Pubblichiamo una serie di articoli con al centro la figura di Abu Ala.
1) da La Stampa con Fiamma Nirenstein: "Questo primo ministro ha una base popolare" a pagina 8, una intervista con Danny Rubinstein.Esce Abu Mazen, entra Abu Ala, e certo lo spettacolo risulta assai inquietante. Dietro le quinte, a manovrare, incurante del disappunto internazionale, Arafat: il Raíss toglie, il Raíss dona. Il nuovo primo ministro designato, il cui nome autentico è Ahmed Qurei, è un politico misterioso; in questi tre anni di Intifada non ha mai pronunciato la parola «terrorismo» che invece Abu Mazen aveva osato pronunciare ad Aqaba, aggiungendo che gli israeliani ne soffrono, e compiendo così il suo peccato capitale; però è un uomo che si è, a suo tempo, molto speso per gli accordi di Oslo. Ha 66 anni, è gravemente cardiopatico, tanto che a Taba, al tempo in cui ancora si parlava di pace, nel pieno della discussione su Hebron fu portato via in ambulanza fra lo spavento generale. L'uomo, come in fondo tutti i politici, è un enigma anche per Israele e gli americani: saranno disposti ad averci a che fare come nuovo affidatario della Road Map? Per capire Abu Ala non c'è di meglio che affidarsi al maggiore esperto di politica palestinese, Danny Rubinstein, autore del libro «Il mistero Arafat» da poche settimane uscito per la casa editrice Utet.
C'è in Abu Ala la premessa per il disastro, o il premier può salvare la Road Map?
«Visto che Abu Mazen ha fallito, vale la pena guardare alle differenze fra i due Abu per capire se il secondo può farcela».
D'accordo. In realtà, per quello che si vede da lontano, sono due fedelissimi di Arafat che salgono, in successione, in una posizione politica che può fargli ombra e contraddirlo. Una posizione pericolosa.
«Attenzione dunque alle differenze: Abu Mazen è un uomo d'apparato Olp, un sodale antico di Arafat, ma non ha mai avuto l'appoggio popolare. Invece, Abu Ala è un membro eletto del Consiglio legislativo, il Parlamento, e ha quindi una legittimazione diretta. Inoltre ha una carica istituzionale che fa del suo nuovo incarico uno sviluppo naturale: è il presidente del Consiglio legislativo».
Questo in un regime non democratico è una caratteristica interessante, ma certo non cogente.
«Certo, ma nel puzzle di caratteristiche è un buona tessera. In secondo luogo, mentre Abu Mazen è chiuso, solitario, Abu Ala è allegro, ama piacere, racconta barzellette, cena in compagnia».
Senza dubbio in una situazione tragica come quella attuale porta un raggio di sole, ma non serve a molto.
«Infatti, andiamo alle caratteristiche politiche: Abu Ala è astuto, sa galleggiare in ogni circostanza. Era un leader fra i più importanti prima degli accordi di Oslo, era un protagonista di Oslo, ora è primo ministro».
Non ha mai detto una parola contro il terrorismo.
«Anch'io non ne ricordo, ma è stato serio a Oslo».
Quegli accordi però sono falliti. Lei pensa che Abu Ala voglia la pace, mentre il suo capo dà chiari segnali che questa è l'ultima cosa che gli interessa?
«Non so cosa abbia nel cuore, ma politicamente Abu Ala vuole tutte le cose che Arafat vuole ed è stato molto abile a dichiarare che si impegnerà solo se finalmente Arafat avrà la possibilità di nuscire dalla Muqata».
E' una richiesta che specie adesso appare del tutto irrealistica.
«Lo è, ma è una mossa intelligente, che dà soddisfazione ad Arafat e sottintende una strada agibile per la ripresa della Road Map».
Molto ottimista: ma il nodo vero per un qualsiasi processo di pace è solo la lotta al terrorismo, e su questo è caduto Abu Mazen. Abu Mazen voleva il suo Dahlan per combattere contro Hamas, ma anche per difendersi da Arafat. Gli uomini delle milizie sono il frutto proibito. Che farà Abu Ala?
«Probabilmente accetterà che sia Jibril Rajub a prendere in mano tutte le forze armate, unificando così in un solo comando i vari gruppi».
Ovvero, accetterà l'uomo proposto da Arafat.
«Sì, ma unificherà le armi, e allora tutto diventerà possibile».
Se Arafat è d'accordo.
