Mancini: «Hamas si sta riarmando» La posa conciliante è un bluff
Intervista di Aldo Torchiaro
Testata: Il Riformista
Data: 12/12/2025
Pagina: 3
Autore: Aldo Torchiaro
Titolo: Mancini: «Hamas si sta riarmando» La posa conciliante è un bluff

Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 12/12/2025, a pagina 3, l'intervista di Aldo Torchiaro a Marco Mancini, ex dirigente del DIS e analista: "Mancini: «Hamas si sta riarmando» La posa conciliante è un bluff".

File:Aldo Torchiaro.png - Wikipedia
Aldo Torchiaro

Marco Mancini

Marco Mancini, per anni ai vertici dei servizi segreti, continua a disporre di informazioni di prima mano che, a suo giudizio, dovrebbero mettere Israele in massima allerta. Una premessa positiva, però, la sottolinea lui stesso: «Finalmente l’ONU certifica che Hamas e altri gruppi islamici, il 7 ottobre 2023, hanno commesso crimini contro l’umanità. È un dato oggettivo. E certifica anche che oltre cento ostaggi israeliani sono stati violentati. Ora è difficile continuare a minimizzare».

Ma al netto di questo riconoscimento, Mancini non vede alcuna reale disponibilità di Hamas a deporre le armi. «Ha sfruttato la tregua per ristrutturare battaglioni, unità e infrastrutture militari. Recuperano fiato, raccolgono fondi, rinforzano gli arsenali». La presunta apertura annunciata da Khalil al-Hayya a Sharm el-Sheikh sarebbe, secondo Mancini, priva di ogni fondamento: «Dal suo hotel di lusso in Qatar, ha parlato senza alcun consenso della componente militare. Parallelamente, Ezzedine al-Dad, il comandante delle brigate, vive nei tunnel ricostituiti. E non deporrà proprio nulla».

I tunnel, infatti, restano un elemento cruciale. «Quelli distrutti sono stati ricostruiti a Khan Younis e Gaza City. Sottoterra operano due comandi generali con 25-30 mila uomini sotto al-Dad, nettamente contrario al disarmo». È una doppiezza sistemica: «In pubblico dicono una cosa, in privato ne fanno un’altra. Al-Dad accusa al-Hayya di parlare dagli hotel mentre lui resta nei tunnel con 30 mila miliziani. Non si arrenderanno».

La spaccatura interna ad Hamas, spiega Mancini, è storica: «Le due anime si sono sempre combattute. Eliminato Sinwar, comanda al-Dad, e la linea è quella della prosecuzione della guerra». La ricostituzione dell’apparato militare procede, anche grazie al reclutamento di nuove leve: «Pagano bene chi si unisce e formano nuovi combattenti. Eppure il 70% dei palestinesi non vuole Hamas: voterebbero Barghouti, in carcere e in dissidio con Abu Mazen».

Sul fronte internazionale, gli Stati Uniti mantengono una posizione incerta. «Washington vuole la scarcerazione di Barghouti, l’unico leader riconosciuto dai palestinesi, e vorrebbe una base a Gaza. Ma Hamas non accetterà mai la presenza stabile di 200 marines». L’ala politica del movimento non è più conciliante di quella militare: «Al-Hayya e al-Dad, su questo, sono perfettamente d’accordo: non si fidano e non vogliono presenze occidentali nell’enclave».

La logica del movimento resta una sola: la guerra. «Vivono di guerra e la impongono ai palestinesi: chi si ribella viene giustiziato dal gruppo di Mohamed Rajab». Una vaghezza calcolata continua ad accompagnare i proclami dell’ala politica: «Non hanno mai definito cosa significhi ‘disarmo’. Per loro avere armi è normale. Nessuno conosce il numero dei missili: sono migliaia. E nei tunnel preparano da mesi droni destinati esclusivamente a colpire Israele».

Mancini è esplicito anche sui numeri: «Hanno già 600 droni pronti per missioni kamikaze. Questo significa una sola cosa: si stanno predisponendo alla prossima guerra, che ritengono inevitabile». La ricostruzione dell’apparato militare richiede denaro, e secondo Mancini non manca: «Hamas continua a ricevere fondi e criptovalute da Iran, Qatar e dalla diaspora palestinese, anche negli Stati Uniti. L’ala militare è ricca e punta tutto sulla distruzione di Israele».

Il Qatar non avrebbe affatto interrotto i finanziamenti: «Continua a foraggiare Hamas. E quei soldi finiscono in armi, droni, tunnel. Dopo il 7 ottobre anche alcuni imprenditori palestinesi americani hanno rifinanziato il movimento». Sul versante internazionale, la Turchia rimane una piattaforma fondamentale: «È sempre stata lo sponsor dell’ala militare. Il suo apparato di sicurezza è schierato con Hamas». E la responsabilità arriva al vertice: «In Turchia non si muove foglia che Erdogan non voglia. Come in Libia sostiene le milizie locali, così sostiene Hamas. Non sta con noi né con l’Europa».

Un quadro che, nella lettura di Mancini, indica una sola direzione: Hamas non intende fermarsi. Anzi, si prepara alla prossima guerra.

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