Due anni di guerra: per la sinistra è arrivata una lezione storica
Editoriale di Mario Sechi
Testata: Libero
Data: 14/10/2025
Pagina: 1/3
Autore: Mario Sechi
Titolo: Due anni di guerra contro il male e i suoi utili idioti

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 14/10/2025, a pag. 1 con il titolo "Due anni di guerra: per la sinistra è arrivata una lezione storica" l'editoriale di Mario Sechi.


Mario Sechi

Ed è finalmente festa in Israele, per gli ostaggi liberati, per la guerra vinta. Sono stati due anni di lotta soli contro tutti, non solo contro Hamas, ma anche contro l'opinione pubblica ostile, arringata da utili idioti (particolarmente abbondanti qui in Italia).

La domanda. Nel cuore della notte. Per due anni. «Vinceremo?». La domanda. Per 738 giorni. Da una mia amica. Un’ebrea di Roma. «Vinceremo?». Arrivava quando la fatica del giorno si scioglieva, nelle ore liquide in cui lampeggiano bagliori di inquietudine. La domanda. Captavo l’ansia di chi era sopraffatto dagli eventi, dalla propaganda, dall’odio, dal timore di “non farcela”, dall’angoscia di dover di nuovo rinunciare a tutto e assistere alla caduta più grande, quella della patria. Nel silenzio, ho sempre risposto: «Vinceremo. Stiamo vincendo». Non era l’atto di divinar le stelle, una speranza, erano gli elementi che brillavano sul campo di battaglia, lo scenario politico, a raccontare il futuro che come un lampo sarebbe esploso. Sapevo che Israele aveva l’esercito migliore del mondo e la forza morale per combattere contro il peggior nemico dell’umanità, sapevo che Benjamin Netanyahu era un eccezionale leader di guerra, sapevo che Donald Trump avrebbe tenuto la barra dell’America dalla parte giusta della storia. Perché Washington e Gerusalemme hanno un legame profondissimo, le radici sono nelle Sacre Scritture che ieri abbiamo sentito echeggiare nell’aula della Knesset, il Parlamento israeliano. «In God we trust» è il motto ufficiale degli Stati Uniti. «I figli di Abramo lavoreranno insieme per costruire un futuro migliore, un futuro che unirà la civiltà contro la barbarie, la luce contro l'oscurità e la speranza contro la disperazione», ha detto Benjamin Netanyahu rivolto a Donald Trump. Ieri e oggi. Due anni. La domanda. Sapevo. Era solo una questione di tempo. Finché ieri non è arrivata la risposta a quella domanda: «Abbiamo vinto». Chi si illudeva di spezzare questo legame tra Stati Uniti e Israele il canone occidentale - è stato travolto dal fiume carsico della storia che ha catapultato sulla scena l’impossibile (la pace a Gaza) e l’imprevisto (Donald Trump). Così Trump, in una giornata che nessuno di noi potrà mai dimenticare, ha liberato tutti. Ha proiettato il peso dell’America nel negoziato e dato un aiuto decisivo a Gerusalemme per liberare gli ostaggi; ha mostrato al mondo la grandezza dello Stato di Israele, della sua meravigliosa democrazia; ha riconsegnato alla storia la prova di leadership di Benjamin Netanyahu che con un grande discorso alla Knesset ha ricordato che «la pace si ottiene attraverso la forza»; ha ispirato a Yair Lapid un intervento cristallino su cosa significa essere ebreo, israeliano, patriota, leader dell’opposizione.

