Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 22/11/2025, a pagina 6, il commento di Iuri Maria Prado dal titolo "Il docente confessi. E’ riservista dell’IDF? Fuori dall’ateneo!'".

Iuri Maria Prado
Si era “autodenunciato” il professore israeliano cacciato settimane fa dall’Università di Pavia. Il repulisti è stato eseguito dall’ateneo lombardo in attuazione di una mozione, adottata il mese scorso, “sulla questione palestinese”. Dal verbale dell’ultima seduta del Senato Accademico si apprende che l’“autodenuncia” (un falso, come vedremo) riguardava la seguente condizione delittuosa: il professore ebreo (pardon, israeliano), farmacologo, che teneva un corso a Pavia dal 2018, era “membro dell’Idf”. Era dunque gravato della colpa che marchia centinaia di migliaia di israeliani, eventualmente riservisti (appunto come lui). In realtà, pare che non si sia trattato neppure della “autodenuncia” di cui riferisce il Senato Accademico. Risulta, semmai, che la teppaglia studentesca pavese abbia preteso - e, evidentemente, ottenuto - accertamenti di carattere inquisitorio sul professore, e che essi abbiano portato alla scoperta di quell’ignominia: “membro dell’Idf”.
Il Senato Accademico dell’Università di Pavia, peraltro, si duole del fatto che la notizia della cacciata dell’ebreo (pardon, dell’israeliano) sia trapelata “senza adeguata contestualizzazione”. Chi ne ha parlato (Lucetta Scaraffia, per esempio, in un’intervista a Repubblica, il 29 ottobre) non avrebbe tenuto nel dovuto conto le motivazioni per cui l’Università di Pavia si determina a buttar fuori i professori ebrei (israeliani, pardon): non hanno considerato, gli sparutissimi critici dell’iniziativa, che quell’ebreo (quell’israeliano, pardon) era “membro dell’Idf”, e si era persino “autodenunciato”, perbacco. Aveva avuto la sfrontatezza di ammettere di aver fatto ciò che pressoché tutti, uomini e donne, in Israele fanno obbligatoriamente: servire nelle forze di difesa del Paese. Tutti noi, se avessimo tenuto conto di questa strepitosa notizia, non avremmo potuto far altro che giudicare non solo perfettamente legittimo, ma doveroso, che l’Università di Pavia abbia fatto decontaminazione dei propri ranghi docenti allontanando quel “membro” dell’esercito dello Stato ebraico.
Sempre dal verbale della seduta del Senato Accademico si apprende poi che una professoressa, in disaccordo con l’operazione speciale pavese, ha deciso di dimettersi. Bene così: era una complice del “membro”. Il verbale informa che “si procederà alla nuova nomina da parte del Senato su proposta rettorale a gennaio”. Per evitare spiacevoli infortuni, si confida che la scelta avvenga sulla scorta di criteri sufficientemente elastici da non consentire pericolose intromissioni. L’autocertificazione del candidato di non appartenere alla stirpe deicida potrebbe costituire un efficace filtro profilattico (sempre possibile, ovviamente, la successiva verifica da parte del capo caseggiato).
Ci si domanda solo se, ove mai si ripresentasse l’occasione, rispetto alla comunque lodevole cacciata non possa essere di più utile valore esemplare un qualche rimedio diverso. Che so? Prendere l’intruso e renderlo identificabile. Magari un segno, qualcosa di giallo sul petto.
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