Anche il Kazakistan ha aderito agli Accordi di Abramo. Israele non è solo
Analisi di Mattia Preto

Mattia Preto

Netanyahu e il presidente del Kazakistan, Tokayev, firmano gli Accordi di Abramo. Il Kazakistan, paese ex sovietico a maggioranza musulmana, è estraneo al Medio Oriente, ma la sua cooptazione negli accordi di normalizzazione con Israele è importante per vari motivi. Non solo commerciali (si apre un corridoio alternativo alla Via della Seta cinese), ma anche politici: il Kazakistan può uscire così dalla sudditanza a Putin.
Nella giornata di giovedì 6 novembre, il Kazakistan, paese a maggioranza musulmana dell’Asia centrale, è entrato a far parte degli Accordi di Abramo. Pur potendo sembrare un ampliamento meno eclatante rispetto ai precedenti firmatari, l’adesione di Astana (capitale kazaka) dimostra come gli Accordi stiano assumendo una portata più ampia, volta a ridefinire scenari geopolitici sottraendoli all’influenza di Mosca, Pechino e Teheran.
Il Kazakistan, fin dalla sua indipendenza seguita allo scioglimento dell’Unione Sovietica nel 1992, ha mantenuto relazioni stabili con Israele. Tuttavia, questa nuova posizione, fortemente sostenuta dagli Stati Uniti, conferisce nuovo slancio agli Accordi di Abramo, il cui processo di allargamento aveva subìto un arresto dopo il 7 ottobre. Con tale mossa, l’amministrazione Trump mira non solo a svincolare ulteriormente Astana dall’orbita russa, ma anche a promuovere la creazione di un nuovo corridoio economico in grado di competere con la Nuova Via della Seta cinese, un asse che connetta l’Asia centrale al Mediterraneo. Il nuovo volto degli Accordi di Abramo delinea dunque una rete di relazioni molto più vasta rispetto a quanto immaginabile fino a pochi anni fa, non più soltanto un quadro bilaterale tra Israele e il mondo arabo, ma un sistema di cooperazione che collega l’Asia centrale allo stretto di Gibilterra, passando per i porti emiratini, bahreiniti e israeliani.
Gli interessi kazaki si concentrano in particolare nel settore hi-tech, ambito in cui Israele vanta una leadership consolidata. Astana ha osservato come Bahrein ed Emirati Arabi abbiano tratto significativi benefici da collaborazioni simili, soprattutto in questi settori, e ha compreso che l’innovazione tecnologica rappresenta lo strumento migliore per valorizzare appieno le proprie risorse naturali. L’ex repubblica sovietica, ricca di materie prime come uranio e petrolio, mira quindi ad ampliare i mercati e a rafforzare la propria posizione regionale, consolidando un’autonomia reale da Mosca, soprattutto sul piano economico e della sicurezza.
Un elemento centrale riguarda la produzione di uranio, il Kazakistan è tra i maggiori esportatori mondiali e, insieme ad Australia e Canada, copre circa metà dell’offerta globale. Per Stati Uniti e Israele è fondamentale che tali forniture non finiscano in mani ostili, soprattutto mentre l’Iran, dopo la distruzione dei suoi centri nucleari, è alla ricerca urgente di nuove fonti di approvvigionamento. Escluso dai principali produttori occidentali, Teheran guarda con crescente interesse alle risorse dell’Asia centrale. In questo quadro, Washington e Gerusalemme intendono rafforzare la deterrenza consolidando i rapporti con Astana e impedendo qualunque avvicinamento alla sfera iraniana.
Parallelamente, la Russia, assorbita dalla guerra in Ucraina, ha visto deteriorarsi i propri rapporti con il Kazakistan. Il culmine della tensione è stato raggiunto a Natale 2024, quando la contraerea russa abbatté un volo Baku–Grozny nello spazio aereo kazako. Nonostante prove inequivocabili, Putin negò inizialmente ogni responsabilità, salvo ammetterla solo di recente e in maniera parziale. L’episodio, unito alle ambiguità di Mosca, ha alimentato in Astana la percezione di un alleato sempre più instabile. Il posizionamento internazionale del Kazakistan emerge con particolare chiarezza anche dal suo rapporto con i BRICS (Gruppo di grandi economie emergenti guidato da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Entrato nel gruppo nel 2024, l’Iran considera il forum uno strumento per ampliare la propria rete di cooperazioni, soprattutto in campo energetico. Il Kazakistan, invece, pur intrattenendo rapporti economici significativi con i paesi del blocco, non ne è membro effettivo ma solo partner. Proprio questa distinzione conferma l’orientamento strategico di Astana, la scelta di aderire agli Accordi di Abramo rafforza l’immagine di un paese che privilegia una cooperazione strutturata con Washington e Gerusalemme, segnando una distanza crescente dall’orbita russo-cinese e dalle ambizioni iraniane.
L’adesione del Kazakistan agli Accordi di Abramo segna un cambiamento strategico decisivo, Astana privilegia un approccio pragmatico e pro-occidentale, rafforzando la propria autonomia economica e di sicurezza, ampliando le relazioni con Israele e Stati Uniti, e delineando un ruolo chiave nell’equilibrio geopolitico dell’Asia centrale, nel tentativo di allontanarsi dall’influenza diretta di Russia, Cina e Iran.