LA VERITÀ CONTRO IL CAOS

Le parole di Lapid sono un memento per gli agenti del caos che in casa nostra ora si agitano come fantasmi: «Vi hanno ingannato. Non c’è stato nessun genocidio, né una carestia intenzionale. La verità è che c’era un esercito che combatteva nella situazione più complessa mai affrontata, contro persone che mandavano i propri figli a morire e li usavano come scudi umani. Vi hanno venduto l’assurda idea che l’islam radicale rappresenti un valore liberale. Esiste il bene e il male nel mondo: quando state con l’islam radicale, state con il male; quando state con Israele, state con il bene». Una lezione e una condanna per la sinistra italiana delle anime belle che gioca con l’estremismo, per chi ha lisciato il pelo agli antisemiti della «Palestina libera dal fiume al mare», per chi ancora oggi è impegnato nella partita del negazionismo. Una legione di falliti, di utili idioti di Hamas, ieri cercava disperatamente una bandiera dove nascondersi, un’operazione di trasformismo in diretta. Dopo aver negato in Parlamento il sostegno al piano di pace di Trump e Netanyahu, li ho sentiti in tv ieri dire che «il merito è di Trump», ma sempre con l’intenzione vampiresca di mostrificare Israele (non è stato Netanyahu) e di trovare una via d’uscita dalla loro vergogna esposta. Non hanno capito niente di quel che stava accadendo: quando Israele ha reagito alla strage del 7 ottobre, hanno sperato nella sconfitta militare di Israele per mano dell’Iran (e i cieli di Teheran sono stati penetrati dai bombardieri israeliani e americani per distruggere le infrastrutture nucleari); hanno fatto pressione sull’America del declino senile di Joe Biden (che si è ritirato dalla corsa presidenziale), hanno raccontato di una certa vittoria di Kamala Harris contro Donald Trump (che ha stravinto le elezioni) e nel delirio della loro ignoranza sulla storia americana hanno accarezzato il sogno del grande divorzio tra Stati Uniti e Israele, immaginando un Trump pronto a tradire la storia di un’alleanza inscindibile, il suo Paese, la sua famiglia che coltiva l’amore per l’ebraismo e Israele (e ieri ha ricevuto il tributo della Knesset); hanno invocato embarghi economici e militari contro Israele (che non hanno impedito il dispiegamento di un esercito oggi studiato da tutti i capi militari dell’Occidente); hanno detto che non si poteva colpire Hezbollah in Libano (e abbiamo visto una delle operazioni militari più spettacolari della storia, l’esplosione dei cercapersone nelle mani dei miliziani di Hassan Nasrallah, a sua volta eliminato nel bombardamento del suo bunker); hanno ammonito le forze armate di Gerusalemme dicendo che «tutti gli occhi erano puntati su Rafah» (il luogo dove l’esercito israeliano ha trovato e ucciso la mente della strage degli ebrei, Yahya Sinwar, «il macellaio di Khan Younis»); hanno spacciato su ogni mezzo di comunicazione la grande menzogna - la fame a Gaza - che serviva a impedire di dare il colpo decisivo a Hamas (e i terroristi, con le spalle al muro, si sono piegati e hanno liberato gli ostaggi); hanno risvegliato e alimentato l’antisemitismo in tutto l’Occidente con l’abominevole accusa di genocidio lanciata sugli ebrei, il popolo che ha subito l’Olocausto (e ora che la polvere della guerra si sta posando, anche questa gigantesca bugia è squadernata); hanno insultato e minacciato i giornalisti e gli intellettuali che hanno avuto il coraggio di non cantare nel coro degli impostori, fatto di Libero, del suo direttore e dei suoi collaboratori un bersaglio. Sono trascorsi due anni in cui, per ripetere le parole di Bertolt Brecht, «ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati». E avevamo ragione. Il tempo è galantuomo e in questo caso sarà rapidissimo e senza pietà per chi ha scelto di stare dalla parte sbagliata.

IL RUOLO ITALIANO

L’Italia è dalla parte giusta della storia, Giorgia Meloni ha mostrato equilibrio e lungimiranza, ha appoggiato il piano Trump mentre i suoi avversari la dileggiavano, ha presentato una mozione in Parlamento e l’opposizione l’ha ignorata, ha costruito il fatto istituzionale e la risposta della sinistra dell’intifada globale è stata un misfatto che peserà per sempre sulla loro coscienza. Meloni ha tirato dritto e ora può raccogliere i frutti di una strategia che la vede proiettata verso una leadership europea. Ha dimostrato di avere le capacità, ora ne ha anche la possibilità perché si stanno spalancando i cancelli di un Nuovo Mondo dove l’America di Trump guida il vascello dell’Occidente, l’Italia è a bordo (insieme alla Germania) e gli altri sono ai margini, residuati di una stagione politica che si sta chiudendo. Ieri alla Knesset a Gerusalemme e in Egitto a Sharm El Sheikh abbiamo visto i lampi di un nuovo inizio. Non saranno i perdenti a scrivere la storia.

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