I lettori ci scrivono, Deborah Fait risponde
Lettere a Informazione Corretta
Testata: Informazione Corretta
Data: 14/10/2025
Pagina: 1
Autore: Deborah Fait
Titolo: Un attacco ai fondamenti della democrazia

Lettera: Un attacco ai fondamenti della democrazia

Buongiorno,

le inoltro l'articolo d'opinione che ho scritto in merito alla recente vicenda che ha coinvolto Marco Boschini, consigliere di maggioranza a Parma e membro della Direzione Nazionale del Partito Democratico.Il consigliere ha condiviso sui social network una foto in cui appare davanti al murale con la scritta "From the river to the sea, Palestine will be free". Come noto, questo slogan è ampiamente interpretato come un appello alla negazione del diritto all'esistenza dello Stato di Israele.

Nel mio articolo analizzo la gravità politica di questo gesto, che va ben oltre la leggerezza social. Chiarisco  le implicazioni che una simile posizione ha non solo per le relazioni con la comunità ebraica e l'equilibrio politico locale, ma anche per la reputazione e l'autorevolezza del Partito Democratico a livello nazionale e internazionale.

Credo sia fondamentale che questo episodio venga inquadrato con la dovuta serietà.

La invito a dedicare qualche minuto alla lettura e all'eventuale pubblicazione.

Cordiali saluti,

Luca Ablondi

Un Attacco ai Fondamentali della Democrazia

L'uso dello slogan sui Social Network "From the River to the Sea, Palestine will be free" (Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera) da parte del consigliere comunale di Parma, Marco Boschini, esponente del Partito Democratico, non è una semplice gaffe politica o una scivolata dialettica. È, inequivocabilmente, l'adozione di un linguaggio violento che mette in discussione il diritto all'esistenza dello Stato di Israele.Un gesto di tale gravità, proveniente da un rappresentante istituzionale di un partito che si dichiara progressista e democratico, non può essere ignorato, minimizzato né tollerato. Esso richiede una condanna netta, risoluta e immediata.

La frase, che si riferisce all'intero territorio compreso tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo (l'area geografica esatta dello Stato di Israele), non è un appello per la soluzione "due popoli, due Stati" o alla pace in Medio Oriente. È il grido di battaglia storico e attuale di organizzazioni terroristiche che hanno iscritto nei loro statuti fondativi l'obiettivo della distruzione dello Stato ebraico. Ignorare questo retroterra significa dimostrare o ignoranza storica o, peggio ancora, un cinismo politico mirato a legittimare l'estremismo e il terrorismo. Per chiunque abbia una conoscenza minima del conflitto israelo-palestinese, il significato dello slogan "Dal fiume al mare" è cristallino: esso implica la creazione di un unico Stato palestinese su tutto il territorio e la negazione dell'esistenza di Israele riconosciuto dalla risoluzione n.181 dell’Onu.

Lo slogan risale al periodo in cui l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) si opponeva a qualsiasi accordo di pace con Israele, manifesto ideologico del rifiuto assoluto, espressione di un obiettivo massimalista: l’eliminazione di un intero popolo.

Oggi, il principale sponsor di questo linguaggio è Hamas, un'organizzazione terroristica riconosciuta come tale dall'Unione Europea, dagli Stati Uniti e da numerosi altri Paesi. La Carta di Hamas non solo respinge l'esistenza di Israele, ma incita esplicitamente alla violenza e all'antisemitismo. Adottare tale slogan non è una questione di libertà di parola, ma una scelta di campo ideologico: schierarsi con chi invoca la distruzione contro chi lotta per la pace. Affermare che lo slogan sia semplicemente un desiderio di "libertà per tutti i palestinesi" è una distorsione eufemistica e pericolosa. La libertà non può essere costruita sull'annientamento di un altro popolo. Quando un politico italiano, membro del Partito Socialista Europeo, si appropria di questo grido, sta di fatto dando un'investitura politica a una visione che esclude la coesistenza di due popoli.

In Occidente l'adozione di questo slogan nelle manifestazioni pubbliche non è percepita come un dibattito accademico a supporto della pace, ma come una minaccia diretta alla vita e alla sicurezza delle comunità ebraiche. Molti episodi di antisemitismo verificatisi di recente in Europa sono stati accompagnati proprio dall'intonazione di questa frase.

Un consigliere comunale non sta parlando a una convention di attivisti; sta parlando alla sua città, che ospita cittadini ebraici, famiglie che hanno il diritto di sentirsi sicure e rispettate. Quando un  rappresentante pubblico diffonde un linguaggio che, nel migliore dei casi, è ambiguo sul piano della violenza e, nel peggiore, invoca l'eliminazione di uno Stato e del relativo popolo, non solo abdica al suo ruolo di promotore della democrazia e della coesione sociale, ma legittima di fatto chi traduce l'odio in atto. Questo è un fallimento morale e civico.

