Boicottare la medicina israeliana, uno sfregio alla salute globale
Commento di Daniela Santus
Testata: Il Foglio
Data: 01/09/2025
Pagina: 4
Autore: Daniela Santus
Titolo: Boicottare la medicina israeliana, uno sfregio alla salute globale

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 01/09/2025, a pag. 4, il commento di Daniela Santus dal titolo: "Boicottare la medicina israeliana, uno sfregio alla salute globale".

Daniela Santus
Daniela Santus

La salute non si boicotta: colpire Teva danneggia i pazienti e offende la  coerenza | Eco della Lunigiana
Diverse università europee e americane hanno interrotto collaborazioni che duravano da decenni. Non lasciamo che l’ideologia prevalga sulla scienza

Nel panorama globale dell’innovazione medica, Israele si distingue come uno dei principali motori del progresso scientifico. Secondo il World Index of Healthcare Innovation del 2024, lo stato ebraico – per estensione più piccolo del Piemonte – si è posizionato al dodicesimo posto mondiale. Le sue innovazioni contribuiscono al benessere dell’umanità, indipendentemente dalla loro origine geografica o dalle tensioni geopolitiche che le circondano. Indipendentemente persino dai boicottatori da teatro dell’assurdo che si filmano mentre gettano nel cestino i medicinali della Teva.

Uno sguardo al panorama dei risultati della ricerca medica israeliana ci permette di capire quanto il boicottaggio sia dannoso. Tra le tecnologie più emblematiche spicca la PillCam, sviluppata da Given Imaging (oggi parte di Medtronic), che ha rivoluzionato la diagnostica gastrointestinale. Oltre 3,5 milioni di pazienti nel mondo hanno finora beneficiato di questo metodo non invasivo, che consente l’esplorazione dell’intestino tenue con maggiore comfort e precisione rispetto alle tecniche tradizionali. L’impatto, come ci dicono i report scientifici, è misurabile non solo in termini clinici, ma anche – cosa non da poco – nella qualità dell’esperienza del paziente. Nel campo dell’imaging medicale, aziende israeliane come Zebra Medical Vision hanno sviluppato algoritmi di deep learning capaci di identificare patologie in radiografie, Tac e risonanze magnetiche con livelli di accuratezza di gran lunga superiori a quelli umani. MeMed, altra startup di punta, ha creato test immunologici rapidi per distinguere infezioni batteriche da virali, contribuendo alla lotta contro l’antibiotico-resistenza, una delle sfide sanitarie più urgenti e globali. Eppure, incredibilmente, c’è chi pensa che la medicina israeliana si esaurisca con i farmaci generici di Teva, ignorando la vastità dell’impegno scientifico del paese. Che dire del ReWalk personal exoskeleton? Prodotto da Lifeward, consente a persone paraplegiche di camminare grazie a sensori di movimento e algoritmi predittivi. Gli studi clinici ne hanno documentato i benefici non solo motori, ma anche cardiovascolari, ossei e psicologici. La tecnologia è oggi impiegata anche nella riabilitazione post ictus e nel trattamento delle lesioni midollari, aprendo prospettive nuove nella medicina riabilitativa.

Nel campo della neurostimolazione, invece, Alpha Omega ha sviluppato sistemi avanzati per la stimolazione cerebrale profonda: questi vengono utilizzati nel trattamento del Parkinson, della distonia e del tremore essenziale. In ambito cardiovascolare, aziende come Rapid Medical hanno inoltre progettato dispositivi endovascolari per il trattamento dell’ictus ischemico, mentre Vectorious Medical Technologies ha introdotto impianti miniaturizzati per il monitoraggio della pressione atriale sinistra, consentendo interventi precoci in pazienti con insufficienza cardiaca. Medinol, pioniere degli stent coronarici, ha sviluppato dispositivi che riducono le complicazioni post intervento e migliorano gli esiti a lungo termine. CardiacSense ha creato sistemi di monitoraggio remoto per pazienti cardiopatici, basati su sensori indossabili e algoritmi di machine learning, capaci di rilevare aritmie e altri eventi in tempo reale.

Non pensiamo certamente di poter esaurire l’intero panorama delle innovazioni israeliane nello spazio di un articolo, ma non possiamo dimenticare che anche in oncologia Israele si distingue per approcci terapeutici innovativi. Copaxone, trattamento rivoluzionario per la sclerosi multipla, ha introdotto meccanismi d’azione completamente nuovi. BioLineRx sviluppa terapie anticancro che attivano il sistema immunitario, mentre Compugen utilizza l’intelligenza artificiale per identificare nuovi target terapeutici. Nel campo della diagnostica molecolare, le piattaforme israeliane per l’analisi genomica rapida permettono l’identificazione precoce di mutazioni oncogene, contribuendo alla medicina di precisione.

