Riprendiamo da LIBERO di oggi 14/12/2025, a pag. 1/15, con il titolo "Il ribelle Landini inadeguato e inefficace", il commento di Lodovico Festa.
Guardando le foto delle manifestazioni sindacali del 12 dicembre due cose mi hanno colpito: la minore partecipazione rispetto ai più recenti molteplici show landiniani (evidentemente anche manifestare stanca) e la poca presenza (nelle immagini consultate ho visto solo un “Ge.am. gestioni ambientali Genova porto”) di quegli striscioni delle organizzazioni d’impresa (tipo “la Cgil della Piaggio” o il “consiglio di fabbrica della Pirelli) che dominavano la scena dei grandi scioperi generali dal 1948 in poi.
Stanchezza e assenza di settori del mondo del lavoro rivelano la debolezza della strategia della Cgil, ma non spiegano la caparbia con cui il sindacalista reggiano si muove e che non deriva, però, come spesso si scrive, dalla sua ambizione di diventare leader della sinistra italiana.
Landini non è un Juan Domingo Peron, un generale avventuroso protagonista della politica argentina, non è uno dei personaggi inventati dalla nostra disperata politica tipo Giuseppe Conte o Elly Schlein: è un operaio di Reggio Emilia, con padre partigiano, abile contrattualista, man mano leader provinciale, regionale, nazionale della Fiom e poi segretario generale della Cgil. Certo il suo linguaggio dimostra un’inadeguatezza per il ruolo che sta oggi svolgendo, ma ha una razionalità frutto di una storia politico-sindacale.
Nella pragmatica Emilia comunista si forma tra i Sessanta e i Settanta un’area di studenti, guidata da Claudio Sabattini, impegnata nel sindacato, inquadrata dal pensiero della colta ma molto astratta ebrea polacca Rosa Luxemburg che all’inizio del Novecento insistette su come lo sciopero generale non fosse solo una forma di lotta bensì il momento essenziale nel quale la classe operaia prendeva coscienza di sé e se organizzato nel momento giusto lo sciopero generale poteva intervenire nel ciclo di riproduzione capitalistica favorendo la rivoluzione socialista: e così Giampaolo Pansa descrivendo le tendenze dell’estremismo di sinistra degli anni Settanta, definì quella “sabattiniana” la tendenza dei «ciclisti». Bruno Trentin e Giorgio Napolitano (che negli anni Settanta seguiva il sindacato per la direzione del Pci), pur considerandone l’astrattezza furono attirati non solo dalla brillantezza intellettuale dei «ciclisti» ma anche dalle loro capacità nel contrattare e diedero loro un certo spazio. Però fu un ruolo non centrale sin quando Enrico Berlinguer tra il 1979 e il 1984 vide esaurirsi la strategia del compromesso storico: l’avanzare dell’Ostpolitik le consentiva di essere realistica e la crisi dell’Unione sovietica dunque la rese impossibile. A questa grave impasse il segretario del Pci rispose con due mosse: una questione morale che preparerà il terreno per Mani pulite e poi per Beppe Grillo, e una radicalizzazione della lotta sociale con il suo fulcro prima nel contrasto alle scelte della Fiat poi nel rigetto della riforma della scala mobile. E a Mirafiori il suo punto di riferimento essenziale agli inizi degli Ottanta, fu il “ciclista” Sabattini che seguiva per la Fiom, Torino, e che poi pagò la sconfitta sua e berlingueriana con l’esilio in Calabria. Ma intanto conquistò al suo cenacolo sindacal-intellettuale il giovane operaio di Reggio Emilia che diventerà un “successore” di Giuseppe Di Vittorio.
Gli anni dopo la morte di Berlinguer videro una Confederazione generale italiana del lavoro dove molti sindacalisti s’impegnarono a ripristinare l’impostazione che il Pci aveva definito nel Secondo dopoguerra: mantenere un molto astratto ideale di avvenire socialista, ma intanto perseguire in fabbrica un’azione che tenesse insieme difesa degli interessi dei lavoratori e impegno a sviluppare l’attività economica delle imprese.
Per esempio fu l’abilità politico-sindacale di Sergio Cofferati da segretario dei chimici della Cgil a consentire alla Pirelli di ristrutturarsi nella difficile fase di deindustrializzazione dell’economia italiana.
Però una nuova prova attendeva il sindacalismo di sinistra: la fine dell’Urss e l’intensa globalizzazione dell’economia che ne conseguì. In “La sinistra di Bruno Trentin”, libro -intervista, lo storico leader sindacale muove alla sinistra l’accusa di aver trascurato il ruolo del sindacato interlocutore perla difesa dei diritti dei lavoratori, ma anche attore politico capace di influire sulle scelte economiche e sociali. Quasi un ritrarsi di un ceto politico sradicato che difende più i suoi particolari interessi piuttosto che il patrimonio ideale. E così Cofferati da segretario della Cgil non trovò mai in Massimo D’Alema, presidente del Consiglio una vera disponibilità a discutere strategicamente. Da qui ne derivò una Cgil con leader anche esperti ma con poco carisma come Guglielmo Epifani e Susanna Camusso.
Finché la disperazione consigliò di puntare su un segretario più radicale nella speranza che rivitalizzasse l’organizzazione. Al fondo i corpi sociali sono un po’ come i corpi delle singole persone: non sono solo ciò che siamo oggi ma custodiscono anche il bambino che siamo stati. Landini oggi con la sua mistica della ribellione sociale e dell’atto magico dello sciopero generale ricorda molto la tendenza anarco-sindacalistica che gareggiò con la tendenza riformista dei Bruno Buozzi nella guida dei movimenti sindacali dei lavoratori alla fine dell’Ottocento...
Si punta così essenzialmente al disagio di settori marginali del mondo del lavoro capaci esprimersi solo con la protesta piuttosto che con l’articolazione di proposte come invece fa la Cisl con le sue idee su partecipazione e patto sociale. E non ci si rende neanche conto di come settori più maliziosi del mondo delle imprese (Carlo Calenda ha ben descritto il rapporto Landini-John Elkann -Repubblica) preferiscano non avere un sindacato troppo presente nella vita delle aziende.
Però anche una linea sindacale inefficace può creare danni: in generale e in particolare in nell’attuale periodo così delicato e turbolento.
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