«Niente può accadere se Arafat non vuole. Ma questo, anche sotto Abu Mazen. Qui almeno abbiamo un politico con una base popolare, che ha condotto anche trattative di pace».
2) Dimitri Buffa firma l'articolo che segue dal titolo: "Fedelissimo di Yasser, tra scandali e dollari", pubblicato su Libero a pagina 13Il nome di Abu Ala figura tra quelli dei palestinesi che negoziarono con il
governo Rabin nel 1993 i famosi accordi di Oslo, che forse sarebbe meglio
definire famigerati, dato che portarono alla pace a senso unico rispettata solo da Israele finchè non iniziarono a piovere martiri suicidi da mezza
Palestina. Ma Abu Ala all'interno dei territori occupati sotto l'egida Anp
gode la fama di fedelissimo di Arafat, destinato a fare il premier fin da
prima della nomina di Abu Mazen, episodio imprevisto nei piani del rais.
La prima volta che gli scandali economici lo investirono fu nel febbraio 2001 quando venne fotografata dai servizi di sicurezza israeliani e generosamente messa su internet la villa con piscina, anzi la "casa di vacanza", vicino a Gaza costruita con 3 milioni di dollari che secondo il generale Amos Gilad, responsabile Isreli defence forces per la Samaria, (il quale per raccontare la cosa convocò anche una conferenza stampa ad hoc) provenivano in gran parte dagli aiuti umanitari europei e americani. Un anno dopo nuovo incidente di percorso: Abu Ala tentò attraverso un giornalista arabo israeliano del "Jerusalem Post" di mettersi in contatto direttamente con Sharon per negoziare la fine dell'assedio di Ramallah, scavalcando il proprio capo Arafat. La cosa si venne a sapere anche perchè il giornalista scrisse un articolo molto sarcastico a proposito delle divisioni interne alla dirigenza palestinese. Mahmoud Qurei, alias Abu Ala, non la prese per niente bene: nel regime tirannico di Arafat basta molto meno per essere bollati di collaborazionismo con il nemico e per essere linciati sulla pubblica piazza. Non contento di smentire il Post, Abu Ala fece telefonare da due suoi scagnozzi che svolgevano il ruolo di addetti alle pubbliche relazioni, Salah Elayan e Firas Yaghi, al giornalista minacciandolo ripetutamente di morte. Il
giornalista denunciò le pressioni e uno dei due scagnozzi, Salah Elayan , si
fece qualche giorno di carcere in Israele e poi si beccò una diffida a girare al largo dai telefoni e dalle abitazioni del giornalista.
Venendo ai nostri giorni, cioè al 23 giugno 2003, Abu Ala in un'intervista al quotidiano libanese Al-Nahar, rispondendo alle domande dell'intervistatore, svelava quali fossero i veri piani della dirigenza palestinese: liquidare Abu Mazen, porre il problema del diritto al rientro di oltre 3 milioni di profughi da Libano, Giordania, Siria, Tunisia ed Egitto e negoziare con gli israeliani senza accettare per principio l'esistenza dello stato ebraico così come oggi delineato. Politicamente parlando, Abu Ala in quell'intervista rivelò un tale grado di cerchio bottismo da essere paragonabile a quello degli esponenti dei partiti italiani. All'intervistatore che gli chiedeva cosa pensasse delle azioni dei "martiri suicidi" rispose che "devono finire per il bene politico dei palestinesi, ma non si tratta di terrorismo perchè il vero terrorismo lo fa
Israele". Di Abu Mazen che voleva disarmare con la forza i terroristi disse che
"sarebbe un errore puntare armi palestinesi contro i palestinesi, ritengo che nessuna forza palestinese lo farebbe." Nel 1998, quando ancora esisteva un simulacro di pace tra israeliani e palestinesi, un suo appello radiofonico a sparare sui coloni fu preso molto male dal portavoce dell'esercito israeliano che fece una nota di protesta ufficiale. Il 24 febbraio 2002 l'auto blindata che lo portava in Israele tentò di forzare un posto di blocco e i soldati di Tsahal la fermarono sparando in aria. Dopo la sua identificazione venne lasciato andare. Abu Ala infine non è secondo a nessuno nell'arte dell'intrigo: recentemente in
un'intervista per il quotidiano sinistrorso israeliano "Haaretz" aveva
affermato che ormai Arafat e Abu Mazen si odiavano reciprocamente e che lui
era l'unico che poteva garantire che "gli odi personali non minassero la
causa palestinese". Ultima nota di colore: avendo enormi disponibilità
economiche Abu Ala ha viaggiato ovunque, pure in Giappone, e qualcuno dei
suoi per questo lo ha malignamente soprannominato "il Papa della Palestina".
