Così Hamas usa Albanese per giustificare se stessa e fare propaganda anti Israele
Commento di Luca Danieli
Testata: Il Tempo
Data: 16/12/2025
Pagina: 6
Autore: Luca Danieli
Titolo: Così Hamas usa Albanese per giustificare se stessa e fare propaganda anti Israele

Riprendiamo da IL TEMPO del 16/12/2025, a pag. 6, con il titolo "Così Hamas usa Albanese per giustificare se stessa e fare propaganda anti Israele", il commento di Luca Danieli.

Francesca Albanese: «La politica è inerte di fronte a un'istanza di pulizia  etnica» | il manifesto

Un articolo di Palinfo.com, sito affiliato a Hamas, riprende quasi integralmente il rapporto Onu di Francesca Albanese, rivelando una sorprendente aderenza tra il testo propagandistico e il documento ufficiale

Durante un'attività di monitoraggio ci siamo imbattuti in un articolo pubblicato il 4 luglio scorso da Palinfo.com, sito web affiliato all'organizzazione islamica militare Hamas. L'articolo presentava il rapporto Onu di Francesca Albanese, From economy of occupation to economy of genocide; l'impostazione è tipica del giornalismo propagandistico di Hamas e colpiva l'assenza totale di riferimenti al ruolo dell'organizzazione nella gestione della Striscia di Gaza.

Per questo motivo abbiamo effettuato un fact-checking diretto, confrontando l'articolo con il rapporto presentato alle Nazioni Unite. L'esito dell'analisi è stato inatteso: fatta eccezione per il paragrafo conclusivo e per l'uso di alcune formulazioni linguistiche più marcate, l'articolo risulta fedele al rapporto di Francesca Albanese. Questo significa che il rapporto è propaganda? No. Non può essere liquidato in questo modo. Le informazioni utilizzate sono in larga parte corrette e verificabili. Tuttavia, ciò non implica neutralità.

Il rapporto utilizza dati reali per sostenere una tesi politica e interpretativa precisa. I suoi limiti non riguardano la veridicità dei singoli elementi, ma il metodo e il perimetro dell'analisi. Il primo elemento critico è l'assenza di una reale controargomentazione: non vengono esaminate interpretazioni alternative dei fatti, non è esposta la posizione giuridica israeliana e non si confrontano le diverse definizioni di genocidio nel diritto internazionale. In un documento orientato alla neutralità analitica una sezione di questo tipo sarebbe quantomeno attesa. Non c'è. Il risultato non è propaganda in senso stretto, ma unilateralità.

A questo si aggiunge l'uso di un frame interpretativo unico e chiuso: l'occupazione israeliana viene descritta come un'economia del genocidio. Tutti gli ambiti analizzati, dall'industria militare alla finanza, dal turismo al sistema universitario, sono letti esclusivamente attraverso questo schema, senza considerare ambiguità o causalità concorrenti. Anche il linguaggio va nella stessa direzione. Espressioni come «economy of genocide» o «profit over lives» non sono illegittime, ma sono scelte concettuali forti e non neutrali. Il rapporto non è scritto per esplorare, ma per convincere.

Il punto più delicato riguarda però la selettività del perimetro. Hamas non viene considerata come soggetto economico o politico rilevante. Non sono analizzati il controllo del territorio, l'uso di infrastrutture civili né il contesto strategico-militare in cui si inseriscono le dinamiche di Gaza. Le poche menzioni presenti sono marginali. Hamas resta sullo sfondo.

Il rapporto non mente su Hamas. Semplicemente la lascia fuori campo. Ma un'analisi che pretende di spiegare un'economia del collasso non può espellere l'attore che governa di fatto il territorio. Questo è un vuoto analitico reale. Attribuendo ogni dinamica negativa esclusivamente a Israele, Gaza viene ridotta a spazio passivo e il potere decisionale di Hamas viene cancellato.

Qui emerge il problema maggiore: il rapporto finisce per offrire ad Hamas una base narrativa su cui giustificare la propria esistenza e la prosecuzione del conflitto. Non a caso l'articolo di The Palestinian Information Center conclude con una condanna ideologica che trasforma l'analisi in accusa totale.

Questo conflitto finirà? Sicuramente non grazie all’Onu.

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