Riprendiamo l'articolo di Giulio Meotti, dalla sua newsletter, dal titolo: "Non arrendetevi ai barbari o la guerra divamperà nelle vostre strade".
Giulio Meotti
Bondi Beach. Sabbia. Cielo azzurro. Corpi felici. Un mare indifferente. Ebrei che accendono candele. Non soldati. Non coloni. Ebrei. Una celebrazione. Il sangue sulla sabbia è dello stesso colore di Tel Aviv. La distanza non esiste più. La guerra ha lasciato il deserto. Viaggia leggera. Scende sulle spiagge, nelle scuole, nelle strade tranquille dell’Occidente.
Per dirla con lo Spectator, the night Australia died.
Non credo che i terroristi islamici l’abbiano pianificata in questo modo, ma se si volesse demolire l’immagine di sé di un paese con una singola atrocità, accumulare quindici cadaveri ebraici a Bondi Beach è difficile da battere.
Due terroristi, padre e figlio, hanno dunque potuto andare a caccia, letteralmente, senza che incontrassero un solo poliziotto.
Uno dei sopravvissuti all’attacco ha detto che quattro agenti di polizia sono rimasti “immobilizzati” durante i 20 minuti di sparatoria: “Per 20 minuti. Sparavano, sparavano. Cambiavano i caricatori. E continuavano a sparare. Per 20 minuti, c’erano quattro poliziotti lì. Nessuno ha risposto al fuoco. Niente. Come se fossero immobilizzati”.
Un paese paralizzato dal politicamente corretto e dalla paura.
Il Mossad aveva allertato l’Australia nei giorni scorsi. Ma niente.
Perché come scrive Ayaan Hirsi Ali nella Free Press, quando consenti a centinaia di migliaia di persone di marciare urlando “Intifada” e “ebrei al gas”, questo è il risultato.
Abbiamo aperto le porte a chi ci disprezza, paghiamo loro il welfare, gli diamo case, scuole, sanità e in cambio riceviamo quando va bene preghiere che maledicono Israele – l’unico nostro vero alleato in quel mare di teocrazie spaventose – e noi infedeli.
Questo è il centro di Sydney.

Non è devozione; è un’appropriazione dello spazio pubblico che trasforma la piazza in un waqf temporaneo, un’enclave teocratica in terra di common law. È geopolitica muscolare, eco di intifada importata. Mentre i fedeli si prosternano, il traffico si arresta, i turisti scattano selfie e i nativi australiani borbottano tra sé. È l’islamizzazione strisciante. Questa follia è solo l’antipasto di un califfato suburbano e Sydney diverrà Sidnei al-Islam.
Perché lo tollerano? Lo scrive la Reuters, senza la mia enfasi: il governo laburista conta sui voti degli immigrati.
“Il premier australiano Anthony Albanese non ha detto nulla quando una folla si è scagliata contro la sinagoga Central Shule Chabad nella zona est di Melbourne in occasione dell’anniversario della Notte dei Cristalli” ricorda Claire Lehmann di Quillette. “E’ rimasto in silenzio quando le famiglie degli ostaggi israeliani sono fuggite dai manifestanti che li avevano aggrediti, definendoli ‘assassini di bambini’. Di nuovo silenzio quando l’ex campionessa olimpionica, senatrice australiana e indigena Nova Peris è stata circondata da una folla fanatica alla Grande Sinagoga di Sydney. Questo schema di odio sfrenato verso gli ebrei è stato seguito, mesi dopo, da manifestazioni di massa a Sydney, durante le quali ritratti della Guida Suprema iraniana Ali Khamenei sono stati portati attraverso l’Harbour Bridge”.
Il figlio terrorista era già stato segnalato alle autorità sei anni fa per i suoi legami con ambienti jihadisti. Inoltre, ha studiato presso un centro islamico che nel 2022 lo ha elogiato per la sua capacità di recitare le leggi del Corano. Ora, se al fanatismo religioso e ai legami terroristici ci aggiungi un porto d’armi, un paese ancora vivo dovrebbe allertarsi. Invece no.
