e da conservare, per
me ma penso per chiunque sia non tanto "di sinistra" quanto un idealista
romantico, un amante dell' epopea e della mitologia del pionierismo ebraico.
Il governo di Sharon ha deciso di aprire la strada verso la privatizzazione
del kibbutz, e pare che già la metà dei kibbutzim abbia aderito a questa
proposta.E su Repubblica ci sono tre pagine di rievocazioni che
ricostruiscono bene, tra cronaca e mito, l' atmosfera eroica che ha sempre
aleggiato attorno al kibbutz.
Il kibbutz è stato, più di qualunque altra realizzazione od iniziativa
ebraica, l' incarnazione stessa del mito del "ritorno alla terra" inteso
come un ritorno alla "Terra" con l' iniziale maiuscola, la terra promessa,
ma anche come un ritorno alle umili e faticose attività che ai tempi biblici
avevano creato una forte simbiosi fra il popolo ebraico e la sua terra, che
esso coltivava con amore. Non per nulla molte delle festività ebraiche sono
legate al volgere delle stagioni ed alle fasi ripetitive dell' agricoltura.
Ma il kibbutz è stato anche il simbolo principale della volontà di
autopurificazione del popolo ebraico, profondamente avvertita dai padri
fondatori del sionismo: il popolo della Bibbia era stato costretto dagli
eventi e dagli "altri" a trasformarsi in un popolo migrante, legato al
denaro come strumento universale di sopravvivenza fisica, al commercio come
mezzo di comunicazione e di accettazione, a valori che non erano mai stati i
suoi.E per secoli il contatto con la terra, con la solida concretezza della
proprietà agricola, gli era stato impedito da leggi discriminanti.
Dunque, tornare alla terra, e quanto più fatica questo richiedesse tanto
meglio era, simboleggiava anche un riappropriarsi del proprio destino di
popolo.
Ogni volta che vado in Israele, e ci vado spesso, frequento un kibbutz che
fa un vanto del proprio essere "duro e puro". Amo quel kibbutz perché è un
luogo familiare, seguo con interesse e partecipazione la sua sofferta
accettazione delle regole della moderna economia, sorrido scettico e critico
dinanzi a certe scelte che mi appaiono singolari.
Il suo laicismo, il suo "essere di sinistra" a tutti i costi fino a
consumare scissioni, trovano ampia giustificazione nell' amore che esso
dimostra per i propri anziani e per chi nella comunità è più debole.Il suo
ideale collettivistico è stato ferito nel profondo dalla creazione di una
industria che produce succhi di frutta e che è tra le prime in Israele, che
esporta in tutta Europa la sua tecnologia e la sua esperienza; ma quanta
fatica per affermarsi in un ambiente che non la voleva, che se ne sentiva
estraneo ed inquinato!
Ho visto le conseguenze di alcuni aspetti di questo collettivismo, che oggi
si incrina definitivamente. Essere privati dell' educazione dei figli, non
poter scegliere la scuola e la carriera, sono parte dell' ideale del
kibbutznik, del suo bagaglio di vita vissuta - ma quanta sofferenza
generano!
Ecco, tutto d' un tratto tutto ciò si trasforma, e sono certo che qualche
kibbutznik percepirà questa decisione di un governo di destra come una
liberazione, come un atto di giustizia e di riparazione. Ma altri, non pochi
altri, avvertiranno lo strappo con la loro storia personale e collettiva,
con i loro ideali, con le loro speranze.
Io mi sento in mezzo. Condivido con profondi sentimenti e forti emozioni la
mitologia del kibbutz, la sua forza ed i suoi ideali, e sono consapevole
dell' importanza di questa realizzazione nella costruzione della nuova
patria del popolo ebraico - nuova nella sua concezione, ma antica nelle sue
radici. Ma sono ugualmente consapevole dell' impossibilità di far convivere
questi ideali con le esigenze della moderna economia di mercato, con le
regole della democrazia libertaria ed aperta, con le necessità di uno stato
che accoglie decine di migliaia di profughi ogni anno e deve dare loro una
casa ed un lavoro.
Questa contraddizione interna del kibbutz, sopravvissuto a sé stesso ma
sempre vivo nei cuori, è lacerante e farà in modo che nessuno per decreto ne
possa sanzionare la morte.Il nostro addio al kibbutz si riferisce al futuro,
ed ha un riferimento nelle regole dominanti, ma non potrà seppellirne
l' affettuoso ricordo, che con ammirazione e gratitudine ne conserviamo nel
cuore.