La nostra decadenza è un ridicolo streap-tease
Newsletter di Giulio Meotti
Testata: Newsletter di Giulio Meotti
Data: 12/12/2025
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: La nostra decadenza è un ridicolo strip-tease davanti al mondo

Riprendiamo l'articolo di Giulio Meotti, dalla sua newsletter, dal titolo: "La nostra decadenza è un ridicolo strip-tease davanti al mondo". 


Giulio Meotti

Russi che avanzano, cinesi che comprano, americani che criticano, islamici che conquistano e noi facciamo la fila per il gelato d’inverno.

E ora il Titanic d’Europa si è scontrato con l’iceberg di Trump.

“La domanda principale non è dove verrà tracciata la linea di demarcazione tra Ucraina e Russia, ma se l’Europa emergerà dal suo stato di torpore e debolezza” per dirla con Walter Russell Mead a Le Figaro.

Gli europei continuano a indossare la maschera dei difensori a chiacchiere dell’“ordine mondiale” in rapido collasso, ma la storia ci ricorderà come quelli che, quando si è arrivati ​​al dunque, abbiamo barattato Hegel e la dialettica della storia con l’empireo delle buone intenzioni e l’intrattenimento per bambini.

Benvenuti nel più bel parco a tema del mondo: Europa Land – Where History Goes to Die But With Style.

Leggo su Politico l’economista Andrea Dugo:

“Alla fine del 1400, l’Italia era il gioiello d’Europa. Venezia dominava i mari; Firenze dominava l’arte e la finanza; Milano era all’avanguardia nel commercio e nella tecnologia. Nessun angolo del mondo occidentale era più avanzato. Eppure, nel giro di decenni, sia la sua indipendenza politica che il suo primato economico svanirono. L’Europa oggi rischia un destino simile. L’Europa rischia di diventare una provincia in un mondo definito da altri. E ha tutto da imparare dal declino dell’Italia, che è caduta preda di potenze straniere che alla fine hanno smembrato la penisola”.

L’Europa di oggi ricorda la Repubblica di Venezia nel XVIII secolo: ricchissima, raffinatissima, coltissima e strategicamente irrilevante. Produceva vetri di Murano e trattati di diritto internazionale mentre perdeva una dopo l’altra le sue colonie e la sua flotta.

E alla fine Napoleone la cancellò con un tratto di penna.

Se Emmanuel Macron arretra di fronte alla cariatide algerina Abdelmadjid Tebboune che ha preso in ostaggio un vecchio scrittore francese malato come Boualem Sansal, come potrebbe tenere testa a Vladimir Putin e Xi Jinping?

Macron, l’europeo in teoria con le carte migliori in mano (un esercito serio, un seggio che conta al Consiglio di sicurezza dell’Onu, un arsenale nucleare, ancora qualche gioiello industriale e la velleità da grandeur) è come un cortigiano davanti a un sultano offeso. Quel vecchio leone letterario di Boualem Sansal è stato il trofeo: Tebboune lo ha graziato e Macron ha balbettato “grazie per l’umanità” come un suocero che ringrazia per il ritorno della nuora rapita.

La notizia della liberazione di Sansal è stata un sollievo. Ma come scrive su Le Figaro Ferghane Azihari, “raramente la diplomazia francese è apparsa così succube dei capricci della dittatura algerina. Senza dubbio avrebbero esitato a fare del male a un cittadino di uno Stato disposto a esigere un prezzo elevato per una simile provocazione. Un ‘equilibrio di potere’ è richiesto contro la Russia di Putin per contenere la sua offensiva in Ucraina, ma viene dichiarato obsoleto di fronte a una dittatura del Maghreb il cui Pil pro capite è tre volte inferiore al nostro. L’ex potenza coloniale è ridotta a implorare la liberazione dei suoi cittadini, a fare appello ai paesi stranieri e a ringraziare pubblicamente coloro che li tenevano prigionieri. Come scrisse Thomas Sowell, ‘se non siete pronti a usare la forza per difendere la civiltà, preparatevi ad accettare la barbarie’”.

La verità è che abbiamo distrutto le nostre difese immunitarie che mancheranno quando i veri fascisti saranno alle porte del potere (e non è difficile capire quale bandiera sventoleranno, nera e con le scritte bianche in arabo).

Macron ha detto: “Per essere liberi, bisogna essere temuti e noi non stati temuti abbastanza”. Profezia che si autoavvera.

Ma per essere, se non temuti, almeno rispettati, bisogna essere liberi. E per essere liberi, bisogna essere solvibili.

Con un debito di 3.346 miliardi di euro, il 114 per cento del Pil e 5.000 euro presi in prestito ogni secondo, Marianna la cicala non ha credibilità né margine di manovra e Macron ora va da Xi Jinping a chiedergli una mano sull’Ucraina.

