Fuori il Qatar dalla ricostruzione di Gaza!
Analisi di Khaled Abu Toameh
Testata: israele.net
Data: 23/12/2025
Pagina: 1
Autore: Khaled Abu Toameh
Titolo: Perché il Qatar non deve avere alcun ruolo a Gaza: far entrare Doha nella Striscia equivale a mettere una volpe in un pollaio

Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - il commento di Khaled Abu Toameh, tradotto da Gateston Institute dal titolo "Perché il Qatar non deve avere alcun ruolo a Gaza: far entrare Doha nella Striscia equivale a mettere una volpe in un pollaio".

Khaled Abu Toameh
23 ottobre 2012: l’allora emiro del Qatar, sceicco Hamad bin Khalifa al-Thani (al centro), inneggia con l’allora capo di Hamas, Ismail Haniyeh, durante una visita all’Università Islamica nella Striscia di Gaza

Scrive Khaled Abu Toameh: Le delegazioni di Qatar, Egitto e Turchia si sono incontrate al Cairo il 25 novembre scorso per discutere l’attuazione della seconda fase del piano del presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump per porre fine alla guerra nella Striscia di Gaza, scoppiata con l’attacco del 7 ottobre 2023 lanciato da Hamas contro Israele.

Secondo quanto riportato dai media, all’incontro hanno partecipato i capi delle agenzie di intelligence di Egitto e Turchia, insieme al primo ministro del Qatar. Hanno discusso delle “modalità per intensificare gli sforzi congiunti al fine di garantire il successo dell’attuazione della fase 2 del piano”, che prevede il disarmo di Hamas, l’istituzione di un comitato di transizione per la governance palestinese e il dispiegamento di una Forza Internazionale di Stabilizzazione nella Striscia di Gaza.

L’incontro evidenzia l’ovvio desiderio del Qatar di avere un ruolo fondamentale nella Gaza del dopoguerra.

In qualità di sostenitore e finanziatore di lunga data dell’organizzazione dei Fratelli Musulmani, l’obiettivo principale del regime qatariota sembra essere quello di garantire che Hamas rimanga al potere nella Striscia di Gaza. E Hamas si autodefinisce “una delle ali dei Fratelli Musulmani in Palestina”.

Il Qatar è l’unico Paese arabo che ospita l’intera leadership di Hamas e che fornisce aiuti politici e finanziari al gruppo terroristico dal 2007.

Nel 2012, l’allora emiro del Qatar, lo sceicco Hamad bin Khalifa Al-Thani, fu il primo leader di un Paese a visitare Gaza sotto il governo di Hamas. Promise 400 milioni di dollari di aiuti e, nello stesso anno, a Hamas fu concesso di aprire un ufficio politico a Doha.

È stato questo sostegno del Qatar (insieme a quello iraniano) che ha permesso a Hamas di rimanere al potere negli ultimi 18 anni e di lanciare il brutale attacco del 7 ottobre 2023, che ha provocato l’uccisione di circa 1.200 israeliani e cittadini stranieri, il ferimento di migliaia di persone e il rapimento di 251 ostaggi.

Senza Hamas, il Qatar perderebbe un mezzo fondamentale per esercitare la propria influenza non solo nelle aree palestinesi, ma anche nell’intera regione.

L’ipotesi che Doha possa svolgere un ruolo nel mantenimento della pace o nell’avvio di un processo di profonda de-radicalizzazione nella Striscia di Gaza è illusoria.

Non occorre essere degli “esperti” per capire che il Qatar, nonostante il suo tentativo di presentarsi come mediatore neutrale tra Israele e Hamas negli ultimi due anni, continua ad essere allineato all’ideologia estremista dei Fratelli Musulmani e di Hamas. Purtroppo, questa ideologia considera i non musulmani (e Israele) il nemico numero uno.

In un editoriale pubblicato il 19 ottobre scorso sul quotidiano governativo qatariota Al-Sharq, Ahmad al-Muhammadi, imam e predicatore del Ministero del Waqf del Qatar, spiega che l’inimicizia tra musulmani, ebrei e cristiani è esistenziale e profondamente radicata, per poi raffigurare l’Islam come la verità, e il Cristianesimo e l’Ebraismo come falsità ed eresia.

Secondo al-Muhammadi, chiunque pensi che questa inimicizia (che a suo dire deriva da una serie di ragioni che coinvolgono una combinazione di fede, interessi, storia e geografia) sia transitoria si illude, precisando che tale inimicizia continuerà finché esisterà l’Islam e “finché le comunità di miscredenti persisteranno nella loro deviazione”.

Al-Muhammadi rileva che un pio musulmano “si rende conto che l’attuale conflitto tra l’Islam e i suoi nemici non è solo una battaglia sui confini o sugli interessi, ma una battaglia sui valori, sui modi di agire e sul futuro”. Ed esorta i musulmani a diffidare degli slogan di tolleranza che mirano a sradicare la fede nell’Islam, affermando che l’Islam è “una religione che non scende a compromessi né è conciliante”.

Tali dichiarazioni da parte di funzionari qatarioti non dovrebbero sorprendere nessuno.

Sin dal massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre e per tutta la durata della guerra di Gaza, il Qatar, i suoi media e le istituzioni ad esso affiliati hanno costantemente espresso un sostegno incondizionato a Hamas, al terrorismo e alla violenza armata contro Israele.

Questo sostegno trova espressione a tutti i livelli: nelle dichiarazioni dei funzionari e dei religiosi, nei media e nel sistema educativo del Qatar.

[…]

Far entrare il Qatar nella Striscia di Gaza equivale a mettere una volpe in un pollaio. Se a Doha fosse consentito svolgere un ruolo civile o di sicurezza all’interno di Gaza, questo privilegio sarebbe visto da molti palestinesi come una ricompensa per Hamas e altri gruppi terroristici islamici. Ciò consentirebbe ai terroristi di tutto il mondo di riarmarsi e riorganizzarsi, e permetterebbe al Qatar di continuare a riaffermare le politiche dei Fratelli Musulmani in tutto il Medio Oriente, così come negli Stati Uniti, dove ha già acquistato un’influenza a costi esorbitanti.

Leggi tutto l’articolo di Khaled Abu Toameh su gatestoneinstitute.org, 12.12.25

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