Riprendiamo l'articolo di Giulio Meotti, dalla sua perfetta newsletter, dal titolo: "Perché 70 cristiani fatti a pezzi a un funerale sui giornali italiani non hanno meritato neanche la pagina dell’oroscopo".
Giulio Meotti
I terroristi islamici hanno massacrato 70 cristiani in Congo durante un funerale. Ne parla la Reuters.
“Hanno ucciso tutti i partecipanti a un funerale”. Un sacerdote cattolico della parrocchia di Manguredjipa racconta che le vittime erano cristiani a una cerimonia funebre, che i terroristi hanno trasformato in un campo di sterminio.
Ad agosto, 49 cristiani, tra cui 9 bambini, erano stati fatti a pezzi a una veglia di preghiera in una chiesa in Congo.
Perché i finti incendi e droni sulle barche della crociera di Greta Thunberg fanno più notizia di 70 cristiani decapitati in una chiesa in Congo?
Francia, Inghilterra e altri paesi europei sono subito accorsi in difesa del Qatar. Tutto facilmente spiegabile.
Qualche giorno fa è uscita la notizia che l’emiro del Qatar ha più proprietà a Londra della famiglia reale. Il Qatar sta affondando i suoi artigli smaltati nelle fatiscenti economie europee che a loro volta controllano i media.
E i media italiani non ci pensano proprio a dare simili notizie sui cristiani.
Oggi sul Corriere della Sera ci sono due inutili pagine di intervista a Don Ciotti che ci spiega che il prete non voleva farlo, l’ennesima intervista a uno chef stellato su come si educano i figli, un editoriale di Elena Tebano sulle “ragazze nel volley” e l’inutile discorso del rettore della Bocconi.
Su La Repubblica anche meglio: l’intervista a uno scappato di casa salito sulla nave di Greta, la pensata immancabile di Michele Serra dall’amaca contro Israele e un editoriale sulla laurea da riscattare.
Ma oltre alla decadenza mediatica e alla corruzione economica, c’è anche un problema culturale più grande.
C'è una malattia dell'anima specifica delle società in pace: quella di partorire sogni (o incubi) contro se stessi. Viviamo a latitudini in cui il comfort materiale ha minato il senso per la realtà, dove le città offrono, nelle loro strade adornate di slogan inclusivi, i segni visibili di un nuovo ordine, non nato dal popolo, ma covato nelle tiepide serre delle classi borghesi tormentate dai sensi di colpa. È qui che le nuove religioni laiche della cultura della cancellazione, del privilegio bianco, dell'ecologia puritana e dell'antisionismo apocalittico stanno mettendo radici, con una sicurezza dottrinale degna dei commissari sovietici.
Il male non è reale come nelle lande africane dove i cristiani sono uccisi “come polli”, ma è ereditario: deve essere scongiurato nel linguaggio, nelle statue, nella memoria e nei pronomi. E nelle chiese. In Francia un’altra statua della Madonna in fiamme.
E così sotto le spoglie della più vuota compassione, prende piede l'odio puro: odio di sé, odio per i propri padri, odio per la civiltà di cui si è un prodotto.
Questa moralità da cortile elevata al rango di etica universale ci ha reso ciechi al sangue, alla tragedia e allo scontro di civiltà.
Basta chiederlo allo storico Justin Marozzi autore di Captives and Companions, un libro straordinario che dubito vedremo tradotto in italiano. Sottotitolo: Storia della schiavitù nel mondo islamico, dove si legge:
“Ho iniziato la mia ricerca sulla storia della schiavitù nel mondo islamico a Bamako, la capitale del Mali, nel 2020. Sì, avete letto bene. Non nel 1820 o nel 1920, ma cinque anni fa, durante un incontro straziante. Seduto a gambe incrociate sul pavimento di fango, un uomo sulla sessantina di nome Hamey mi raccontò di come lui e i suoi antenati fossero stati schiavi di una famiglia per generazioni. Solo due anni prima, dopo un brutale pestaggio in pubblico, era riuscito a fuggire dalla schiavitù. Crollava ripetutamente mentre descriveva la quasi impossibilità, ora che era libero, di trovare un posto dove vivere e provvedere alla sua famiglia in uno dei paesi più poveri del mondo”.
La schiavitù è ufficialmente illegale in Mali, ma continua ad esistere, come sistema ereditario e razzializzato, come in Mauritania e in altre parti dell'Africa occidentale.
Scrive ancora Marozzi:
“Nel suo rapporto più recente, del 2023, il Global Slavery Index di Walk Free ha riportato che gli stati arabi hanno la più alta prevalenza di schiavi al mondo (10,1 ogni 1.000 persone), davanti ad Asia e Pacifico (6,8), Europa e Asia centrale (6,6) e Africa (5,2). La storia della schiavitù e della tratta degli schiavi nel mondo islamico è lunga quanto la storia dell'Islam. Mentre la famigerata tratta atlantica degli schiavi durò dal XV al XIX secolo e ridusse in schiavitù 11-14 milioni di africani, la tratta degli schiavi praticata nel cuore geografico del mondo musulmano, incentrata sul Nord Africa e sul Medio Oriente, durò dal VII secolo al XX secolo e ridusse in schiavitù 12-15 milioni di persone, forse persino 17 milioni. Un gran numero di uomini, donne e bambini furono portati via dall'Africa subsahariana, dall'Europa orientale, dai Balcani e dal Caucaso durante il periodo ottomano. In modo più occulto e in numeri molto più ridotti, la schiavitù – se non addirittura il traffico istituzionalizzato – continua ancora oggi”.
