Contro i falsi san Francesco
Newsletter di Giulio Meotti
Testata: Newsletter di Giulio Meotti
Data: 03/12/2025
Pagina: 1
Autore: Giulio Meotti
Titolo: Contro i falsi San Francesco che invece di predicare agli uccelli difendono i lupi

Riprendiamo l'articolo di Giulio Meotti, dalla sua newsletter, dal titolo: "Contro i falsi San Francesco che invece di predicare agli uccelli difendono i lupi". 


Giulio Meotti

Nella Divina Commedia, Maometto è squarciato nel petto, dalla fronte all’ano, nella nona bolgia dell’Inferno dantesco, destinata ai seminatori di discordia.

Otto secoli dopo a Torino (la città più islamizzata d’Italia) un successore di Pietro – Derio Olivero, vescovo di Pinerolo e presidente della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della CEI – scende in campo per difendere un noto predicatore islamico che, senza metafora, ha benedetto chi il 7 ottobre 2023 ha aperto petti, ventri e crani con più entusiasmo di quanto Dante avrebbe mai osato immaginare e che lo stato italiano sta ora cercando di cacciare dal paese.

Mohamed Shahin ha definito “legittima resistenza” il 7 ottobre 2023: 1.200 ebrei massacrati, donne stuprate davanti ai cadaveri dei mariti, bambini rapiti e uccisi, 251 ostaggi.

“Opinioni” che dovrebbero valere un biglietto di sola andata per il paese d’origine, l’Egitto, non una petizione firmata da un vescovo.

Per il Viminale, Shahin è un pericoloso estremista islamico da espellere. Per la sinistra e la Chiesa, un simbolo da difendere. E un gruppo di antagonisti, in nome dell’imam, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa, un giornale che ce la mette tutta per compiacere gli estremisti rossi e verdi.

La storia spesso si ripete: in questo caso la prima volta come tragedia, la seconda come sinodalità.

Quella Chiesa che un tempo mandava missionari a morire sgozzati piuttosto che rinnegare, oggi manda i suoi vescovi a genuflettersi davanti a chi considera cristiani ed ebrei infedeli da sottomettere.

Non è dialogo: è un monologo in cui uno parla di pace e l’altro prepara la conquista lenta, paziente, demografica e culturale. È un dialogo tra il coniglio e il lupo.

Una Chiesa alla deriva, dall’approvazione del presepe islamizzato alla negazione della matrice religiosa delle stragi di cristiani.

E non è la prima volta che i vertici della Chiesa inciampano nel loro zelo ecumenico inciampando dritti nelle braccia dei lupi.

L’arcivescovo di Pisa, Giovanni Paolo Benotto, ha dialogato sotto la Torre con l’imam Mohammad Khalil, che ha incitato al terrorismo. L’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, ha dialogato con l’imam Brahim Baya, assurto alle cronache per il sermone all’Università di Torino in cui inneggia al Jihad.

Senza contare l’imam bolognese Khan (espulso per difesa del terrorismo) e che troviamo seduto al fianco di Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza Episcopale Italiana

E ricordiamo Papa Francesco stesso, che nel 2019 firmò con l’imam di Al-Azhar un documento sulla fratellanza umana, ignorando che lo stesso imam insegna nei suoi testi che i non-musulmani sono “infedeli da convertire o combattere”.

Hanno trasformato il “porgere l’altra guancia” in “porgere il collo alla scimitarra”.

Un capitolo da antologia del buonismo cattolico: un vescovo che difende un imam accusato di aver benedetto i terroristi. L’imam rischia l’espulsione non per fede, ma per aver benedetto il sangue.

Ma ecco il novello San Francesco che invece di predicare agli uccelli predica ai lupi: “In Italia c’è libertà di opinione. Mobilitiamoci”. Sottigliezza teologica: per il vescovo, giustificare il pogrom più documentato della storia recente è una “opinione”, alla stregua di preferire Manzoni a Leopardi.

