Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 02/09/2025, a pagina 1, l'editoriale di Claudio Velardi dal titolo: "Il mondo oltre Gaza".
Lo sguardo sul mondo dell’Europa inerme e impotente si perde nella tragedia, reale, di una piccola striscia di terra: Gaza assorbe ogni attenzione mediatica. Mentre il cuore della geopolitica globale è a Tianjin, dove nei giorni scorsi è andato in scena un vertice della SCO, organizzazione che rappresenta il 41% della popolazione mondiale e il 25% del PIL del pianeta. Sono cifre che parlano da sole. E non sono solo numeri. Bastava osservare le immagini del vertice tra Cina e India per comprendere la portata di quanto sta avvenendo. La prossemica dei leader, i sorrisi calibrati, la coreografia della scena hanno sancito una riconciliazione non banale – e forse non temporanea – tra le due potenze, dopo anni di gelo e perfino di scontri armati sui confini himalayani, e malgrado Pechino continui a sostenere il Pakistan, storico nemico di Nuova Delhi. Ma proprio il fatto che oggi Xi e Modi scelgano di mostrarsi come “partner, non rivali”, dice molto della fase storica che stiamo vivendo.
È un fatto nuovo, decisivo, di cui peraltro l’Occidente porta pesanti responsabilità. Perché da anni tutta l’area indo-pacifica chiedeva di non essere lasciata sola nel confronto con Pechino, ma in risposta ha ricevuto prima i balbettii di Obama e Biden e ora gli sciagurati dazi di Trump. Così l’Elefante indiano e le Tigri del Sud-Est asiatico hanno finito per rivolgersi al Dragone.
A Tianjin c’era anche un terzo protagonista, Vladimir Putin, che ha sgomitato per apparire al centro della scena e ha ottenuto dal vertice ciò che più gli serviva: uscire definitivamente dall’isolamento, dopo l’accoglienza trionfale che Trump gli aveva già riservato a metà agosto. La sua presenza accanto a Xi e Modi dimostra al mondo che la Russia non è un paria, anche se il suo ruolo resta secondario. Per Pechino la vera priorità non è Mosca, ma Nuova Delhi.
Quanto all’Europa, nel mondo di Xi e Modi non siamo un interlocutore significativo. Anche perché non sappiamo smentire il destino che ci accompagna da secoli: siamo sempre l’inaffidabile epicentro di guerre e crisi armate. Nel Novecento, con due guerre mondiali nate sul nostro suolo. Durante la Guerra fredda, con Berlino come frontiera della contesa globale. Nei Balcani negli anni Novanta. E ancora oggi assistiamo attoniti ai conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, incapaci di sostenere gli unici presidi della democrazia e della civiltà occidentale che resistono – da soli – a Kyiv e a Gerusalemme.
La lezione è chiara. L’asse tra Cina e India, al netto delle diffidenze e delle rivalità storiche, ha già spostato il baricentro del pianeta. Il futuro non si gioca a Gaza, né a Bruxelles, né a Washington: piaccia o no, la giostra del mondo gira lì, tra Pechino e Nuova Delhi. Dovrebbero capirlo i nostri governanti e agire di conseguenza, invece di inseguire le grottesche minoranze woke che in questi giorni agitano le acque dello stagno mediterraneo, con l’obiettivo di consegnare marmellatine a km zero ai due volte sfortunati gazawi. Costretti oggi a sopportare le attenzioni di Greta e di attori di terza fila, dopo aver subito per venti anni le torture di Hamas.
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