Ecco allora, rivela il Financial Times, che a fronte di tutte le chiacchiere europee sulla sovranità industriale i colossi europei si stanno spostando in Cina (ma ci saziamo di morale dando addosso ai dazi di Trump).

L’Europa fantastica ancora di essere una “terza forza”, una forza della ragione, della moderazione, della cultura e della stabilità; ma suona tanto come una sorta di polizza di assicurazione sulla vita intrappolata nella retorica del “bene comune”, del pentimento e dell’autoflagellazione, armata di due pedoni e un cavallo, e con cui l’Europa vorrebbe pacificare la scena mondiale.

È con la bassa marea che si vede chi indossa un costume da bagno. L’oceano è vuoto e l’Europa è nuda. Il vecchio continente non ispira più paura né sogni. E può finalmente ritirarsi dalla storia.

Ora quello che si vede è un nano politico, orfano militare, castrato diplomatico, cornuto economico. Russi, cinesi, americani, indiani, la quinta colonna islamista, tutti si leccano i baffi.

Siamo la prova che la decadenza non è un crollo improvviso: è un lento, elegante strip-tease davanti al mondo.

La nostra storia non è priva di periodi bui né di politiche mediocri e impotenti. La novità oggi sta nell’impasse, nella stranezza e nella sensazione (è davvero solo una sensazione?) di essere intrappolati in una morsa tra fanatici interni e fautori esterni del caos, e imbecilli, distaccati dalla realtà, al potere.

Le forze della “disintegrazione e dello smembramento” – per usare le parole di Ortega y Gasset – sono all’opera nell’Europa di oggi.

Il Gibbon scrisse Declino e caduta nel 1776 e noi stiamo girando il director’s cut a puntate.

Tutte le nostre chiacchiere politiche, retorica stantia, spavalderia insipida e ambiziosa, sfornata da strateghi da poltrona, sta minando il continente.

Decine di think tank europei, miliardi di fondi di “coesione” e di tasse presumibilmente destinate a finanziare scooter a idrogeno e decarbonizzare tutto, per cosa? Una sfilza di acronimi vaghi e inclusivi, percorsi che non portano da nessuna parte.

L’obeso fantino di Bruxelles si crede il cavallo.

Ma un federalismo senza radici e senza difesa, in mano a gente per cui il progressismo è come gli spaghetti, da cucinare con ogni salsa, è più rischioso del bungee jumping senza corda elastica.

Il 23 febbraio 2022 scrissi un articolo che non avrei mai voluto rispolverare, tanta tristezza mi incute la tragedia ucraina: “L’Occidente alla guerra per l’UkrainistanIn questa ‘Kabul al borsch’, l’unico serio è Putin”.

Siamo al trionfo dei figli travestiti da padri che parlano di difesa come se organizzassero audit di sostenibilità e che credevano che la storia fosse un podcast su Spotify, non un mattatoio. O per dirla con Wolfgang Münchau, “gli europei sono procuratori, giurie e giudici nei loro processi immaginari. Si considerano dalla parte giusta dello spettro delle virtù”.

Münchau fa l’esempio della Francia: “Prendete il contributo francese, o la sua mancanza. Macron è uno dei più accaniti sostenitori dell’Ucraina. Eppure il governo francese sta stanziando solo 120 milioni di dollari per gli aiuti all’Ucraina nel suo bilancio 2026. Anche Italia e Spagna, altri due grandi paesi europei, spendono poco. Come nessun altro presidente degli Stati Uniti prima di lui, Trump smaschera le illusioni dell’Europa, la sua mancanza di pensiero e azione strategici. Ecco perché gli europei lo odiano così tanto. E invano”.

“Sappiamo che mentono, sanno anche loro che mentono, sanno che noi sappiamo che mentono, sappiamo anche che loro sanno che noi sappiamo, eppure continuano a mentire” (Solženicyn).

E così l’Europa si ritrova ora a essere soltanto quel posto magnifico dove vanno tutti in vacanza. E un museo, sempre secondo il superbo Münchau, dove i turisti si scattano selfie sulle rovine con in mano il biglietto che dice “I survived the decline”.

Mentre Cina e Stati Uniti si sono fatti i muscoli – centrali nucleari, linee di produzione, portaerei – l’Europa ha coltivato l’illusione di poter vivere di rendita morale, di soft power e di normative sempre più sofisticate su tutto, tranne che sulla propria sopravvivenza e che servono soltanto a dare lavoro a legioni di avvocati e consulenti bruxellesi.

Quando ci si abitua alla pigrizia, è molto difficile uscirne”, dice Carlos Tavares, l’ex capo di Stellantis.

I nostri numeri sono impietosi e parlano più di qualsiasi editoriale.