Dall’ultima sparatoria di massa di trent’anni fa, l’Australia aveva avuto un “controllo delle armi” pressoché totale, molto ammirato dai sinistri americani ed europei. Per procurarsi oggi un’arma da fuoco “con licenza” si suppone che si abbia una “ragione seria” per averne bisogno, la maggior parte delle quali di natura piuttosto rustica: da “occupazione rurale” a “caccia ricreativa” (quest’ultima forse ha consentito al terrorista islamico di averne diritto, dopo tutto la stagione della caccia all’ebreo è sempre aperta). La famiglia viveva a Bonnyrigg, un sobborgo di Sydney che, nonostante condivida il nome con un villaggio scozzese, è in pieno stile Nuova Australia: il cinque per cento è assiro non aramaico, il trenta per cento buddista, il sessanta per cento è nato all’estero.
All’inizio del 2022, l’Australia ha prima revocato il permesso d’ingresso già concesso al tennista non vaccinato Novak Djokovic, poi lo ha rinchiuso in un hotel per giorni come un criminale incallito, infine lo ha costretto a lasciare il Paese e lo ha minacciato di un divieto a vita di rientro.
Nel caso di un tennista e di un virus, il governo di Canberra ha agito come il ferreo guardiano delle leggi. Quando si tratta dell’ingresso di musulmani e agenti islamisti, tutte le misure di controllo vengono ignorate per evitare di minare la dottrina della “diversità”.
Non solo. A giugno, l’Australia ha vietato l’ingresso all’ex ministro della Giustizia israeliano Ayelet Shaked e all’attivista e influencer israeliano Hillel Fuld.
Djokovic e i ministri israeliani banditi, gli islamisti benvenuti. Se questa non è decadenza mortale, non so cosa lo sia.
E ora sono i bambini e i sopravvissuti alla Shoah a pagare per la cecità degli adulti sul terrorismo islamico.
Il terribile attentato in Australia è un ulteriore segnale d’allarme per l’Europa, che ha importato al suo interno cellule dormienti e terroristiche in numero imprecisato, dove possono scatenare bagni di sangue e massacri in qualsiasi momento. Il fatto che l’Australia, tra tutti i luoghi, un tempo ammirata per le sue invidiabili politiche restrittive in materia di immigrazione, stia seguendo questo esempio, è segno di un’unica e medesima aberrazione collettiva nell’Occidente.
L’ex vice premier australiano John Anderson ha scritto che “stiamo distruggendo le istituzioni e i valori che hanno costruito e sostenuto la nostra cultura. Ogni civiltà nel corso della storia è stata guidata da idee potenti e alimentata da un significato. La nostra non è diversa. Quando questo carburante si esaurisce, accade una delle tre cose. Il carburante si rinnova, si trova un carburante alternativo o, come troppo spesso la storia ci mostra, la civiltà svanisce e viene soppiantata”.
Intanto la cittadina tedesca di Külsheim schiera le barriere contro i carri armati all’ingresso del mercatino di Natale, come quelli usati in Ucraina e in altri teatri di guerra. Questo siamo diventati, un teatro di guerra?


Parigi intanto annulla alcune festività natalizie perché il rischio che i terroristi facciano saltare tutto in aria è troppo alto. Già con il 10 per cento di islamici si devono cancellare le proprie tradizioni e si perde il proprio paese.
La demografia è destino perché tutto il resto – aliquote fiscali, pannelli solari, programmi scolastici – sono cambiamenti che possono essere ripristinati. Ma una volta che hai cambiato le persone, non c’è modo di tornare indietro.
Mi si chiede sempre: che fare? Ecco. Da qualche parte bisogna iniziare.
L’Occidente si salverà quando deciderà che alcuni popoli islamici che, oltre una certa soglia, diciamo il 70 per cento, vogliono la sharia in Occidente, non hanno diritto di entrare nei nostri paesi per portare caos, miseria, fanatismo e terrorismo. I due terroristi di Bondi Beach, originari del Pakistan, non avrebbero mai potuto uccidere tutti quegli innocenti. Saranno commesse delle ingiustizie? Senz’altro, ma l’alternativa è la fine dell’Occidente.
In fondo provengono da un paese, per dirla col capo della CIA di Homeland, che è “soltanto un cazzo di acronimo”. E l’Occidente ha diritto di dire che non meritano la nostra tolleranza.
Ma se in Italia anche i vescovi scendono in piazza per difendere gli imam del terrorismo dagli ordini di espulsione del governo, finirà che diventeremo anche noi un cazzo di acronimo.
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