Riprendiamo dal RIFORMISTA del, 05/09/2025, a pagina 6, il commento di Davide Romano dal titolo "Hamas perde Abu Obaida, il suo megafono. Ma l’Occidente non capisce la svolta storica".
Davide Romano
L’Occidente fatica a decifrare la complessa dinamica simbolica del Medio Oriente contemporaneo.
Questa difficoltà emerge quando eventi drammatici vengono percepiti in maniera opposta dalle due parti del mondo, creando un pericoloso cortocircuito comunicativo.
L’11 settembre rappresenta un esempio paradigmatico: mentre per l’Occidente segna un momento di orrore, per l’Islam radicale è stato un momento di gloria, elevando bin Laden a figura mitica e illudendo tanti fanatici che gli Usa stessero per crollare.
La stessa dinamica si è ripetuta con le stragi del Bataclan da parte dell’ISIS che hanno esaltato i jihadisti.
Buon ultimo, anche il massacro di ebrei del 7 ottobre 2023 ha fatto da catalizzatore per l’antisemitismo globale.
Quel massacro perpetrato da Hamas ha rappresentato una spia per tutto il Medio Oriente, dove non ti rispettano per la cultura o per la democrazia, ma solo per la forza che mostri.
Una cosa che tanti occidentali non riescono proprio a capire.
Anche per questo Israele ha dovuto reagire con forza.
E qui veniamo a un altro punto: l’eliminazione di Abu Obaida, portavoce di Hamas, segna la conclusione di un’epoca senza che l’Occidente ne comprenda la portata.
Per quasi due decenni, quest’uomo mascherato è diventato il volto delle Brigate al-Qassam, trasformandosi in una personalità da supereroe.
Le sue dichiarazioni, trasmesse via Al Jazeera e social media, raggiungevano centinaia di milioni di persone, veicolando la propaganda jihadista di Hamas.
Abu Obaida aveva sviluppato un vero culto della personalità.
Le sue parole erano trattate come verità assolute, rendendolo fonte di fiducia incondizionata per i sostenitori di Hamas.
Ogni dichiarazione interrompeva le attività quotidiane di migliaia di persone concentrate a decifrare i suoi messaggi.
La voce distintiva e la maschera creavano un’aura di invincibilità, come da noi fu per Garibaldi: i giovani venivano educati a emularlo, gli uomini dichiaravano di fidarsi solo di lui, e alcune fan sviluppavano fantasie romantiche su questa figura misteriosa, soprannominato “lo stallone”.
La popolarità di Abu Obaida superava quella di tutti i leader Hamas messi insieme. Il suo carisma aveva convinto molti ad aderire alla propaganda terroristica. Durante i conflitti era sempre lui a veicolare annunci importanti, con le sue affermazioni analizzate per giorni da media filo-terrorismo mediorientali.
Significativamente, alcuni collegavano la capacità di ricostruzione di Hamas alla sopravvivenza di Abu Obaida, figura spirituale dell’esercito di resistenza. Circolava lo slogan: “Stiamo bene finché sta bene Abu Obaida”.
L’eliminazione di Abu Obaida rappresenta un colpo devastante per Hamas.
La guerra psicologica e le operazioni mediatiche dell’organizzazione non potranno più contare sulla stessa efficacia comunicativa.
Come altri leader di Hamas eliminati negli ultimi anni, anche lui è stato ucciso mentre si nascondeva tra civili, evidenziando la strategia di utilizzare la popolazione come scudo umano.
Senza questa figura carismatica, Hamas perde non solo un comunicatore efficace, ma anche la capacità di mantenere una narrativa unitaria e quell’attrattiva psicologica che aveva conquistato masse globali. La sua eliminazione segna l’inizio del capitolo finale della resistenza di Hamas a Gaza City come forza combattente coesa.
Questa vicenda illumina quanto sia fondamentale per l’Occidente comprendere le dinamiche simboliche mediorientali, dove la guerra dell’informazione rappresenta un’arma tanto potente quanto quelle convenzionali.
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