3) Su Avvenire, a pagina 4, Graziano Motta descrive il personaggio Abu Ala nell' articolo dal titolo: "L'ex bancario dell'Olp abilissimo nel tessere le relazioni internazionali".Ahmad Qrei -più noto con il nome di battaglia in seno all'Olp di Abu Ala- va orgoglioso di essere cittadino di Al Quds (come Gerusalemme viene chiamata dagli arabi) e di aver fatto degli studi economici. E' nato 66 anni fa in un quartiere periferico della Città Santa, Abu Dis, alle pendici del monte degli Ulivi, e vi ha ancora la residenza privata non lontana dall'edificio che alcuni anni fa si prefigurava potesse ospitare la sede del governo palestinese in base al discusso compromesso con gli israeliani sulla capitale del futuro stato indipendente. Gli studi di ragioneria e commerciali, che gli diedero un impiego inbanca, contribuirono a formargli il carattere di uomo pratico ma non determinarono la sua ascesa personale, dovuta invece alla politica. Vicinissimo ad Arafat, da quando questi divenne leader del partito Al Fatah, lo seguì negli anni Settanta a Beirut e poi ne decennio successivo a Tunisi dove ebbe in seno all'Olp l'importante incarico di capo del dipartimento economico. Presto gli si apriron le porte del Consiglio centrale dell'Olp, ovvero le "stanze del potere", sempre più stimato da Arafat che nel 1993 lo inviò in Norvegia come capo della delegazione per le trattative segrete con gli israeliani, sfociate negli accordi di Oslo. Costituita l'Autorità nazionale palestinese fu nominato ministro dell'Economia e nel 1996, dopo le elezioni politiche in cui fu eletto deputato nel collegio di Gerusalemme, designato da Arafat e acclamato presidente del Consiglio legislativo, la Camera del regime autonomo.
Questo incarico lo ha posto al vertice dell'establishment politico-istituzionale; per questo e per l'affabilità dei modi, ha stabilito buoni rapporti con personalità straniere anche israeliane; fra queste il presidente della passata legislatura, il laburista Avraham Burg, e l'attuale premier, il nazionalista Ariel Sharon. Arafat, quando cominciò il braccio di ferro con il primo ministro Abu Mazen, pensò ad Abu Ala come suo successore perchè fra i suoi fedelissimi, fra coloro che mai lo avrebbero messo in ombra né tanto meno spogliato di poteri e prerogative, era proprio colui che per le relazioni internazionali sviluppate poteva essere ben accetto a israeliani, americani, europei. E nello stesso tempo poteva assicurargli risultati concreti. C'è da scommettere che Abu Ala si impegnerà a fondo nel non deludere il suo rais, l'apparato politico e l'opinione pubblica palestinesi che lo stimano. Il suo grande vantaggio sta nel fatto che alla Casa Bianca preme tenere in vita, specie in questo momento, il processo di pace e che pertanto Israele si piegherà ad accettarlo pur considerandolo "un burattino nelle mani di Arafat". E' un vantaggio che, da buon bancario, ha cominciato subito a mettere a profitto chiedendo garanzie a destra e manca e non promettendo nulla di suo.
4)Sul Sole24Ore Ugo Tramballi pubblica un pezzo che riportiamo integralemente, dopo aver detto quel che ne pensiamo.
Dopo aver dato del "vecchio arnese" ad Ariel Sharon (domenica 7.9.03) Ugo Tramballi traccia un ritratto di Abu Ala come Liala non avrebbe saputo fare meglio. Chiediamo scusa alla memoria della grandissima scrittrice per l'accostamento, ma come lei era a modo suo una regina del patetico, Tramballi lo è nello stile. Invitiamo i nostri lettori a bersi il suo ritratto di Abu Ala, dove alla crudeltà mostruosa degli israeliani fa da contraltare la totale assenza di Arafat, come se il raiss in questa storia non c'entrasse niente. Tutto l'articolo sarebbe da evidenziare per l'odio che trasuda nei confronti di Israele. Per cui non resta che leggerlo e poi inviare al Sole24Ore e-mail di protesta. Si trova a pagina 6 ed è intitolato: "Il ritorno del negoziatore di Oslo"Ibrahim Qurei aveva trascorso metà della sua vita nei tribunali d'Israele, nel tentativo di ottenere giustizia: riavere cioè la sua casa di Gerusalemme, requisita dal nemico. E in un'aula, ormai molto vecchio e amareggiato, morì ucciso da un infarto. A suo figlio Ahmed, in esilio, gli israeliani negarono il permesso di partecipare al funerale: per quanto fosse stato il negoziatore di Islo, le porte di Gerusalemme gli restavano sbarrate perchè Ahmed Qurei era un dirigente dell'Olp, il braccio destro di Arafat.