Un problema teologico: “L'Islam permise la schiavitù fin dall'inizio e, con la sua gamma di regolamenti e diritti riconosciuti agli schiavi, il Corano e la giurisprudenza islamica si unirono per migliorare la sorte dello schiavo medio”.
Il libro di Marozzi, già autore di Imperi islamici (Einaudi), è il primo di storia del suo genere per il grande pubblico. “Ecco le storie di concubine dell'VIII secolo, delle rivolte degli schiavi nelle piantagioni del IX secolo, degli schiavi soldati del XIII secolo che fondarono potenti dinastie al potere in Egitto, Siria e Iraq, e di generazioni di ragazzi cristiani ‘raccolti’ ogni anno nei Balcani per diventare i soldati d'élite dell'Impero Ottomano: i Giannizzeri. Corsari musulmani e cristiani del XVIII secolo che saccheggiavano il Mediterraneo si confrontavano con milionari eunuchi ottomani del XIX secolo, raccoglitori di cotone egiziani oppressi e schiavi africani che lavoravano nelle piantagioni di chiodi di garofano di Zanzibar. Ci sono resoconti inquietanti di pescatori di perle del XX secolo, coltivatori di palme da dattero nel Golfo e donne yazide violentate a ripetizione nel recente ‘califfato’ terroristico in Siria e Iraq.
La descrizione di Marozzi della schiavitù nell’Isis non sembra provenire dal XXI secolo:
“L'ISIS ha istituito mercati di schiavi, che funzionavano essenzialmente come bordelli. Una donna è stata venduta 14 volte a 14 uomini diversi, ed è stata violentata da 12 di loro. Alcune donne si sono spalmate gli escrementi dei loro bambini sul corpo per evitare di essere comprate, mentre altre hanno affermato di avere il ciclo o di essere malate. Alcune hanno reagito. Molte sono state picchiate a scopo di punizione, o sono state separate dai loro figli e rinchiuse in scantinati tra le acque reflue che salivano e il caldo torrido del deserto siriano. La figlia di cinque anni di una donna è stata persino impiccata a una finestra per aver bagnato il letto. Non c'è da stupirsi che molte delle vittime descrivano la loro situazione come qualcosa di simile all'inferno”.
Ma tutto questo è tabù in Occidente.
Per fare solo un esempio, Breve storia della schiavitù dello storico James Walvin è stato pubblicato nel 2007. Delle 235 pagine del libro, 201 si concentrano sulle Americhe. La storia della schiavitù nel mondo islamico è trascurata.
Lo storico Marc Chabel dice che oggi “più di 2 milioni di persone nel mondo islamico sono in schiavitù”. Sono emerse immagini scioccanti di aste di schiavi in Libia: uomini che parlavano arabo hanno venduto dodici nigeriani. Si stima che 250.000 persone vivano sotto schiavitù in Mali. Si calcola che in Mauritania il 20 per cento della popolazione è schiava. Un'inchiesta della BBC ha scoperto che i lavoratori domestici in Arabia Saudita vengono venduti online in un mercato di schiavi. Il saggista algerino Mohammed Sifaoui ci ricorda che "la Mauritania è oggi il paese più schiavista al mondo. Anche il Qatar lo è, così come l'Arabia Saudita, sotto lo stendardo dei Guardiani dei Luoghi santi dell'Islam". Oggi, la schiavitù esiste ancora in molte parti dell'Africa e del Medio Oriente. In Sudan, decine di migliaia di donne e bambini cristiani sono stati ridotti in schiavitù, come in Pakistan. In Somalia, bambini etiopi, cristiani ortodossi, sono rapiti e convertiti a forza. Giovani nigeriane sono vendute per 2.000 naire (equivalenti a 10 euro). La ong Free the Slaves stima un profitto di 1,6 miliardi di dollari (un importo superiore al Pil di otto paesi africani) derivante dalla schiavitù africana ogni anno.
“Più di un milione di europei ridotti allo stato di schiavi tra l'inizio del Cinquecento e la fine del Settecento. A questi vanno aggiunti due milioni di schiavi provenienti dall'Europa orientale e dall'Impero moscovita. Un numero significativo (quasi un quarto, soprattutto uomini) si converte all'Islam, gli altri sono costretti a svolgere lavori difficili…”. Così scrive lo storico francese Olivier Grenouilleau in Christianisme et esclavage. La schiavitù dei cristiani per mano dell’Islam è ancora un grande tabù storiografico. Basta pensare al linciaggio subito da Grenouilleau per aver scritto La tratta degli schiavi, in cui dichiara: “Il numero degli schiavi cristiani razziati dai musulmani supera quello degli africani deportati nelle Americhe”.
Ecco perché la persecuzione dei cristiani costituisce oggi uno dei punti più ciechi della coscienza occidentale.
Abbiamo perso il coraggio non dico di batterci, ma persino di dire la verità. Che di questi tempi di occultamento è già davvero una forma di eroismo.
La newsletter di Giulio Meotti è uno spazio vivo curato ogni giorno da un giornalista che, in solitaria, prova a raccontarci cosa sia diventato e dove stia andando il nostro Occidente. Uno spazio unico dove tenere in allenamento lo spirito critico e garantire diritto di cittadinanza a informazioni “vietate” ai lettori italiani (per codardia e paura editoriale).
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