E se un prete dicesse che i cristiani dovrebbero “resistere con le armi” ai musulmani? O la libertà di opinione vale solo quando il boia urla “Allahu Akbar”?

Beati gli apologeti del massacro, perché di loro sarà il regno del dialogo?

Questa vicenda è lo specchio perfetto dello stato attuale di larga parte dell’episcopato italiano: disposto a tutto pur di non apparire “islamofobo”, anche a costo di legittimare chi, dalla moschea, insegna dottrine che considerano l’ebreo un nemico e il cristiano uno da sottomettere.

Continuiamo a scandalizzarci per quel personaggio minore di Francesca Albanese, quando è molto più scandaloso che vescovi si schierino con gli imam del terrorismo.

Per questo il cardinale Reinhard Marx, il più alto prelato cattolico di Germania e uomo di fiducia di Papa Francesco, ha chiesto una pausa: “Basta dialogare con l’Islam che giustifica l’omicidio di massa”.

È la sindrome di Gibbon rivisitata: l’Impero romano non cadde per le invasioni barbariche, ma perché i romani smisero di credere che valesse la pena difenderlo. Jacob Burckhardt, nelle Considerazioni sulla storia universale, aggiungeva che le civiltà muoiono quando smettono di credere di dover essere difese.

Questa è Brooklyn, New York:

Oggi i vescovi europei – discendenti di Gregorio VII che faceva inginocchiare gli imperatori – si inginocchiano davanti a chi considera l’Occidente blasfemia da punire con la morte e propinano un brodo annacquato servito tiepido per non scottarsi le dita con la verità. È il trionfo del relativismo che Benedetto XVI chiamava “dittatura”: non quella dei carri armati, ma quella del sorriso inclusivo.

Nel 1835 il grande Alexis de Tocqueville, visitando l’Algeria appena conquistata, scrisse: “L’islamismo è la religione che ha più completamente confuso e fuso il potere politico e quello religioso; è per questo che è incompatibile con la civiltà europea”. Due secoli dopo, i suoi pronipoti spirituali – vescovi, pastori, rabbini progressisti – lo smentiscono con la stessa foga con cui i giacobini smentivano l’Ancien Régime: organizzando petizioni per tenere in Italia chi applaude al massacro.

La libertà di opinione, invocata da Olivero, è un principio illuminista che presuppone un terreno comune: la ragione, il rispetto della vita umana, il rifiuto della violenza come argomento teologico. Quando uno dei dialoganti considera il massacro un atto di culto, il dialogo diventa monologo armato. San Tommaso d’Aquino, che pure dedicò la Summa contra Gentiles a convertire i musulmani con la ragione, sapeva distinguere: “Contra factum non valet argumentum”. Contro il fatto – 1.200 cadaveri, 250 ostaggi, neonati decapitati – non vale l’argomento del “uomo di dialogo”.

Eppure, i nostri vescovi preferiscono il sincretismo al discernimento in un’utopia ecumenica che puzza di dhimmitudine.

Monsignor Olivero chiuda gli occhi un attimo e immagini: se un prete cattolico in qualsiasi paese islamico (se ce ne sono ancora) definisse “legittima risposta” la strage di 3.000 musulmani in Nigeria, quanto durerebbe?

Dante, se potesse aggiornare la Commedia, metterebbe il vescovo di Pinerolo nel girone dei tiepidi – quelli che “vissero senza infamia e senza lode”. Ma in fondo è solo l’ultimo atto di una Chiesa che ha scambiato il martirio con il dialogo e la verità con la menzogna.

Nel frattempo, l’imam ringrazia, prega cinque volte al giorno verso La Mecca, e aspetta che la next generation completi l’opera.

O la Chiesa si sveglia, prima che il dialogo diventi capitolazione, altrimenti si prepari: la prossima omelia la diranno in arabo e con il rosario sostituito dal tasbih.

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