«Di Guy resta soltanto uno scheletro» Parla il padre di un ostaggio di Hamas
Intervista di Antonio Picasso
Testata: Il Riformista
Data: 18/09/2025
Pagina: 5
Autore: Antonio Picasso
Titolo: «Di Guy resta soltanto uno scheletro» Parla il padre di un ostaggio di Hamas

Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi 18/09/2025, a pagina 5, l'intervista di Antonio Picasso a Ilan Dalal dal titolo "«Di Guy resta soltanto uno scheletro» Parla il padre di un ostaggio di Hamas".


Antonio Picasso

Guy Gilboa Dalal, ostaggio israeliano nelle mani di Hamas dal 7 ottobre 2023

«Alla vostra presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, chiedo di fare pressione, se può, su Hamas perché agli ostaggi vengano garantiti cibo e cure mediche».

Ilan Dalal è il padre di Guy Gilboa Dalal, uno degli ostaggi ancora nelle mani dei terroristi di Gaza. Il video del figlio, un ventenne ridotto a scheletro – un macabro flashback agli orrori della Shoah – aveva fatto il giro del mondo.

E all’Italia cosa dice?
«Dico che riconoscere lo Stato palestinese non aiuta la liberazione degli ostaggi».

Fino a neanche due anni fa, Ilan Dalal era un qualsiasi cittadino israeliano di Alfei Menashe, in Samaria. Un uomo tranquillo, che certo non si immaginava di doversi trasformare in un globe trotter a “intrattenere” – si fa per dire – un pubblico di giornalisti e amici di Israele venuto ad ascoltarlo su invito della Comunità ebraica milanese.

Ilan, cos’è successo a Guy?
«Quello che è capitato a tanti altri. Guy era andato al Supernova Festival con degli amici. I suoi ultimi messaggi su WhatsApp risalgono alle 3 del mattino del 7 ottobre. Poi il caos. L’angoscia di non sapere se si fosse salvato, come all’inizio speravamo. Infine, la conferma dai video fatti dagli stessi jihadisti e pubblicati su Telegram (Ilan mostra le foto che ha portato con sé, ndr). Lo abbiamo visto tutti: trascinato via dai suoi aguzzini, insieme a tanti altri. Il volto sporco e disorientato. Le percosse in faccia con il calcio dei Kalashnikov».

Lei indossa una t-shirt con la foto di suo figlio. “Bring Guy home now!”, dice. Un ragazzo di 22 anni, che ormai ne ha 23.
«24, ti correggo. Sì, sono due i compleanni che mio figlio si è fatto nei tunnel di Gaza».

Chi è Guy?
«Un ragazzo come ce ne sono milioni nel mondo. Con un diploma in informatica. Aveva finito la scuola da due mesi. Con le passioni della sua età: la musica, il calcio, il sogno di volare in Giappone. A casa i suoi manga, la chitarra e la sciarpa del Maccabi sono rimasti lì, ad aspettarlo come lo aspettiamo noi».

In un ultimo video lo abbiamo visto in una macchina per le strade di Gaza. Ma in uno precedente era segregato in un tunnel.
«Guy sta male e rischia di morire, come tutti gli altri ostaggi. Lo nutrono con cibo avariato e acqua salata. Quello che resta di lui è uno scheletro. Peggio della Shoah. Il nonno di mia moglie ne era un sopravvissuto. È vittima di abusi fisici e mentali. Sei mesi fa gli hanno fatto credere che sarebbe stato rilasciato. Lo hanno portato fin dentro il compound, per usarlo in quella orrenda cerimonia che inscena Hamas quando rilascia qualcuno. Invece no. Hanno aperto il portellone della macchina e gliel’hanno richiuso in faccia. Tutto filmato. Non mi invento nulla, come fanno loro. E oggi lo portano in giro per Gaza come scudo umano».

Ecco, visto che è tutto alla conoscenza di tutti, perché chi parla con Hamas non fa nulla?
«Perché tutti hanno paura di Hamas. Cosa pensate? Chi sta lì è perché i terroristi glielo permettono. La Croce Rossa non ha mai aiutato gli ostaggi. Non l’ha mai fatto né a Gaza dopo il 7 ottobre, né in Libano, anni fa, quando era Hezbollah a rapire i civili».

Lei, pochi giorni fa, ha incontrato Macron e Starmer. Cos’ha provato di fronte a due grandi leader occidentali che, pur dicendosi amici di Israele, adesso propongono di riconoscere lo Stato palestinese?
«Sento il mondo parlare di umanitarismo, di pietà per la popolazione di Gaza. Ma sempre meno per i nostri ragazzi. Sono rimasto molto deluso da Macron e Starmer. D’accordo, il primo si è rivolto all’Onu perché agli ostaggi venga dato del cibo. Ma com’è possibile non capire una cosa? Riconoscere lo Stato palestinese vuol dire premiare il terrorismo.
A parte il fatto che la loro dichiarazione ha bloccato un accordo che avrebbe potuto facilitare la liberazione di alcuni ostaggi già un mese fa, ma è così difficile capire che riconoscere la Palestina prima che tutti gli ostaggi siano tornati a casa significa abbandonarli al loro destino?»

Vi sentite soli?
«Alle volte è perfino difficile vivere. Ma non dobbiamo mollare. Sappiamo che Israele è sola. Forse avrebbe potuto evitare gli errori fatti subito dopo il 7 ottobre. Oggi sappiamo che la guerra non finisce finché non li riportiamo tutti a casa».

Di quali errori parla?
«Prima si sarebbero dovuti liberare gli ostaggi e poi attaccare. Oggi è impossibile eliminare tutti i miliziani di Hamas. Come si fa con il Qatar che lo finanzia e accoglie i suoi leader? Come si fa a contrastare le loro menzogne? Sui morti, la fame, i civili uccisi, dicono loro, dai nostri soldati».

Lei è un cittadino comune. Come sono i suoi rapporti con gli arabi?
«Normalissimi. Ho amici arabi. Mia moglie dà un passaggio a chi di loro abita vicino al confine. Ho cresciuto i miei figli ad amare tutti allo stesso modo».

E adesso?
«Adesso non lo so. Due popoli-due Stati erano possibili prima del 7 ottobre. Adesso è tutto così buio. Con chi può parlare Israele per la pace? Con Abu Mazen, che non conta più nulla, o con Hamas, che vive per uccidere?»

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