Il difficile cammino del Piano per Gaza
Analisi di Ugo Volli
Testata: Shalom
Data: 09/11/2025
Pagina: 1
Autore: Ugo Volli
Titolo: Il difficile cammino del Piano per Gaza

Riprendiamo da SHALOM, l'analisi di Ugo Volli dal titolo "Il difficile cammino del Piano per Gaza".

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Ugo Volli

Stallo diplomatico a Gaza. Hamas continua a prendere in giro Israele (e anche Trump) non restituendo i corpi degli ostaggi che ha assassinato. Non stanno andando come previsto neppure le trattative per la costituzione di una forza di stabilizzazione internazionale a Gaza: Turchia e Qatar vorrebbero partecipare, ma sono troppo collusi con Hamas, mentre Emirati e Azerbaigian non vogliono partecipare. Insomma, la tregua non sta portando alla pace. E la guerra rischia di ricominciare anche con Hezbollah (che non disarma).

 

La restituzione dei rapiti
Il percorso del piano Trump per Gaza prosegue lentamente. Siamo ancora alla prima fase, quella della liberazione dei rapiti del 7 ottobre, sia vivi che assassinati dai terroristi. Il cessate il fuoco, con la restituzione dei venti israeliani rimasti vivi dopo due anni di spaventosi maltrattamenti e vere proprie torture nelle mani dei terroristi, è avvenuto poco meno di un mese fa. La consegna delle salme degli uccisi doveva avvenire i 72 ore, ma è andata avanti pian piano, con lunghe interruzioni. Venerdì sera è stato restituito il corpo di Lior Rudaeff, caduto in difesa del kibbutz Nir Yitzhak durante il pogrom. Ora fra i rapiti del 7 ottobre, ancora quattro salme di israeliani e una di un lavoratore straniero restano nelle mani dei terroristi, forse coperti dalle rovine dei tunnel in cui erano stati nascosti per poterli scambiare in seguito.

I terroristi intrappolati
Oltre a queste vi sono i resti del tenente Hadar Goldin, caduto l’operazione “Margine protettivo” del 2014, che si ritenevano nascosti nello stesso complesso di tunnel a Rafah, nella zona controllata da Israele, dove si nascondono circa 150-200 terroristi, bloccati dopo il cessate il fuoco. Hamas ora sostiene di aver recuperato la salma di Goldin altrove; ma cerca di ottenere in cambio della salma i terroristi bloccati, Israele li considera nemici combattenti, anche perché dai loro tunnel sono partiti alcuni attacchi nelle scorse settimane che hanno fatto vittime fra le truppe israeliane che presidiano la linea gialla del cessate il fuoco. Essi dunque per Israele devono essere catturati o eliminati, certo non rilasciati per ritornare nei ranghi delle unità terroriste. La probabile presenza della salma di Goldin impediva di distruggere i tunnel con bombardamenti, esplosivi, iniezioni di cemento, come l’esercito israeliano sta facendo con altre tane del terrorismo, ma ora forse quest’ostacolo è caduto. L’Egitto sta cercando di proporre una mediazione, con l’ appoggio degli americani, che vogliono soprattutto evitare il collasso del loro piano. Al momento il problema è aperto.

I problemi della seconda fase
Nella settimana scorsa è circolata una bozza di risoluzione dell’Onu per l’istituzione della forza militare internazionale che nella seconda fase dovrebbe assumere il controllo di Gaza e assicurare il disarmo dei terroristi. È un tema molto complesso, perché Hamas non vuole cedere le armi, rivendicando il diritto di mantenerle, oppure dicendo di essere disposto a consegnare solo quelle pesanti, ma non quelle personali ed esclusivamente a un “governo palestinese” della Striscia, in cui conta di aver parte, magari sotto mentite spoglie. Insomma, qualcuno deve togliergliele con la forza. Alcuni dei paesi che Trump ha cercato di coinvolgere nella forza internazionale sono inaccettabili per Israele perché chiari sostenitori di Hamas, come la Turchia e il Qatar; altri come gli Emirati e l’Azerbaijan sono molto riluttanti a impegnare le proprie truppe in un ambiente come Gaza. Vi sono dubbi anche sull’Egitto, che sta rafforzando ben oltre i limiti del trattato di pace le proprie truppe nel Sinai e non vuole o non riesce a reprimere il contrabbando di armi dal suo territorio ai terroristi, tanto che Israele ha dovuto stabilire una zona militare chiusa per tutto il confine fra il Negev e il Sinai. Anche la futura amministrazione civile è in discussione, perché le varie fazioni palestinesi cercano di assumerne il controllo sottraendolo al quello internazionale previsto da Trump. Le trattative diplomatiche certamente continuano, ma se ne sa poco. Insomma non è affatto chiaro come sarà davvero la seconda fase del piano Trump: una cattiva soluzione rischierebbe di vanificare la vittoria israeliana.

