Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 13/12/2025, a pagina 4, il commento di Iuri Maria Prado dal titolo "Hamas si disarmi con le buone, altrimenti interverrà l'IDF".

Iuri Maria Prado
È passato ormai quasi un mese dall’adozione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che ha fissato i punti di soluzione del conflitto a Gaza.
Che cosa è successo, da allora ad oggi?
Ciò che hanno visto tutti: contro la svolta importante di quella risoluzione si è adunato un vastissimo fronte di opposizione e sabotaggio.
In alcuni casi l’avversione era esplicita, articolata nelle requisitorie degli “special rapporteur” che denunciavano gli intenti “razzial-coloniali” del piano per Gaza, contestando apertamente non solo il Consiglio di Sicurezza ma anche il vertice delle Nazioni Unite, cioè il segretario generale che aveva accolto con favore la risoluzione e auspicava che fosse attuata senza indugio.
In altri casi quell’opera di contrasto aveva le fattezze – meno sguaiate ma non meno efficaci – del muro di gomma: incassato il colpo, i sostenitori dell’idea che la guerra di Gaza potesse chiudersi tornando al 6 ottobre del 2023, con Hamas ancora in sella e ancora capace di nuocere, si sono messi al lavoro affinché la situazione restasse in quiescenza nell’assopimento generale.
Esattamente ciò su cui confidava Hamas.
Lo stomaco di quella vasta platea impegnata nella ruminazione di una militanza fallimentare non poteva digerire le due portate principali della risoluzione del 17 novembre.
La prima, simbolicamente e politicamente eversiva rispetto alla dieta narrativa abituale: Gaza non era più la Striscia afflitta da due anni di guerra e dalla risalente sopraffazione sionista, ma un bubbone radicalizzato che metteva in pericolo la sicurezza della regione e dei Paesi circostanti (non solo di Israele, dunque).
E poi la seconda, una ingestione da shock per quelle budella abituate ai brodini della pace sulla pelle degli altri: la destituzione del potere delle formazioni terroristiche di Gaza, la distruzione delle capacità militari di cui ancora esse dispongono e l’annientamento di ogni tentativo di ricostituirle.
Esattamente, e comprensibilmente, ciò che Hamas non avrebbe mai potuto accettare.
Il fronte avverso alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza ha lavorato per rendere negoziabile – e dunque per veder sostanzialmente revocato – quel doppio dispositivo di principio per la soluzione del conflitto di Gaza e per il disegno di un futuro possibile della Striscia.
È un lavoro pericoloso quanto inutile, a cominciare dagli interessi della popolazione civile palestinese, la quale – questo è semplicemente certo – non trarrebbe nessun vantaggio dalla vanificazione del piano per Gaza.
Ogni giorno che passa senza che si attivi un meccanismo di attuazione di quel piano rinvigorisce le ambizioni di sopravvivenza delle dirigenze terroristiche che ancora governano laggiù.
E ogni giorno che passa in questo modo avvicina la ripresa della guerra.
Può avvenire in due modi la smilitarizzazione della Striscia: difficilmente, ma con meno sofferenza, per mano della forza internazionale definita da quella risoluzione; oppure più facilmente, ma con più sofferenza, per mano di Israele.
La comunità internazionale deve scegliere.
Per due anni, avversando Israele, ha preferito scegliere le ragioni di Hamas piuttosto che quelle di Gaza.
Chi vuole indurla a rimettersi sulla strada sbagliata dovrebbe essere indotto a non fare ulteriore danno.
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