Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 14/10/2025, a pagina 1/I, l'intervista di Giulio Meotti a Waleed al Husseini, dal titolo: "Ostaggi di Hamas".
Giulio Meotti
“Una parte significativa della popolazione palestinese anela alla sicurezza, alla dignità e alla possibilità di vivere normalmente, richieste che non possono essere soddisfatte attraverso la mera retorica o il mantenimento delle attuali strutture politiche”. Parla così al Foglio Waleed al Husseini, che ha trascorso dieci mesi in una prigione palestinese per “blasfemia”. “Bruciatelo vivo!”, urlavano i commentatori di Ramallah e Gaza. Un palestinese perseguitato per le proprie idee non sotto Hamas, ma sotto il potere statale in Cisgiordania. Quello “moderato” di Abu Mazen. Questo blogger viveva a Qalqilya, in Cisgiordania. E’ stato arrestato mentre si trovava in un internet café della sua città. L’“apostata” che si prende gioco dell’islam.
Da allora, al Husseini è andato a vivere in Francia dopo una mobilitazione che gli ha salvato la vita. Questa è la prima volta che parla dopo il massacro terroristico del 7 ottobre. “Sono rimasto in silenzio perché la mia famiglia è ancora in Cisgiordania e, in questo clima di totale insicurezza, ogni mia parola avrebbe potuto mettere in pericolo la loro vita. Il pericolo per loro non proviene solo da Hamas: anche l’Autorità palestinese costituisce una vera e propria fonte di minaccia, con il suo autoritarismo e la sua logica di tutela degli interessi privati”.
Husseini non crede che Hamas lascerà il potere a Gaza. “Non di sua spontanea volontà. Nonostante l’indebolimento militare e l’assassinio di molti suoi leader, la base popolare del movimento non è del tutto scomparsa. A Gaza, Hamas ha formato un’intera generazione e costruito una rete di istituzioni che credono ancora nel suo progetto e nella sua legittimità. Lo scenario di una partenza immediata e ordinata di Hamas è irrealistico. Anche dopo considerevoli perdite umane e materiali, il movimento mantiene una solida struttura istituzionale e di sicurezza, ancorata a un complesso contesto locale e regionale. I sondaggi indicano che il suo sostegno rimane più forte a Gaza che in Cisgiordania, sebbene abbia recentemente subìto oscillazioni, in particolare a causa del deterioramento della situazione umanitaria e delle pressioni politiche”.
Il 7 ottobre va inserito nella prospettiva del jihad. “La scelta di Hamas di chiamare la sua operazione ‘diluvio di al Aqsa’ dimostra chiaramente la dimensione religiosa del 7 ottobre. Usando il nome al Aqsa, il movimento cerca di attivare la carica emotiva del sacro nella coscienza musulmana. Per loro, si tratta di jihad, nel senso religioso del termine: un dovere individuale, un fard ‘ayn, che i militanti compiono in nome della comunità musulmana per ‘liberare’ Gerusalemme. Ma deve essere chiaro: questa idea di jihad non è un concetto spirituale o simbolico, è una nozione guerriera, radicata nella tradizione islamica e utilizzata per secoli per giustificare la violenza in nome della fede. Hamas sta semplicemente ripetendo questa narrazione letterale, aggiungendo una dimensione politica moderna. Il risultato è una giustificazione religiosa per un atto di guerra, dove la religione non eleva l’uomo, ma serve a santificare la morte e lo scontro”.
Noi occidentali pensiamo ai palestinesi come un monolite. “Ciò che molti occidentali continuano a ignorare è la complessità interna del mondo palestinese: non può essere ridotto a un’unica autorità o a un’unica narrazione politica. Una parte significativa della popolazione anela soprattutto alla sicurezza, alla dignità e alla possibilità di vivere normalmente, richieste che non possono essere soddisfatte attraverso la mera retorica o il mantenimento delle attuali strutture politiche. Dobbiamo anche riconoscere un’altra realtà, spesso trascurata: l’incapacità delle élite, compresi settori dell’Autorità nazionale palestinese, di soddisfare le aspettative quotidiane della popolazione. Per alcuni osservatori – e per me – questo legittima la ricerca di soluzioni transitorie alternative, a condizione che rispettino i diritti fondamentali e vietino qualsiasi forma di sfollamento forzato. Finché l’analisi occidentale si limiterà a schemi geopolitici senza tenere conto delle dinamiche sociali e morali, rimarrà parziale”.
Non aiutano le flotille. “Credo che persino gli organizzatori sapessero che non avrebbero mai raggiunto Gaza. Non voglio accusarli, ma è chiaro che cercavano principalmente di riconquistare la ribalta. Dire che volevano ‘attirare l’attenzione su Gaza’ è inutile, visto che tutto il mondo ne stava già parlando. In altre parole, sono salpati principalmente per cavalcare l’onda dell’interesse”.
L’Europa e l’appeasement Islam radicale e islamizzazione costituiscono un ostacolo immenso. “L’islam radicale è un ostacolo importante per i palestinesi che aspirano a vivere con dignità. Troppo spesso si trovano costretti a sottomettersi a slogan religiosi e discorsi ideologici, invece di poter esercitare liberamente i propri pensieri e le proprie scelte. La mobilitazione costante, che si tratti di moschee, media o televisione, trasforma la vita quotidiana in un’arena di propaganda, limitando l’autonomia personale. Questi meccanismi non liberano la popolazione; al contrario, mantengono una dipendenza ideologica che impedisce loro di costruire un’esistenza veramente dignitosa e autonoma”.
Husseini non è molto ottimista. “Se la situazione rimane così com’è, una nuova guerra è probabile. Il futuro di Israele e dei palestinesi rimane estremamente incerto finché le politiche regionali e internazionali favoriranno soluzioni parziali o simboliche. Il problema non è solo esterno; deriva da dinamiche interne. L’Autorità nazionale palestinese sfrutta la nozione di nazionalità e si presenta come rappresentante del popolo, mentre essenzialmente difende gli interessi di una piccola élite beneficiaria; da parte sua, Hamas strumentalizza la religione per fini politici. Da parte mia, sono convinto che dobbiamo rompere con il dominio di queste rare élite politiche e religiose – una minoranza con una ‘voce forte’ che monopolizza il discorso pubblico – e sostituirle con meccanismi di responsabilità, trasparenza e reale rappresentanza, attraverso mezzi pacifici, legali e democratici. Senza una profonda riforma che ponga la dignità, la libertà e la responsabilità della popolazione al centro del progetto politico, il ciclo di violenza continuerà a ripetersi”.
Husseini critica anche l’Europa. “Non deve accontentarsi dell’appeasement: deve avere una visione d’insieme e proporre una chiara alternativa politica; altrimenti, continuerà a essere percepita come incoerente e politicamente impotente”. E l’occidente è condannato a lungo termine. “Se parliamo della corrente islamica che si sta sviluppando in Europa, è chiaro che continua a crescere e a influenzare profondamente la società. A ciò si aggiungono crescenti tensioni interne: culturali, sociali e demografiche. L’Europa rischia quindi di essere logorata dall’interno e, a lungo termine, la sua sopravvivenza come civiltà strutturata potrebbe essere minacciata”.
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