La sottile linea gialla (perché oggi uno Stato palestinese è impossibile)
Editoriale di Iuri Maria Prado
Testata: Il Riformista
Data: 18/11/2025
Pagina: 1
Autore: Iuri Maria Prado
Titolo: La sottile linea gialla

Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 18/11/2025, a pagina 1, il commento di Iuri Maria Prado dal titolo "La sottile linea gialla".


Iuri Maria Prado

 

La linea gialla segna le posizioni raggiunte dell'IDF, è la linea al momento dell'armistizio. Hamas è al suo interno e non disarma. In queste condizioni, vi pare possibile riconoscere uno Stato della Palestina?

Che sia necessaria una sistemazione anche di tipo statale per le popolazioni palestinesi è abbastanza difficile da contestare. C’è tuttavia un modo sicuro per ottenere che Israele si intestardisca a non favorire la nascita di uno Stato palestinese e, anzi, ad avversarla. Ed è far finta che non esistano i serissimi motivi di sicurezza e compatibilità geopolitica che rendono letteralmente impossibile anche solo ipotizzare, nelle attuali condizioni, una soluzione di quel tipo. Peggio ancora, poi, è ammettere che magari quelle ragioni di impedimento esisteranno anche, ma vale la pena di non considerarle perché l’obiettivo - i “due Stati” - è troppo importante e non merita di essere sacrificato in omaggio a cautele dopotutto pretestuose.

È ciò che mettono nero su bianco le Nazioni Unite quando spiegano che sì, lo Stato ebraico ha diritto di esistere in sicurezza, ma questo diritto viene dopo rispetto a quello - prioritario, superiore e incondizionato - di autodeterminazione dei palestinesi. Ma su queste basi non può essere impiantato nulla che assomigli nemmeno vagamente al simulacro di entità statuale palestinese di cui vagheggia la comunità internazionale ogni qual volta descrive romantici scenari di futura convivenza: il sogno di uno Stato palestinese “libero e democratico”, che vive e prospera in pace a fianco del Paese che finalmente riconosce, cioè Israele, si trasformerebbe in una realtà da incubo se - oggi - un tratto di penna volesse cancellare le condizioni di immaturità civile, sociale e politica della società palestinese che si oppongono a quel progetto.

Il diritto di autodeterminazione dei palestinesi deve essere considerato senza trascurare il modo in cui non solo le dirigenze palestinesi, ma anche il profondo della società palestinese, lo intendono: e cioè come un riscatto dall’ingiustizia costituita dalla stessa esistenza di Israele, e dunque come mezzo per contestarla come finora l’ha contestata, ma con il supplemento anche più pericoloso della legittimità statuale.

La comunità internazionale e il circolo dei Paesi arabi riluttanti ad abbandonare l’antica pratica, cioè pretendere che sia Israele a risolvere il problema della radicalizzazione della società palestinese, oppure ad arrendervisi aprendo le porte a un’Intifada statualizzata, continuano a non comprendere che è esattamente quel loro atteggiamento, non l’intransigenza israeliana, a impedire che la soluzione “due Stati” abbia un futuro concreto anziché rimanere uno slogan fonte di caos.

Gli israeliani che annunciano il loro diniego alla nascita di uno Stato palestinese “nel cuore di Israele” avrebbero meno giustificazioni, e potrebbero essere indotti a riconsiderare la propria posizione, se la comunità internazionale e gli arabi circostanti riconoscessero che lì, a pochi chilometri dalle città israeliane, oggi non c’è una realtà pronta a farsi Stato convivente, ma un bubbone pronto a esplodere spargendo siero infetto in tutta la regione.

Lo Stato palestinese di cui anche i palestinesi avrebbero bisogno non è lo Stato che oggi sarebbe costituito. Non riconoscere questa verità è il miglior modo per allontanare l’obiettivo.

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