Ricostruire Gaza: l’insidia sta nei dettagli
Commento di Ben Cohen
(Traduzione di Yehudit Weisz)
https://www.jns.org/reconstructing-gaza-the-devil-is-in-the-detail/

Ben Cohen
Senza dubbio, l'approvazione della Risoluzione 2803 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla ricostruzione postbellica di Gaza è stata un trionfo per la diplomazia americana. Redatta dagli Stati Uniti e accolta con entusiasmo il 17 novembre da una schiera di nazioni mediorientali e islamiche - tra cui Qatar e Turchia, due degli avversari più insidiosi di Israele - la risoluzione ha ottenuto 13 dei 15 voti del Consiglio. Russia e Cina, due dei cinque membri permanenti con potere di veto, hanno deciso di non opporsi alla risoluzione, anzi, si sono astenuti docilmente. Tuttavia, gli ostacoli diplomatici per impedire l'approvazione della risoluzione non sono nulla in confronto agli intoppi politici e strategici che si frappongono alla sua attuazione. Nelle situazioni postbelliche qualora venissero dispiegate forze esterne per garantire la stabilità, per tradizione si era fatta una distinzione tra mantenimento della pace e imposizione della pace. Le operazioni dei “Caschi Blu” disposte dalle Nazioni Unite sono regolate dal Capitolo VI della Carta delle Nazioni Unite, che limita queste missioni a compiti di monitoraggio, mediazione e negoziazione tra le parti belligeranti, o dal Capitolo VII, che consente l'uso della forza nell'applicazione del mandato.
Da quanto ho potuto capire, la Forza Internazionale di Stabilizzazione (ISF) per Gaza proposta dalla Risoluzione 2803 rientra più nel Capitolo VII che nel Capitolo VI. Inoltre, sebbene l'ISF abbia l'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, non sarà gestita dal Dipartimento di Mantenimento della Pace delle Nazioni Unite a New York. In quest'ottica, l'ISF assomiglia molto alla KFOR, la Forza di Mantenimento della Pace guidata dalla NATO, istituita in Kosovo dopo la sconfitta del regime serbo nel 1999, il cui status giuridico è stato anch'esso sancito da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza.
La KFOR, tuttavia, era nata in seguito a una prolungata campagna di bombardamenti della NATO contro la Serbia per arginare la brutale pulizia etnica della maggioranza albanese in Kosovo. Otto giorni dopo l'arrivo della KFOR, i serbi si erano ritirati completamente dal Kosovo. Nella Striscia di Gaza, invece, da quando è stato annunciato il cessate il fuoco a metà ottobre, Hamas si è rafforzato ancora di più. Secondo i termini del cessate il fuoco, Hamas dovrebbe procedere al disarmo. Ma il gruppo terroristico non ha alcuna intenzione di farlo. Subito dopo l'approvazione della Risoluzione 2803, una dichiarazione di Hamas ha affermato che le presunte funzioni dell’ISF, “incluso il disarmo della resistenza, la privano della sua neutralità e la trasformano in una parte del conflitto a favore dell’occupazione.” Anche con un mandato che ne consenta l'applicazione, è molto difficile immaginare che le truppe della ISF – molte delle quali provengono da Paesi musulmani con una comprovata esperienza di sostegno alla causa palestinese – si scontrino con i terroristi di Hamas nel tentativo di disarmarli. In effetti, l'avversione all'imposizione della pace è una delle ragioni principali per cui sia la Giordania sia gli Emirati Arabi Uniti hanno escluso la partecipazione delle loro truppe. Sono diffidenti, forse comprensibilmente, di essere percepiti come coloro che fanno il lavoro sporco per conto di Israele e in questo senso sono determinati a non mettere a repentaglio la vita dei loro soldati. Se le truppe della ISF venissero schierate senza un verificabile impegno da parte di Hamas al disarmo, allora il paragone corretto non è con la KFOR, ma con l'UNIFIL (Forza d’Interposizione delle Nazioni Unite in Libano), la forza di mantenimento della pace delle Nazioni Unite composta da 10.000 uomini, schierata nel Libano meridionale dopo la guerra tra Hezbollah e Israele del 2006. Proprio come a Gaza, anche in Libano era stata posta una precisa richiesta a Hezbollah di rinunciare alle armi, come previsto dalla Risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza. Ma nessuna parte esterna era disposta a ricorrere alla forza, se necessario, per raggiungere questo risultato, e così era stata schierata l'UNIFIL mentre Hezbollah rimaneva armato fino ai denti.
