Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi 20/11/2025, a pagina 3, l'analisi di Antonio Picasso dal titolo "Pace per Gaza, ma è tardi per l’Europa. Chi ha un ruolo di parte resta in panchina".
Antonio Picasso
La Commissione europea cerca un ruolo nel consiglio di pace per Gaza, ma la porta rimane chiusa. È passata quasi inosservata la richiesta di Dubravka Šuica, commissaria Ue con delega al Mediterraneo, di partecipare attivamente al piano promosso da Donald Trump. Stati Uniti e Israele non hanno mai considerato l’idea di coinvolgere Bruxelles.
Sorprende, però, che la stessa indifferenza provenga dall’Autorità palestinese, nonostante l’Unione europea ne sia il principale finanziatore. Solo sei mesi fa è stato approvato un pacchetto di aiuti da 1,6 miliardi di euro destinati a progetti in Cisgiordania, Gerusalemme e Gaza. Proprio oggi, a Bruxelles, è prevista la prima riunione del “Palestine donor group”, co-presieduta dalla stessa Šuica e dal primo ministro dell’Anp, Mohammad Mustafa.
Alla luce dell’ambiguità mostrata dall’Europa durante la guerra a Gaza, è comprensibile che né Trump né Netanyahu abbiano sentito il bisogno di coinvolgere Ursula von der Leyen. Il presidente statunitense ha preferito rivolgersi ai singoli leader europei — tra cui Giorgia Meloni — una scelta pragmatica, considerata la credibilità italiana nelle missioni di peacekeeping e nella cooperazione internazionale, modelli replicabili anche nella Striscia.
Resta però il quesito su quanto a Bruxelles ci si interroghi sul motivo per cui l’Ue continui a rimanere ai margini dei principali tavoli diplomatici. Una posizione defilata che ricorda l'irrilevanza mostrata nella gestione del conflitto russo-ucraino.
Il Mediterraneo, paradossalmente, è l’unica area geografica a cui Ursula von der Leyen ha dedicato una delega specifica nella sua seconda Commissione. Nemmeno l’Europa orientale, minacciata dalla Russia, ha ricevuto un simile riconoscimento. La nomina di Šuica, un anno fa, aveva fatto pensare — o sperare — che finalmente Bruxelles avesse compreso il peso politico, economico e strategico della regione. Per alcuni analisti, il Mediterraneo rappresenta la profondità strategica dell’Europa, un luogo in cui convivono radici culturali e interessi pragmatici: eredità greco-romana, tradizione giudaico-cristiana, rotte commerciali, flussi migratori. Senza dimenticare che il canale di Suez dista appena 160 chilometri da Gaza.
Eppure, dopo quel segnale iniziale, nulla è seguito. Non si è più parlato della delega né tantomeno del processo di allargamento che riguarda dieci Paesi — tra candidati ufficiali e potenziali — di cui sette direttamente inseriti nelle dinamiche mediterranee: Albania, Bosnia ed Erzegovina, Georgia, Kosovo, Macedonia del Nord, Moldavia, Montenegro, Serbia, Turchia e Ucraina. Šuica, di fatto, rimane una figura poco visibile, quasi sconosciuta, priva di reale impatto politico.
Per anni, le dichiarazioni e i fondi destinati all’Autorità palestinese hanno reso l’Ue una parte in causa. Questo non ha tuttavia interrotto le relazioni con Israele, che resta un avamposto dell’Occidente nel cuore della Mezzaluna fertile. Da Gerusalemme, Tel Aviv e Haifa si guarda all’Europa come al partner più vicino per scambi economici, culturali e scientifici. Non è un caso — né solo una questione televisiva — se le squadre israeliane partecipano alle competizioni sportive europee.
È un peccato, dunque, che l’Europa non abbia voce a Gaza. Trascurata? Sicuramente. Ma la domanda è un’altra: quanto ha fatto Bruxelles per evitarlo?
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