Siria: ex-jihadisti in cerca di legittimità in Occidente e Israele
Analisi di Mattia Preto
Mattia Preto
Nel dicembre 2024 in Siria è avvenuto un cambiamento epocale, il regime di Bashar al-Assad è crollato. Con Assad al potere dal 2000, successore del padre Hafiz, la famiglia governava ininterrottamente il Paese dal 1971. Questo regime sanguinario e dittatoriale ha visto la sua fine al tramonto del 2024, sconfitto dalle forze antigovernative guidate da Ahmad al-Sharaa. Il passato di questo nuovo leader è oscuro, per oltre dieci anni ha militato tra le file dell’Isis e di al-Qaida. Eppure, per legittimarsi a livello internazionale dopo la vittoria sulle truppe di Assad, al-Sharaa non ha scelto di allearsi con i gruppi filo-jihadisti, bensì con le grandi potenze occidentali, che fino a pochi anni prima aveva combattuto.
Fin dal primo giorno ha dichiarato di voler guidare la Siria in una transizione verso la libertà, seguendo una linea regionale di non belligeranza con i Paesi vicini. Questa dottrina, volta ad avvicinarsi all’Occidente, ha portato il nuovo regime a stabilire contatti anche con lo Stato ebraico. La Siria, infatti, è de iure in guerra con Israele dal 1948, anche se, dopo la conquista israeliana delle Alture del Golan nel 1967, la possibilità di un attacco da parte di Damasco si è drasticamente ridotta, il Golan garantisce a Israele una superiorità strategica decisiva.
Israele, giustamente, non si fida del jihadista riabilitato Ahmad al-Sharaa, poco dopo la caduta del regime di Assad, l’aviazione israeliana ha condotto una delle sue più efficaci operazioni, distruggendo l’aviazione e la marina siriana oltre alle armi chimiche di Assad, e impedire che armamenti sofisticati cadessero nelle mani sbagliate, ovvero ex (o presunti ex) jihadisti. Parallelamente, lo Stato ebraico ha lanciato azioni di terra, conquistando le postazioni siriane sul Monte Hermon, al confine con il Golan, con l’obiettivo di mettere in sicurezza la frontiera.
La conferma dei dubbi di Israele non si è fatta attendere, con i massacri di cristiani siriani e dei drusi nella regione siriana di Suwayda nel mese di luglio. In quei giorni i droni dell’IDF hanno colpito il quartier generale militare siriano a Damasco, ponendo fine, almeno temporaneamente, al massacro dei drusi, che vedono sempre più in Israele il loro unico protettore nella regione. Il 16 settembre a Damasco si è tenuto un incontro tra Siria, Giordania e Stati Uniti per garantire la sicurezza dei drusi nella regione di Suwayda. Il piano elaborato prevede il risarcimento delle vittime druse, l’individuazione dei responsabili e l’avvio di un processo di riconciliazione interna. Americani e giordani monitoreranno l’attuazione del piano.
Nonostante la sfiducia da parte d’Israele nel nuovo regime Ahmad al-Sharaa prova a mostrarsi collaborativo nei confronti dello Stato Ebraico, nel tentativo di riabilitare la sua immagine e quella della Siria. Il gesto più eclatante è stato l’apertura dello spazio aereo siriano ai jet israeliani durante le operazioni in Iran del giugno 2025 contro i siti nucleari in cui il governo siriano non si è opposto. un chiaro segnale politico, considerando che gli Ayatollah erano stati tra i più fedeli sostenitori di Assad e dunque nemici dichiarati del nuovo regime.
Sul piano diplomatico, l’incontro più significativo si è svolto nel maggio 2025 in Azerbaigian, sotto l’egida degli Stati Uniti, dove funzionari siriani e israeliani hanno discusso di pace e sicurezza, in cui i funzionari siriani si sono detti pronti a raggiungere un accordo con Israele.
Nonostante questi tentativi, la Siria rimane un mosaico complesso: il nuovo regime non controlla ancora l’intero territorio, né l’insieme delle forze armate, parte delle quali continua ad abbracciare frange estremiste dell’Islam responsabili di massacri contro le minoranze. La caduta di Assad non ha liberato la Siria dai suoi drammi. Al-Sharaa fatica a stabilizzare il Paese, desideroso di legittimazione internazionale dopo la rottura con Russia e Iran. Per questo cerca di attrarre l’Occidente e Israele, gli unici che possano realmente contribuire alla stabilizzazione.
Intanto, la Siria resta piegata da massacri, sanzioni internazionali e da una grave siccità che rischia di metterla in ginocchio. Le annunciate elezioni parlamentari, previste per il 2025, sono state rinviate a data da destinarsi. Ma non ci si deve illudere, saranno tutt’altro che democratiche, con un terzo dei seggi riservato direttamente a nomina del presidente e i restanti due terzi assegnati a candidati preselezionati da enti governativi regionali. La promessa di libertà fatta da al-Sharaa non è stata mantenuta, il che porta a pensare che potrebbe non mantenerne altre in futuro.
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