Riprendiamo da LIBERO del 11/11/2025, a pag. 9, con il titolo "L’antisemitismo dilaga a Milano. Turisti ebrei aggrediti in Centrale" la cronaca di Claudia Osmetti.
Claudia Osmetti
È che oramai non fa neanche più notizia. S’indigna, si scandalizza nessuno.
Passata la bufera, rientrata la Flotilla, che qualche ebreo coi cernecchi e il tallit sotto la giacca venga preso (se va bene) a male parole o (se va male) a pugni in faccia non turba più. Niente, zero. Continuano le manifestazioni propal, per carità: se c’è da urlare al “genocidio” di Gaza qualche esaltato che si fa sentire più degli altri si trova, ma in difesa degli ebrei, ecco, si alza sempre meno gente.
Milano. Stazione Centrale.
Tra l’altro poco distante da quel binario 21 che raccoglie le testimonianze delle deportazioni durante l’Olocausto e che oggi, non a caso, ha la parola “indifferenza” scritta a caratteri cubitali sopra (corsi e ricorsi, avrebbe detto il filosofo). Sulla banchina alla piattaforma 8, proprio davanti ai tornelli dell’entrata. È l’inizio pomeriggio di ieri, sono le 13.15. Accovacciato per terra c’è un ragazzo, è giovane, ha appena 25 anni. È americano. È un ebreo ortodosso, ha i riccioli lunghi che gli coprono le orecchie e si vedrebbe una kippà (o un cappello) poggiati sulla sua testa, se non fosse che un amico (anche lui stesso abbigliamento) gli sta tamponando il cranio con dei fazzoletti di carta bianca.
Un pakistano della stessa età (nato nel Duemila) lo ha appena aggredito. È pieno giorno, è pieno centro, è nel cuore dello scalo ferroviario milanese in cui transitano ogni dì circa 320mila persone, ma fa lo stesso. Lui, l’islamico, con pure dei precedenti, non se ne cura: lo vede, si accorge che sono in diversi, capisce che si sta avvicinando a un gruppo di ebrei che nemmeno incrocia il suo sguardo (perché quei ragazzi dovrebbero farlo? Sono appena arrivati in Italia dagli Stati Uniti, sono in vacanza, sono quattro coppie e stanno controllando il tabellone delle partenze), e allora lo investe con tutto il livore covato in mesi di propaganda a favore di Hamas e spiattellato in ogni corteo, ribadito in ogni appello, riproposto in ogni talk. Inizia insultandoli.
Il ritornello è quello di sempre, trito e ritrito, a originalità non è che ci sia da sperare, coi soliti slogan dal-fiume-al-mare. Gaza. Lo “sterminio”. L’“occupazione israeliana”. Come se gli ortodossi statunitensi c’entrassero qualcosa con quel che avviene al valico di Erez, come se fosse colpa loro, senza neanche immaginare che il loro governo, se proprio ha messo lo zampino, è stato per quella benedetta tregua che ha liberato gli ostaggi e che dovrebbe disarmare i tagliagole di Khalil al-Hayya. Ma vai a spiegarglielo.
A Milano, nell’internazionalissima, accoglientissima, progressistissima Milano, quegli ebrei d’oltre oceano sono spaesati. Non fanno in tempo a salire sul vagone che li aspetta che si sentono tirati per il bavero del piumino e unicamente perché osano indossare i simboli della loro fede (sai che clamore, tutto attorno è un via vai di donne col chador, l’hijab e pure il burqa e nessuno fiata). Alcuni si mettono a urlare, altri cercano di scappare, dei viaggiatori tentano di intervenire, è il parapiglia ma è anche comprensibile. Non è la prima volta che succede (non solo in Lombardia), il clima è ancora questo qui, mezza Europa deve fare i conti col rinato antisemitismo.
Il pakistano, però, in mano ha qualcosa. Sembra un oggetto di metallo, di sicuro è pesante. Colpisce uno dei ragazzi ebrei in testa, si scaglia anche sulla comitiva, calci e pugni: il giovane ebreo è quello che se la vede più brutta fortunatamente non perde i sensi. Finirà al pronto soccorso dell’ospedale Fatebenefratelli in codice verde, mentre il suo aggressore si buscherà un’accusa per lesioni aggravate da motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa, proverà a scappare a bordo di un treno ma verrà attestato dagli agenti della polfer che intervengono ed evitano degeneri la situazione: ma non è questo il punto.
Il punto è che dovevamo esserci lasciati questi episodi alle spalle (già il secolo scorso e, a maggior ragione, con gli ultimi sviluppi in Medioriente), invece l’odio a senso unico non accenna a chetarsi. «Non diminuisce, continuano le manifestazioni e anche le aggressioni», dice Dalia Gubbay che è l’assessore alle Scuole per la comunità ebraica milanese. Davanti a un negozio kosher, in città, qualche giorno fa, due persone presumibilmente musulmane hanno insultato il proprietario e gli hanno sputato in faccia; all’uscita da una cena per lo shabat, venerdì, un ragazzo in monopattino s’è messo a urlare, con fare da sfida, “viva la Palestina” agli ebrei che incontrava. «Il risultato di tutto questo è che uno fa sempre più fatica a considerare questa comela sua città. Nonostantela tregua nella Striscia, questo odio non perdona. Così non ne usciamo». Anche il presidente della comunità ebraica milanese Walker Meghnagi usa parole nette: «Ringraziamo ancora una volta le forze dell’ordine che fanno un lavoro importantissimo, ma è arrivato il momento di guardare in faccia la realtà. Noi denunceremo sempre questi fatti, ma oramai bisogna stare attenti a quando si esce e non va bene. Se gli effetti del buonismo sono questi, qualche dubbio è lecito avercelo». Forse anche più di qualche.
Per inviare la propria opinione a Libero, telefonare 02/999666, oppure cliccare sulla e-mail sottostante
lettere@liberoquotidiano.it