L’ossessione sinistra contro Gaza Riviera
Commento di Daniele Capezzone
Testata: Libero
Data: 02/09/2025
Pagina: 1/5
Autore: Daniele Capezzone
Titolo: L’ossessione sinistra contro Gaza Riviera

Riprendiamo da LIBERO di oggi 02/09/2025, a pag. 1/5, con il titolo "L’ossessione sinistra contro Gaza Riviera", il commento di Daniele Capezzone. 

Confessioni di un liberale. Daniele Capezzone al Caffè della Versiliana  Giovedì 14 luglio, ore 18:30 - Versiliana Festival
Daniele Capezzone

Il piano di ricostruzione di Gaza proposto da Trump non piace alla sinistra internazionale. Perché la sinistra internazionale vuole che Gaza resti povera, distrutta e sottomessa ai terroristi

Dice il Corriere della Sera che si tratta di un «piano choc». Ribatte Repubblica affermando che siamo in presenza di un «piano shock». E quindi, nella RUPC (Redazione Unica Politicamente Corretta), il dibattito c’è: ma solo per stabilire se si debba essere choccati (scrivendolo alla francese) o shockati (dicendolo all’inglese).
Ma – che si tratti di choc o “invece” di shock – resta il fatto che i media italiani (ne abbiamo citati due, ma le eccezioni si contano su poche dita di una sola mano) si sentano in dovere, pressoché unanimemente e in automatico, di trasferire al lettore un senso di sgomento e indignazione per qualunque iniziativa riferibile a Trump.
La scenetta si è ripetuta nelle ultime trentasei ore a proposito del possibile futuro della “Riviera di Gaza” secondo Trump, così come lo ha tratteggiato il Washington Post: resort, hotel, ristoranti. E possibilità (lo ripeto ancora: possibilità, quindi su base totalmente volontaria) per ogni cittadino di Gaza di lasciare la Striscia, ottenendo 5mila dollari in contanti, quattro anni di sussidi per l’affitto e un anno di forniture alimentari.
Mica male, direte voi: una buona opportunità da considerare. E invece, apriti cielo: dalla sinistra politica e mediatica sono venuti fulmini e saette, insulti e irrisioni. Roba da matti.
Più seriamente, e quindi andando al cuore della questione, ci sono almeno tre aspetti che non tornano nelle critiche ossessive dei progressisti.
Primo. Perché il fronte anti-trumpiano non parla mai di Hamas?
Quale amnesia (o quale amnistia) li induce a dimenticare la causa prima del disastro in atto a Gaza, e cioè il ruolo giocato da un gruppo terroristico che punta esplicitamente (per statuto) alla distruzione di Israele? È stata Hamas, non paga di anni di stillicidio terroristico “minore”, a organizzare il gigantesco pogrom del 7 ottobre. Subito dopo, tutti convennero - a parole - sulla necessità di estirpare il cancro terrorista dal corpo della Palestina. Ma ora tutto pare curiosamente dimenticato, nella fretta di bastonare Trump e Netanyahu.
Tra l’altro ieri è stata proprio Hamas a far sapere che «la Striscia non è in vendita». Certo, i terroristi preferiscono che le cose restino così: un inferno gestito da loro, in altre parole il teatro del loro sadismo assassino.
Secondo. Qual è l’alternativa concreta, realistica, praticabile, che i progressisti propongono? Il piano Trump non va bene ai compagni.
Ma loro, invece, che soluzione avanzano? Ripetono come uno scioglilingua la formula “due popoli, due stati”. Ma come fanno a non comprendere che, fino a quando una delle due entità statuali sarà sotto il controllo di un gruppo terroristico, ogni ipotesi di convivenza resterà impraticabile?
Terzo. L’argomento più sofisticato, apparentemente più “chic”, contro la “cafonata” trumpiana è quello centrato sulla coppia povertà/ricchezza. Dicono i critici: Trump propone un modello centrato sulla ricchezza, addirittura sul lusso, e questo è uno schiaffo in faccia ai poveri palestinesi. La dura verità è che, avanzando questo argomento, i nostri intellettuali mostrano una volta di più il loro (più o meno consapevole) spirito anti-occidentale e anti-capitalista. Se fossero minimamente orgogliosi della parte di mondo in cui vivono (cioè qui), saprebbero che - pur con tutti i loro difetti - capitalismo e mercato producono più benessere per tutti, anche per i più poveri. I più poveri di qui, non a caso, sono da considerare ricchi rispetto alle fasce più basse delle aree economicamente depresse del pianeta.
E allora proporre uno sviluppo “capitalistico” per Gaza vorrebbe dire offrire un’opportunità a tutti: per gli investitori e per i potenziali lavoratori, per chi potrebbe far vacanza e per chi potrebbe portare a casa un po’ di pane e un onesto stipendio. O anche – altra opzione – un incentivo economico per gli altri, cioè per gli eventuali partenti.
Cosa c’è che non funziona in questo meccanismo? Secondo i compagni (cito a memoria i loro argomenti sempre uguali a se stessi), il sistema capitalistico rende «i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri». Ora, è vero che la crescita economica può comportare anche un certo grado di disuguaglianza, ma è altrettanto vero- ecco il punto - che, ovunque la libertà di mercato si sia dispiegata e realizzata nel mondo, si è regolarmente assistito a un crollo della povertà, o comunque a una sua significativa riduzione. E questo non dovrebbe essere un risultato positivo? A noi pare di sì. Ma il vizio di certi progressisti è sempre lo stesso. A loro non interessa far sorridere i più poveri: gli basta far piangere i più ricchi.

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