Il mondo è sul punto di commettere lo stesso errore con Hamas a Gaza. E la vittima di questo errore sarà Israele, che dovrà tenere conto della presenza di migliaia di soldati stranieri ogni volta che le Forze di Difesa Israeliane saranno costrette a rispondere militarmente alle provocazioni di Hamas. Se le truppe dell’ISF finissero per diventare danni collaterali in un attacco israeliano, il copione si scriverebbe praticamente da solo: lamentele per la presunta brutalità israeliana, condanne alle Nazioni Unite e in altri forum mondiali per presunte violazioni israeliane del cessate il fuoco, tentativi da parte di legislatori filo-palestinesi di imporre o reimporre embarghi militari e commerciali contro Israele, e così via. Questi esiti, prevedibili, potrebbero anche essere oscurati da tensioni molto meno prevedibili tra Gerusalemme e Washington. Mentre gli Stati Uniti condividono l'obiettivo israeliano di smantellare Hamas, sono anche profondamente legati all'idea dell’ISF e consapevoli della necessità di mantenere i propri alleati arabi dalla loro parte. Israele ha quindi fatto bene ad accogliere con favore l'approvazione della Risoluzione 2803, se non altro per mantenere buoni rapporti con Washington. Deve anche cooperare con l’ISF per lo stesso motivo. Ma tutto ciò non significa che Israele non possa esigere determinate garanzie, soprattutto perché la ricostruzione di Gaza prevista dagli Stati Uniti non può procedere senza il consenso israeliano. Una richiesta che Israele può giustamente porre è che tutti i Paesi che forniscono truppe all’ISF abbiano piene relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico o le assumano prima di inviare i propri contingenti. Questo varrebbe, ad esempio, per l'Indonesia, la cui disponibilità a fornire truppe all’ISF è stata ampiamente segnalata. Allo stesso modo, Israele dovrebbe negoziare regole d’ingaggio e protocolli operativi con le ISF per garantire che la sua capacità di colpire Hamas non sia compromessa dalla presenza delle truppe ISF. Inoltre, Gerusalemme dovrebbe cercare di evitare che le ISF rimangano più di un decennio a Gaza, come ha fatto l'UNIFIL in Libano. Né dovrebbe fare affidamento sulle ISF come unico ostacolo tra Hamas e una ripetizione delle atrocità di massa nel sud di Israele avvenute il 7 ottobre 2023. Sarà necessaria una zona cuscinetto permanente lungo tutto il confine tra Israele e Gaza, con il traffico tra i territori limitato alla fornitura di aiuti umanitari e agli attraversamenti occasionali da parte di civili palestinesi, ad esempio di coloro che si recano all'estero per cure mediche urgenti o che iniziano una nuova vita fuori dall'enclave devastata dalla guerra.
Infine, Israele dovrebbe interessarsi attivamente alle nomine del cosiddetto Consiglio per la Pace, che sarà presieduto dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e che dovrebbe gestire la governabilità di Gaza. Israele dovrebbe fare pressioni affinché siano nominati personaggi che non permettano ad Hamas di insinuarsi al governo, né dalla porta principale né da quella di servizio. E proprio come ha giustamente respinto la partecipazione delle truppe turche e qatariote all’ISF, Israele dovrebbe opporsi alla presenza di rappresentanti di entrambi i regimi nel Consiglio per la Pace. Nel suo discorso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a sostegno della Risoluzione 2803, l'ambasciatore statunitense Mike Waltz ha citato il vecchio detto che definisce la follia come il ripetere sempre la stessa cosa, aspettandosi risultati diversi. Allo stesso modo, se il piano degli Stati Uniti per Gaza vuole evitare le insidie del recente passato, allora deve imparare le lezioni della storia e applicarle ora.
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