La gravità delle parole di Marco Boschini è amplificata dal suo ruolo all'interno del Partito Democratico, un partito che dovrebbe essere il baluardo dei valori democratici, progressisti e internazionalisti. Il Partito Democratico (PD) è storicamente schierato a favore della soluzione dei due Stati, riconoscendo il diritto sia di Israele che della Palestina di coesistere in sicurezza. La dichiarazione di Boschini contraddice frontalmente questa linea politica. Un politico che promuove uno slogan che rigetta il diritto di uno Stato ad esistere sta di fatto tradendo i principi fondanti del suo stesso partito. L'uso di questo linguaggio da parte di un esponente del PD pone un interrogativo fondamentale: quali sono i limiti ideologici e morali del Partito Democratico? Se il partito tollera che i suoi rappresentanti abbraccino ideologie che negano l'esistenza di una nazione, allora la sua credibilità come forza di governo e di opposizione responsabile viene meno. Non si tratta di criticare le politiche del governo israeliano, che in democrazia possono e devono essere criticate, ma di negare il diritto all'esistenza di uno Stato e di un popolo, il che è un salto mortale ideologico inaccettabile.

L'errore non è scusabile con la retorica dell'emozione o della solidarietà. In politica, l'emozione non può mai sostituire la responsabilità. Il Partito Democratico ha il dovere di agire. Il silenzio in questo contesto non è neutralità; è complicità. Permettere a un proprio esponente di avallare un linguaggio anti-sionista significa aprire le porte all'antisemitismo e minare la posizione del PD come forza politica democratica e moderata in Occidente.

La dichiarazione di Boschini non è solo un problema di politica internazionale; è un danno diretto alla qualità del dibattito e dell'amministrazione locale a Parma. Un consigliere comunale è eletto per occuparsi delle strade, delle scuole, dei servizi sociali, della sanità e del bilancio della sua città. Quando un amministratore usa la sua piattaforma istituzionale per promuovere posizioni così divisive ed estremiste su un conflitto internazionale, sta distogliendo l'attenzione dai problemi reali di Parma. Questo tipo di esternazioni crea una polarizzazione tossica che avvelena il dibattito cittadino, trasformando le questioni locali in un campo di battaglia ideologico. Ai cittadini di Parma non interessa se il loro consigliere usa slogan da estremisti; interessa che si occupi di buche, trasporti e tasse. L'ossessione per i megafoni globali a scapito della responsabilità locale è un segno di scarso impegno civico e di populismo mascherato.

Ogni rappresentante eletto è tenuto a un livello più alto di responsabilità. Le loro parole hanno un peso maggiore rispetto a quelle di un cittadino comune. L'uso di slogan che possono essere interpretati come un incoraggiamento alla violenza o come un diniego del diritto all'autodeterminazione di un popolo è incompatibile con la carica pubblica.

Un amministratore pubblico deve essere un agente di coesione, non di divisione. Deve usare un linguaggio che favorisca la convivenza, il dialogo e il rispetto reciproco all'interno della comunità, evitando ogni forma di incitamento all'odio o all'intolleranza. Il consigliere Boschini ha fallito in questo dovere fondamentale. Ha anteposto un'ideologia estrema alla sua responsabilità istituzionale.

La dichiarazione di Marco Boschini non è una semplice boutade da social media. È un momento di verità per il Partito Democratico e per tutti coloro che si richiamano ai principi della democrazia liberale. L'accettazione di uno slogan che, nel suo significato più diffuso e storicamente accertato, equivale a chiedere l'eliminazione di Israele, è un cedimento etico e politico inaccettabile.

La politica italiana non può permettersi di tollerare l'antisemitismo mascherato da anti-sionismo. Il diritto dello Stato di Israele di esistere è un pilastro non negoziabile della politica estera occidentale, un baluardo contro l'estremismo in Medio Oriente e un memoriale vivente della necessità di difendere il popolo ebraico dopo la Shoah.

Il Partito Democratico deve dimostrare, con azioni concrete e non solo con dichiarazioni di facciata, che la sua posizione è saldamente ancorata alla difesa della democrazia, della coesistenza e della condanna di ogni forma di estremismo che invoca la distruzione di una nazione. Qualsiasi altra reazione equivarrebbe a un'ammissione di complicità con un linguaggio che non appartiene al dibattito democratico, ma alle frange più oscure della politica internazionale.

 

Caro Luca,

Mi auguro che il suo bellissimo articolo venga letto da chi di dovere. Il linguaggio del Pd e altri partiti della sinistra italiana è scandaloso per quanto riguarda Israele. Augurarsi l’annientamento di uno stato sovrano, tra l’altro amico e alleato come Israele, è oltretutto criminale.  Non ho speranza che il loro linguaggio antisemita cambierà e la cosa mi sconforta.

La ringrazio e la saluto cordialmente

Deborah Fait   

takinut3@gmail.com