Riprendiamo dal RIFORMISTA, di oggi, 18/12/2025, a pagina 6, il commento di Ghazal Afshar dal titolo "L’Europa alzi la voce contro il record di esecuzioni in Iran".
Ghazal Afshar
In occasione della Giornata internazionale dei diritti umani, il Parlamento europeo è stato teatro di una denuncia netta contro la drammatica escalation delle violazioni dei diritti umani in Iran. Due conferenze di alto profilo hanno lanciato un appello urgente all’Unione europea affinché adotti una linea più decisa nei confronti del regime di Teheran, denunciando l’aumento senza precedenti delle esecuzioni e la repressione sistematica del dissenso.
Nel 2025 l’Iran ha consolidato il suo primato mondiale per numero di esecuzioni. Secondo organizzazioni internazionali, tra cui Amnesty International, nei primi undici mesi dell’anno sono state giustiziate almeno 1.791 persone. La pena di morte continua a essere utilizzata come strumento politico e intimidatorio, colpendo in modo sproporzionato minoranze, oppositori e detenuti politici.
Le donne figurano tra le principali vittime della repressione: almeno 57 sono state giustiziate nel corso del 2025, mentre 23 detenute sono morte in carcere a causa di negligenza medica e mancanza di cure. Ancora più grave è il destino dei prigionieri politici. Behrouz Ehsani, Mehdi Hassani e Mehran Bahramian sono stati impiccati sulla base di accuse vaghe come moharebeh o baghi. Altri 17 detenuti politici restano nel braccio della morte, molti dei quali accusati di presunti legami con l’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo Iraniano (PMOI).
Le autorità iraniane mantengono una segretezza quasi totale sulle esecuzioni: meno del 5 per cento viene annunciato dai media statali. Le famiglie vengono spesso informate solo al momento della restituzione del corpo. Le impiccagioni avvengono all’alba, senza preavviso, senza accesso agli avvocati e senza l’ultimo saluto ai familiari, trasformando la pena capitale in uno strumento di terrore di Stato.
La tortura resta una pratica diffusa nelle carceri iraniane. Percosse, scosse elettriche, sospensioni, minacce sessuali, privazione del sonno e diniego di cure mediche sono metodi abitualmente documentati. Le confessioni estorte vengono frequentemente trasmesse dalla televisione di Stato per giustificare condanne severe e legittimare la repressione.
La condanna internazionale si fa sempre più netta. L’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, ha definito le esecuzioni “uno strumento di terrore di Stato”. La relatrice speciale dell’Onu, Mai Sato, ha denunciato l’uso sistematico di processi a porte chiuse e l’assenza di qualsiasi garanzia di un giusto processo. Tra novembre e dicembre, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una delle risoluzioni più dure degli ultimi anni contro l’Iran.
A Bruxelles, Maryam Rajavi, presidente eletta del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana, ha dichiarato che il regime degli ayatollah “non è mai stato così vicino al collasso”. Ha chiesto all’Unione europea di condizionare le relazioni diplomatiche alla fine delle esecuzioni, di inserire i Pasdaran (IRGC) e il Ministero dell’Intelligence nelle liste delle organizzazioni terroristiche e di sostenere un’alternativa democratica fondata sul Piano in dieci punti del CNRI.
Il 2025 si conferma così come uno degli anni più bui per i diritti umani in Iran. Come ribadito al Parlamento europeo, il silenzio equivale alla complicità: l’Europa non può più restare a guardare.
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