Riprendiamo da LIBERO del 04/10/2025, a pag. 6, con il titolo "Eventi pro-Israele obbligati alla segretezza" l'analisi di Claudia Osmetti.
Claudia Osmetti
È già la seconda che volta che succede, per i piccoli eventi delle comunità ebraiche è diventata addirittura la norma ed è il segno più evidente del clima che stiamo vivendo. Domani, a Verona, si terrà un convegno organizzato dal partito Liberaldemocratico di Luigi Marattin dal titolo “Il terrorismo è dolore” e dal sottotitolo “Testimonianze dal Medio Oriente”. È esattamente quello che sembra, una tavola rotonda con politici, esperti (per esempio Niram Ferretti, che è un saggista e uno scrittore il quale conosce molto bene la storia di Israele) e testimonianze di chi la Palestina la vive, o l’ha vissuta, sulla sua pelle (ci saranno, tra gli altri, il dissidente gazawo Hamza Howidi e il sopravvissuto al pogrom di Hamas del 7 ottobre 2023 Daniel Lanternari). È, insomma, un evento che non ha niente a che vedere con la propaganda propal che certa sinistra spaccia per verità assoluta e che, invece, ha tutto da spartire con un’occasione di approfondimento e di informazione seri e oggettivi.
Solo che c’è un problema: chi vorrà seguire i lavori non sa ancora esattamente dove dovrà recarsi.
C’è la data, c’è la città: manca il resto dell’indirizzo. E non perché Marattin sia uno sprovveduto o abbia cambiato idea sulla sala da affittare (cosa che sarebbe pure legittima), semmai per una mera ragione di sicurezza. «È a molto triste», ammette il deputato libdem il cui partito è quotato, dagli ultimi sondaggi, all’1,1%, «personalmente ero contrario perché non mi piace nascondermi, però la digos ci ha consigliato di comunicare il luogo preciso solo a chi si scrive. Lo faremo, ci mancherebbe, ma questo la dice lunga sui tempi che stiamo vivendo».
Ha ragione, Marattin (e ha ragione su molte cose: ha ragione nel ricordare che Hamas è un gruppo terroristico, che i gazawi che si ribellano ai tagliagole sono «i veri resistenti», che la situazione israelo-palestinese è complessa e non può essere liquidata con un paio di slogan buoni giusto a rinvigorire il furore delle piazze ma non a portare a termine un ragionamento senza preconcetti). Però, purtroppo, non è la prima volta che un convegno dichiaratamente non-propal deve affidarsi a una location “segreta” fino all’ultimo.
È successo un paio di settimane fa all’incontro “Falafel e democrazia” ideato dalla Fondazione Rut a Napoli: lì era atteso l’ex premier israeliano Ehud Olmert (peraltro col contraddittorio rappresentato dall’ex ministro degli Esteri dell’Anp, l’Autorità nazionale palestinese, Nasser Al-Kidwa), il fronte delle manifestazioni annunciate e di protesta ha fatto sì che il posto sia rimasto top secret fino alla mattina stessa della convocazione. E succede «quasi ogni volta che le comunità ebraiche organizzano eventi non istituzionali», spiega il direttore del museo della Brigata ebraica Davide Romano: «È avvilente, però ci si organizza col passaparola, coi messaggini su Whatsapp e si chiede a chi parteciperà di non fare pubblicità sui social».
È una questione di sicurezza, ovviamente giustificata (vale per l’evento di Marattin, per quello con Olmert e per quelli programmati dagli ebrei d’Italia che hanno ogni diritto a riunirsi e a indire conferenze come meglio va loro) ma certamente preoccupante. Da un lato le manifestazioni oceaniche, spesso pure violente e arroganti, del from the river to the sea, e dall’altro i seminari carbonari, indetti quasi alla Mazzini, cioè “di nascosto”, perché non è opportuno, è pericoloso, si rischia la contestazione aggressiva, il pubblico potrebbe subirne le conseguenze.
Se questo è il risultato di chi dà sponda ai pacifinti che berciano free-Palestine confondendo Hamas con un movimento di liberazione, nessuno di noi ci ha guadagnato granché. Anzi.
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