Riprendiamo da LIBERO di oggi, 15/11/2025, a pag. 15, l'analisi di Costanza Cavalli dal titolo "Gli israeliani si fidano solo di Netanyahu".
Costanza Cavalli
La guerra sui media Israele l’ha persa fin dal primo giorno, comunque andrà l’ultimo. Non c’è Iron Dome che possa proteggere dai missili della propaganda, non c’è esercito che faccia collassare i tunnel social dei pro-Pal. Con Israele, e ancor di più, sulle pagine dei giornali e per le strade è stato sconfitto il primo ministro Benjamin Netanyahu. Sorprenderà i più, quindi, che in patria, nonostante le proteste di piazza, la rabbia per il 7 ottobre, le crescenti difficoltà economiche, l’accusa di corruzione e le richieste di una commissione d’inchiesta sulla condotta del governo, la maggioranza dei cittadini stia ancora dalla sua parte. Secondo un sondaggio di Channel 12, infatti, il 42% degli israeliani ritiene che Netanyahu sia più adatto a guidare il Paese rispetto all’ex primo ministro Naftali Bennett, preferito dal 35% degli intervistati. Il margine si allarga se il confronto è con il leader dell’opposizione, a capo del partito Yesh Atid, Yair Lapid: Netanyahu ottiene il 47%, solo il 21% preferirebbe Lapid.
Bibi può tutt’ora contare su una base ampia e fedele di sostenitori che resta tale per due ragioni: da un lato per la struttura stessa della politica israeliana, un sistema definito da blocchi identitari, ancor più tetragoni dopo il trauma del 7 ottobre. Se la polarizzazione dell’opinione pubblica è fattor comune in mezzo mondo, nello Stato ebraico l’identità politica si sovrappone all’appartenenza sociale e etnica.
Queste identità, che si tratti di mizrahi o ashkenaziti, di religiosi o laici, di militari o civili, si induriscono in un Paese che è costantemente sotto assedio, dove i cittadini sono poco disposti a rischiare il cambiamento in un periodo di incertezza, cui si aggiungono gli ottani delle camere d’eco dei social media. Ciò si riflette anche nell’andamento dei seggi in parlamento, la Knesset, composta da 120 seggi: sempre stando ai numeri di Channel 12, se le elezioni si tenessero oggi Likud, il partito di Netanyahu, sarebbe in testa con 27 seggi, seguito dal partito di Bennett con 22. I democratici di sinistra, guidati da Yair Golan, arriverebbero terzi con dieci seggi. Dopodiché: i centristi di Yesh Atid, gli ultraortodossi di Shas, i falchi di Yisrael Beytenu e gli ultranazionalisti di Otzma Yehudit, che otterrebbero nove seggi ciascuno. Il partito di Gadi Eisenkot ne riceverebbe otto, sette il Giudaismo unito nella Torah, ultraortodosso.
I blocchi delle alleanze restano invariati rispetto alle elezioni precedenti, rimarcano gli analisti, proprio a dire che gli elettori restano convintamente nel proprio campo, con al massimo sette seggi che potrebbero ballare tra la destra e il centro: la maggioranza avrebbe 52 seggi, l’opposizione, incapace di proporre e concordare su altro che non sia l’ostilità verso Netanyahu, 58. Il blocco dei partiti arabi, partito islamista Ra’am e quello di sinistra Hadash-Ta’al, dieci.
Nessun partito raggiungerebbe i 60 seggi necessari per formare un governo a meno di non chiedere, e ottenere, l’appoggio di uno dei partiti arabi.
O, come avviene oggi, avere il sostegno delle componenti dell’arco elettorale su questioni specifiche. Nel sondaggio, l’emittente ha chiesto agli intervistati anche di commentare la richiesta di clemenza per Bibi avanzata dal presidente americano Donald Trump al presidente Isaac Herzog. Il 48% ha dichiarato di essere contrario all’iniziativa, il 44% la sostiene. Il malcontento verso il primo ministro esiste, basti pensare che alle urne il Likud è passato in vent’anni dal 38%, era il 2003, al 23% delle preferenze nell’ultima tornata elettorale, nel 2022. Ma in questi vent’anni Netanyahu è rimasto lì, è l’unico leader che i più giovani hanno conosciuto e, di conseguenza, il solo considerato capace di guidare Israele in questa crisi. A maggior ragione se l’accordo di cessate il fuoco si traducesse in una tangibile sensazione di vittoria e se l’opposizione restasse un horror vacui di alternative (Bennet, Lapid, Gantz, Lieberman, Yair Golan...).
Qualcuno lo accusa di non essere riuscito a impedire l’attacco di Hamas, ma i più pensano che i responsabili del fallimento siano stati l’esercito o l’intelligence. Qualcuno spinge per una commissione d’inchiesta e teme l’incertezza economica, ma i più non vedono l’ora di festeggiare chi ha condotto Israele nella guerra che potrebbe portare alla definitiva sconfitta di Hamas e Hezbollah, all’umiliazione dell’Iran, alla normalizzazione dei rapporti con l’Arabia Saudita. Per la vecchia regola che le minoranze rumorose mascherano le maggioranze silenziose, 70mila persone che urlano in Piazza degli Ostaggi continuano a equivalere meno di due seggi alla Knesset. Netanyahu conterà su tutti gli altri, quelli che gli riconosceranno di aver contribuito a cambiare il Medio Oriente.
Per inviare a Libero la propria opinione, telefonare: 02/99966200, oppure cliccare sulla e-mail sottostante
lettere@liberoquotidiano.it