Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - il commento di Jeff Ballabon dal titolo "Gesù “palestinese” e la nuova accusa di deicidio. Trasformare l’ebreo più iconico della storia in un “palestinese” mira a cancellare la storia degli ebrei e il loro bimillenario legame con la Terra d’Israele".
Scrive Jeff Ballabon: L’onnipresente propaganda secondo cui Gesù era “palestinese” è allo stesso tempo ridicolmente assurda e tremendamente seria. Viene ripetuta da influencer, attivisti, persino da politici eletti e dal clero, senza la minima ironia ed anzi con forte passione e convinzione. Ma non si tratta semplicemente di un innocente travisamento della storia antica. È un deliberato capovolgimento, usato come un’arma per giustificare violenze e cancellare un popolo: il popolo di Gesù, gli ebrei. Partiamo dai fatti. Gesù era ebreo. Era nato da genitori ebrei, viveva in Giudea, pregava nel Tempio ebraico e venne crocifisso dall’Impero Romano al tempo in cui occupava la patria ebraica (accusandolo, stando al titulus crucis I.N.R.I. menzionato nei Vangeli, di essere un eversivo “re dei Giudei” ndr).
Non solo Gesù non era palestinese. Ma il termine stesso “Palestina” non esisteva nemmeno al tempo in cui visse Gesù.
Il termine venne coniato e imposto dai Romani quasi un secolo dopo la morte di Gesù, quando nel 135 e.v. ribattezzarono la Giudea “Palaestina” dopo aver represso nel sangue la rivolta ebraica di Bar Kochba. L’obiettivo dei Romani era quello di umiliare gli ebrei ribelli cancellando il nome della loro patria e sostituendolo con quello degli antichi nemici degli ebrei, i Filistei.
Gli arabi arrivarono in Giudea/Palestina solo 600 anni dopo la vita di Gesù, durante le conquiste islamiche del VII secolo (la Legge fondamentale dell’Autorità Palestinese approvata a Ramallah il 29 maggio 2002 stabilisce all’art.1 che “il popolo palestinese fa parte della nazione araba” e all’art. 4 che “l’islam è la religione ufficiale della Palestina” ndr).
E solo duemila anni dopo il tempo di Gesù, il termine “palestinese” venne usato per descrivere i residenti non ebrei della regione, per la maggior parte arrivati in quella terra solo nei decenni precedenti dal Medio Oriente e dal Nord Africa in cerca delle opportunità di lavoro che trovavano proprio grazie al nascente risorgimento della comunità ebraica nel paese.
Quindi, no, Gesù non era palestinese.
A meno che, naturalmente, “palestinese” non sia semplicemente un insulto Romano per “ebreo”. In tal caso, Gesù era palestinese così come lo sono gli ebrei di oggi: la popolazione indigena della Terra d’Israele.
Ma non è questo il significato della narrazione moderna.
Si tratta invece di una campagna, rilanciata anche da organismi internazionali quali l’UNESCO che designa antichi siti ebraici – come la Tomba dei Patriarchi a Hebron e il Monte del Tempio a Gerusalemme – come “siti del patrimonio musulmano”.
La campagna viene rafforzata dai media e dai dipartimenti di studi mediorientali che cancellano millenni di storia ebraica riferendosi a questi luoghi solo con i nomi arabi e descrivono la presenza ebraica (mai scomparsa del tutto nel corso dei secoli) come una “invasione” o una “occupazione”.
L’impulso a trasformare l’ebreo più iconico della storia in un “palestinese” è lo stesso che cerca di separare gli ebrei dalla loro patria ancestrale, riscrivere le Scritture e l’archeologia e de-giudaizzare retroattivamente i luoghi più sacri dell’ebraismo.
Oggi, definire Gesù “palestinese” non è un atto di solidarietà storica. È il fondamento di un moderno dogma politico di sostituzione e contraffazione.
In questa nuova narrazione, Israele non è solo un paese: è l’incarnazione del male cosmico. Gli ebrei non sono semplici cittadini, sono l’incarnazione colpevole dell’oppressione.
E i palestinesi non sono semplicemente una popolazione: sono un simbolo sacro, una figura redentrice come quella di Cristo, su cui si proietta ogni sofferenza, ogni innocenza, ogni virtù.
Gesù non era “palestinese”, ma oggi ogni “palestinese” è Gesù: è la nuova accusa di deicidio. E “Palestina libera” è il nuovo autodafé (la pubblica condanna che l’Inquisizione infliggeva agli “eretici” impenitenti ndr).
È lo stravolgimento delle categorie morali. Gli ebrei, reintegrati nella loro antica patria nel più straordinario atto di rinascita di un popolo indigeno, vengono etichettati come “usurpatori coloniali”. E un barbaro culto della morte genocida che glorifica apertamente omicidi di massa, stupri violenti e decapitazioni viene canonizzato come vittima.
E così, all’indomani del più barbaro e selvaggio attacco contro gli ebrei dai tempi della Shoah, postato in modo macabro e gongolante dai “palestinesi” sui social media, studenti ebrei vengono terrorizzati nei campus universitari, sinagoghe vengono vandalizzate, ristoranti kosher vengono distrutti, folle in tutto il mondo gridano “Palestina libera dal fiume al mare”, “globalizzare l’intifada”, “morte agli ebrei”.
È l’odio più antico in abiti nuovi, l’antica calunnia impacchettata negli hashtag. Un anti-ebraismo pseudo-teologico adattato a un mondo secolarizzato.
La menzogna “Gesù era palestinese” non riguarda affatto Gesù. Riguarda la giustificazione della violenza contro gli ebrei, che inizia cancellando la loro storia.
È un modo per assolvere l’antisemitismo, per autorizzare le violenze, ed è un’esortazione a cancellare non solo il passato degli ebrei, ma anche il loro futuro.
(Da: jns.org, israele.net, 13.7.25)
Per inviare a israele.net la propria opinione, cliccare sull'indirizzo sottossante
http://www.israele.net/scrivi-alla-redazione.htm