L’estensione dei “patti di Abramo”
Negli ultimi giorni l’amministrazione americana ha molto vantato l’adesione del Kazakistan ai “patti di Abramo”. Ma questo paese aveva già rapporti diplomatici con Israele dal 1992, subito dopo la sua indipendenza. L’ingresso nel club dei “patti” è più importante per gli Usa, che consolidano un accesso privilegiato alle importanti materie prime e alla posizione strategica del Kazakistan fra Russia e Iran, piuttosto che per Israele. Ma questa potrebbe essere la premessa per altre adesioni più importanti, innanzitutto quella dell’Arabia Saudita.

I fronti attivi
Nel frattempo ci sono di nuovo problemi al Nord. Il governo libanese non sa o non vuole disarmare davvero del tutto Hezbollah e Israele è costretto a intervenire sempre più frequentemente, nonostante il chiaro sabotaggio della forza dell’Onu, UNIFIL che pure dovrebbe presto essere sciolta. Si parla con insistenza di una possibile nuova azione di terra. Vi sono segnali allarmanti anche dall’Iran, che sta cercando di restaurare il progetto di armamento nucleare e le forze missilistiche e antiaeree che lo completano. Anche qui non è escluso che il conflitto si riaccenda. Continua a essere attivo anche “l’ottavo fronte” delle piazze occidentali. Nonostante la tregua che tiene da un mese e l’accertamento ormai chiarissimo che non vi è stata a Gaza né la fame, né il “genocidio”, né la “strage dei bambini” ossessivamente rilanciate sui media dalla propaganda di Hamas, la violenza antisemita, verbale ma anche fisica, continua in tutto il mondo occidentale, con coinvolgimento di scuole, università, media, forze politiche “progressiste”.

Scandali
Nella cronaca di Israele hanno avuto in questo periodo largo spazio, purtroppo, anche alcuni scandali inquietanti. Si è avuto l’arresto per corruzione del presidente della gloriosa Histadrut, il sindacato unico che per un secolo è stata una delle colonne dello Stato di Israele e prima ancora dell’insediamento ebraico nel Mandato di Palestina. Con lui sono stati arrestati una decina di sindaci, esponenti politici e sindacali e aziendali, tutti indiziati di un complesso scambio corruttivo. Ancor più grave è lo scandalo che ha coinvolto la procura generale militare e in parte di riflesso quella civile presieduta dal cosiddetto “consigliere giuridico” del governo, in realtà capo dell’opposizione burocratica alla maggioranza parlamentare. La storia, in breve è questa: un anno fa la procura militare incriminò per maltrattamenti alcuni soldati incaricati di custodire pericolosi terroristi arrestati. Ci fu una mobilitazione di politici e commilitoni a loro difesa. Su un canale televisivo israeliano e poi sui media internazionali uscì allora, a indagini aperte, un filmato chiaramente manipolato (non letteralmente falsificato ma tagliato e montato ad arte a partire da registrazione diverse, in modo da suggerire l’idea di abusi pesantissimi). La procura militare asserì di non essere in grado di individuare i manipolatori del filmato e chi l’aveva diffuso. La procura civile sostenne la stessa tesi davanti alla Corte Suprema. Sembrava che il caso fosse chiuso, anche perché la procura militare non si era opposta al rilascio a Gaza del terrorista che sarebbe stato maltrattato nell’ambito degli accordi Trump. Dieci giorni fa è venuto fuori casualmente che la diffusione e probabilmente la manipolazione del filmato era opera di un gruppo degli stessi magistrati della procura militare, per decisione del suo capo, Yifat Tomer-Yerushalmi, che di conseguenza è stata messa fuori servizio, si è dimessa, ha inscenato un finto suicidio, forse per liberarsi delle prove contenute nel suo telefono, e ora è agli arresti domiciliari. Lo scandalo ha coinvolto anche la consulente giuridica del governo Gali Baharav-Miara, che nonostante le sue resistenze iniziali ha dovuto rinunciare all’indagine, per aver a suo tempo avallato la finta indagine di Yerushalmi. Il caso è ancora aperto, bisogna accertare chi era coinvolto e perché, ma certamente incide sul conflitto fra alta magistratura e maggioranza parlamentare.

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