Abu Ala, nom de guerre di Ahmed Qurei - come Abu Mazen lo è di Mahmud Abbas- non ha mai portato rancore verso gli israeliani. Per lui l'occupazione e le sue brutalità sono sempre state parte del gioco: le cose erano andate così e anzichè vendicarsi per la strada dolorosa toccata al popolo palestinese, Abu Ala aveva sempre pensato che fosse meglio porre fine a quelle sofferenze cercando un compromesso col nemico prima che fosse troppo tardi.
Secondo Ariel Sharon, per il quale gli accordi di Oslo sono un prodotto del demonio, un Abu vale l'altro. Dal punto di vista americano ed europeo riguardo alla "road map", invece, Abu Ala è molto meglio di Abu Mazen. Entrambi ritenevano insensata questa ultima Intifada. Ma il primo ha sempre guardato a Occidente, il secondo non si è mai liberato del tutto della rigidità mentale acquisita con i suoi studi all'Università Lumumba di Mosca. Abu Ala è stato il vero negoziatore di Oslo, faccia a faccia con l'israeliano Uri Sasvir, ogni giorno fino a diventare testimoni di nozze dei rispettivi figli. Abu Mazen era solo il controllore della trattativa, gli israeliani li incontrò a cose fatte.
Ma pensare che lasciando le cose come sono Abu Ala possa riuscire da solo dove il predecessore ha fallito, è ridicolo. Ieri sera, 24 ore dopo la nuova nomina, l'amministrazione Bush ha fatto dire a un portavoce che si trattava di "una questione interna" ai palestinesi. Temono -come sospettano gli israeliani- che la nomina sia un prodotto politico di Arafat. E Franco Frattini, in attesa che gli americani e gli israeliani sciolgano le loro riserve, ha fatto cauti auguri al nuiovo primo ministro: "Ci attendiamo passi reali" per fermare i terroristi di Hamas. Ma anche il ministro degli Esteri italiano sa che questo Abu Ala non lo potrà fare perchè del predecessore ha ereditato tutti gli handicap.
Gli israeliani non faranno nulla per aiutarlo; dagli americani si attendono segnali di vita pi ùconsistenti; e gli europei hanno messo fuori legge Hamas, dando un vantaggio morale a Israele e un altro peso sulle spalle di Abu Ala prima ancora che provi a governare. Solo Javier Solana dice che la Ue "deve trattare" immediatamente con il nuovo leader palestinese: anche qui l'Europa non ha una sola voce.
Nemmeno i palestinesi fanno molto per aiutare Abu Ala il quale gode di maggiore simpatia rispetto al predecessore. Ma fuori da Abu Dis accanto al monte degli Ulivi, il suo villaggio dal quale si vedono le cupole irraggiungibili delle moschee sulla spianata del tempio di Gerusalemme, Abu Ala conta poco. E per quanto sia il rispettato presidente del parlamento palestinese, a 65 anni e cardiopatico il nuovo premier appartiene alla generazione e alle esperienze di Arafat e Abu MAzen, dell'esilio di Beirut e di Tunisi, dove Abu Ala era responsabile di Samed, la finanziaria dell'Olp. Per la gran parte dei palestinesi nei Territori, che dovrebbero deporre le armi dell'Intifada, quei leader sono il passato. Ascolterebbero forse uno della loro generazione, cresciuto come loro sotto l'occupazione del nemico imparandone la lingua, passato nelle sue carceri, testimone perfino della democrazia israeliana: destinata solo ai cittadini di religione ebraica, ma funzionante. Quell'uomo forse capace di fermare la pazzia della sua gente c'è: con tutti i pregi e i difetti della condizione dei palestinesi di oggi. E' Marwan Barguti di Ramallah. Ma gli israeliani non lo fanno uscire di prigione.
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