L’Europa importa oggi il 60 per cento del gas (contro il 40 per cento del 2000), il 97 per cento del litio, il 98 delle terre rare e il 75 del cobalto raffinato, e quasi tutto dalla Cina. Il Green Deal, presentato come salvezza climatica, si è rivelato il più grande trasferimento di ricchezza dalla classe media europea alle aziende cinesi e il più grande regalo che l’Europa abbia mai fatto a Pechino dai tempi di Marco Polo. La Cina controlla l’85 per cento della raffinazione globale del litio e il 70 per cento dei catodi per batterie (Benchmark Minerals). L’Europa, invece, ha una sola gigafactory degna di questo nome (Northvolt, ma ha già fallito) e si vanta di avere le norme più severe al mondo sul contenuto di nickel nelle batterie.

Complimenti. O per dirla col Wall Street Journal, “l’Europa ha ridotto le emissioni di Co2 ed è diventata più povera”.

Il declino non era inevitabile.

Sarebbe bastato non chiudere il nucleare, non demonizzare il gas naturale, non trasformare ogni decisione industriale in un referendum ideologico, ma soprattutto non credere che si potesse essere una superpotenza regolatoria in un mondo darwiniano. Ma abbiamo scelto diversamente. Abbiamo preferito la purezza morale alla potenza, il consenso al coraggio, la rendita alla responsabilità.

E in un mondo dominato dalla potenza, siamo solo agnellini. E gli agnelli non vincono mai contro i lupi: al massimo ottengono di essere mangiati per ultimi, dopo un lungo dibattito sull’etichettatura della carne.

La vera domanda è come riprendersi da due generazioni europee vittime di naufragio educativo, cretinizzazione digitale, collasso culturale, caos migratorio, comunitarismo islamico, pacifismo da rentier, slogan triti e ritriti riversati nella piastra per waffle dei cliché sociologici e geopolitici.

Siamo una nave alla deriva, senza motore, timone e bussola, con un equipaggio sull’orlo dell’ammutinamento, ignari che il capitano ha in mano un flute di champagne mentre il Titanic affonda.

Produciamo borse di lusso, mentre la componentistica seria, i chip, le terre rare, le batterie le fanno tutti gli altri, per non parlare dell’energia.

Nel 1990 producevamo il 25 per cento dei chip mondiali. Nel 2025, il 7 per cento.

Avremmo dovuto investire in una vera industria europea che producesse cose che servono, non solo creme antirughe e scarpe da ginnastica da 800 euro. Intanto Xi Jinping ringrazia, incassa i nostri miliardi e usa i nostri soldi per costruire la flotta che un giorno ci prenderà Taiwan sotto il naso mentre noi discutiamo se il nickel nelle batterie violasse i diritti umani dei congolesi.

Avremmo dovuto investire nell’energia europea invece di supplicare alla canna del gas di Qatar, Azerbaijan e Algeria.

Avremmo dovuto investire nella nostra difesa invece di indossare questa assurda cintura di castità arrugginita con la chiave in mano a qualcun altro (in attesa, rivela il Wall Street Journal, chiediamo a Israele la tecnologia militare necessaria per proteggerci).

Quando Trump nel 2018 ci disse “pagate il 2 per cento del Pil per la Nato o arrangiatevi”, noi europei reagimmo come la moglie tradita che scopre il marito con l’amante: scenate, pianti, “sei un bruto”, ma alla fine restiamo lì a subire perché non abbiamo altro tetto.

L’Europa oggi è la caricatura di se stessa: un posto dove si vieta la plastica nelle cannucce ma si importa il 98 per cento delle terre rare dalla Cina.

Questa è l’Europa di venditori di cavolfiori biologici e delle regine di rose vegane che indicono vertici sui missili solari, i carri armati elettrici e il “Corano europeo” con un velo inclusivo e una Jihad benevola. Alla ricerca del burqa organico dal volto umano, due tre quattro cinque fanatismi uniscono intanto le forze per rovesciare il nemico comune, l’Occidente.

Il progressismo ha intanto abbandonato il pensiero e la ragione, gesticolando in sofismi e ossessioni – virilismo, mascolinismo, populismo, razzismo, sovranismo – un vago e ipocrita miscuglio di profezie autodistruttive che alimentano quei fanatismi dove il cerchio si chiude.

Siamo così sopraffatti dalla storia. Da ragazzini dai capelli colorati oppressi dall’IDF. La situazione è troppo disperata per essere presa sul serio.

Tutti fingono di aver sentito l’ultimo avvertimento prima dell’inizio del conto alla rovescia per il futuro.

Intanto la nostra storia viene ritoccata come le foto ufficiali sovietiche durante le purghe. E il peggio è che lo facciamo con l’arroganza di chi è convinto di essere moralmente superiore mentre viene spogliato vivo.

La verità è che siamo il nano da giardino del mondo nel prato della storia: carino, inutile e col sorriso di ceramica; il mondo gli passa accanto e di tanto in tanto gli dà una pedata per vedere se è ancora vivo.

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