Riprendiamo da LIBERO di oggi, 08/11/2025, a pag. 16, con il titolo "Fumogeni pro-Pal a Parigi sulla Filarmonica di Israele" la cronaca di Enrico Stinchelli.
Doveva essere una serata di grande musica, con l’Israel Philharmonic Orchestra diretta da Lahav Shani alla Philharmonie quella organizzata per giovedì scorso a Parigi. Invece si è trasformata in un incubo.
Poco dopo l’inizio del concerto, mentre l’orchestra intonava le prime battute di Mozart, dalla platea centrale si sono alzati d’improvviso fumo rosso, urla e slogan pro-Palestina. Cinque o sei persone, sedute tra il pubblico, hanno estratto piccoli fumogeni da borse e giacche, accendendoli contemporaneamente. La nube ha invaso in pochi secondi la sala Pierre Boulez, costringendo i musicisti a fermarsi di colpo e il pubblico a fuggire in preda al panico.
Molti hanno tossito, altri sono rimasti pietrificati sulle sedie, temendo un attentato. In un’epoca in cui il terrorismo a Parigi è ancora una ferita viva, l’odore acre e il fumo rosso hanno riportato per un attimo tutti al Bataclan.
Il personale di sicurezza è intervenuto subito, evacuando parte della sala e accompagnando i musicisti dietro le quinte. Fuori, sulla piazza, un altro gruppo di manifestanti agitava bandiere palestinesi e gridava slogan contro Israele.
Quattro persone sono state fermate dalla polizia: avevano acquistato regolarmente i biglietti settimane prima, in modo da infiltrarsi senza destare sospetti. Secondo le prime indagini, l’azione era stata preparata con cura, per colpire proprio nel momento di massimo raccoglimento emotivo: quando l’arte sospende il mondo, e un gesto improvviso lo squarcia.
La Philharmonie, in una nota ufficiale, ha parlato di «atto violento che ha messo in pericolo la sicurezza di pubblico e artisti» e ha annunciato una denuncia contro ignoti. Il concerto è rimasto sospeso per oltre mezz’ora. Gli addetti hanno fatto ventilare la sala e verificato che non vi fossero sostanze tossiche nel fumo, poi il pubblico è stato fatto rientrare.
Quando Lahav Shani è riapparso sul podio, accolto da un lungo applauso, l’orchestra ha ripreso a suonare. Al termine, in piedi, i musicisti hanno eseguito l’inno nazionale israeliano: un gesto sobrio e potente, accolto da un silenzio carico di emozione.
La ministra della Cultura francese, Rachida Dati, ha definito l’accaduto «un attentato alla libertà artistica e alla serenità del pubblico». Ieri sera il ministro dell’Interno francese, Laurent Nuñez, ha confermato su X l’arresto di «quattro persone che sono state poste in stato di fermo». Nuñez ha voluto ringraziare « il personale della polizia che ha permesso il rapido arresto di diversi autori di gravi disordini all’interno della sala e di contenere i manifestanti all’esterno».
Non ci sono state rivendicazioni dirette da Hamas, ma le modalità — infiltrazione, azione scenica, impatto mediatico — richiamano la strategia di chi mira a colpire i simboli, non i corpi. Un’orchestra israeliana, nel cuore di Parigi, era un simbolo perfetto: la cultura come rappresentazione di un’identità nazionale. Non è più semplice protesta: è la versione culturale della strategia del terrore. Niente bombe, ma fumogeni. Nessun morto, ma paura. L’obiettivo è dire che nessun luogo è neutrale, che anche un teatro può diventare campo di battaglia. È la logica della tensione trasportata nella quotidianità: far credere che l’arte non sia più un rifugio, ma un territorio di scontro. La paura deve entrare in platea come fosse uno strumento d’orchestra. E mentre i musicisti tornavano al loro posto, la cultura occidentale mostrava tutta la sua vulnerabilità. Dopo la russofobia e la cancel culture, ora il boicottaggio dell’arte israeliana. Lahav Shani e i suoi orchestrali, però, hanno dato la risposta più limpida: continuare a suonare. Nel fumo e nella paura, la loro musica è diventata il gesto più politico di tutti — l’unico davvero umano.
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