Riprendiamo dal RIFORMISTA del 01/11/2025, a pagina 3, il commento di Daniele Scalise dal titolo "L’ebreo è un tabù e la stampa muta".
Daniele Scalise
Io, che ho esercitato il mestiere di giornalista per mezzo secolo, capisco i miei poveri colleghi. Dopo mesi passati a chiamarli con il loro nome – complici, corrotti, ignoranti, servi del racconto dei carnefici, stipendiati indirettamente da Doha – che cosa avreste preteso, applausi? Editoriali commossi sulla libertà e la memoria? No. Il silenzio è la loro forma più sincera di coerenza.
La manifestazione del 30 ottobre contro l’antisemitismo non rientrava nel copione. Nessun raccontino da titolare – “Povero popolo oppresso” o “Cessate il fuoco” – nessuna lacrima d’ordinanza. Solo cittadini, molti, troppi per essere ignorati, che dicevano l’indicibile: che l’odio contro gli ebrei è tornato in scena e che stavolta ha trovato platee accademiche, parrocchiali e mediatiche pronte a ospitarlo e a nutrirlo.
E poi quella parola, ebrei, è diventata per molti impronunciabile. E allora sì, meglio tacere. Meglio voltarsi dall’altra parte, come a loro viene facile fare. Non è censura: è pudore da vecchi malati che non vogliono guardarsi allo specchio. Hanno scelto il loro campo da tempo, quello in cui l’indignazione è selettiva e la vergogna, un lusso.
Un po’ di compassione, quindi, bisogna pur averla. Perché un giornalismo ridotto a eco delle proprie bugie non si combatte: si accompagna al cimitero con passo lento e senza rancore.
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