Purtroppo ancora non è stata scoperta una medicina contro la cecità da ideologia e la storia ci insegna che ogni volta che la medicina viene subordinata alle ideologie politiche, a pagarne il prezzo sono sempre i malati. E qui arriviamo al paradosso più stridente del boicottaggio della medicina israeliana: gli stessi palestinesi, quando si ammalano, non esitano a ricorrere alle cure dell’odiato nemico. Il caso più emblematico è stato quello di Yasser Arafat, leader storico dell’Olp e simbolo della resistenza palestinese che, negli anni degli Accordi di Oslo, si rivolse a Israele per ricevere cure mediche, così come hanno fatto molti altri dirigenti palestinesi. Una prassi che si è mantenuta nel tempo, basti pensare al caso di Yahya Sinwar, operato nel 2004 per un tumore al cervello da un chirurgo israeliano, o anche alla sorella di Ismail Haniyeh, a sua moglie, alla figlia e alla nipotina. Non si tratta di casi isolati: centinaia di dirigenti palestinesi hanno ricevuto cure in Israele quando la loro vita era in pericolo. Se fino al 7 ottobre 2023, l’associazione Road to Recovery trasportava regolarmente pazienti – soprattutto bambini – dalla Cisgiordania e da Gaza agli ospedali israeliani, di fatto nonostante l’intensificarsi del conflitto di questi ultimi due anni le cose non sono cambiate: il trasferimento di minori palestinesi dalla Striscia di Gaza e dalla Cisgiordania verso strutture ospedaliere israeliane prosegue, anche se con forti limitazioni operative e sotto stretto controllo militare. L’evacuazione sanitaria di bambini palestinesi affetti da gravi patologie, realizzata anche nel mese di agosto 2025, testimonia la persistenza di canali umanitari attivi tra le parti, in un contesto segnato da ostilità e crisi sistemica.

Ad ogni modo questi episodi illuminano una verità scomoda per i sostenitori del boicottaggio: quando si tratta di salvare la propria vita o quella dei propri cari, le barriere ideologiche crollano. E’ facile predicare il boicottaggio da una posizione di salute; molto più difficile è mantenerlo quando si ha bisogno di una PillCam per diagnosticare un tumore intestinale o di un sistema di neurostimolazione per curare il Parkinson.

Appare pertanto evidente che il boicottaggio, quando investe addirittura l’accademia, rappresenta l’aspetto più pericoloso di questa deriva antiscientifica. Diverse università europee e nordamericane hanno ceduto alle pressioni degli attivisti BDS, interrompendo collaborazioni scientifiche che duravano da decenni. Il Technion, in particolare, è un’istituzione che ha formato generazioni di medici e ingegneri biomedici di fama mondiale. I suoi laboratori di ricerca sono all’avanguardia in campi come la medicina rigenerativa, la bioingegneria e l’intelligenza artificiale applicata alla salute. Anche se finora nessuna università italiana ha ufficialmente interrotto gli accordi con il Technion, la pressione costante rischia di compromettere opportunità formative di eccellenza per i nostri studenti.

Ma il danno non si limita alla formazione. La partecipazione di Israele ai programmi europei di ricerca, che aveva coinvolto il paese in oltre duemila progetti con un contributo Ue di 1,3 miliardi di euro, è stata sospesa dalla Commissione europea nel luglio 2025. Questa decisione rischia di compromettere collaborazioni scientifiche consolidate e di privare la ricerca europea del contributo israeliano in settori strategici. Mentre l’Europa si interroga sui propri rapporti con Israele, altri paesi mantengono e sviluppano le proprie relazioni scientifiche e commerciali, come dimostrano i rapporti consolidati tra Israele e diversi partner asiatici.

Tuttavia la spinta verso il boicottaggio della medicina israeliana non è un fenomeno isolato, ma si inserisce in una più ampia deriva antiscientifica che ha investito l’Italia negli ultimi anni. La pandemia di Covid-19 ha rappresentato uno spartiacque, rivelando la fragilità del rapporto tra scienza e società nel nostro paese. Abbiamo assistito alla nascita di movimenti no vax che hanno messo in discussione non solo i vaccini anti Covid, ma l’intera struttura della medicina basata sull’evidenza. Le fake news sui social media hanno trovato terreno fertile in una popolazione già provata dalle restrizioni e dalle incertezze. Il risultato è stato un clima di sfiducia verso le istituzioni sanitarie e scientifiche che persiste ancora oggi. E’ inquietante osservare come questa dinamica rievochi, seppur in forme diverse, gli antichi pregiudizi che nei secoli passati portavano ad accusare gli ebrei di diffondere epidemie – dalle accuse di avvelenamento dei pozzi durante la peste nera del XIV secolo alle teorie cospirative che li vedevano responsabili delle malattie. Oggi, paradossalmente, il paradigma si attorciglia su sé stesso: non più soltanto accusati di causare malattie, ma anche di curarle “troppo bene”, rendendo la loro medicina oggetto di sospetto ideologico. E’ la stessa mentalità che porta a preferire le cure alternative a quelle convenzionali, a diffidare dei farmaci “delle multinazionali” per affidarsi a rimedi naturali privi di qualsiasi validazione scientifica. La conseguenza è un progressivo impoverimento del dibattito pubblico sulla salute, dove le decisioni vengono prese sulla base di pregiudizi ideologici piuttosto che di evidenze scientifiche. In un paese che già investe poco in ricerca e sviluppo (appena l’1,4 per cento del pil contro una media Ue del 2,1), questa deriva rappresenta un ulteriore freno alla crescita e all’innovazione.

Qual è il segreto d’Israele? Molti di questi risultati sono stati resi possibili grazie alla convergenza tra biologia, ingegneria e intelligenza artificiale, in un ambiente di ricerca che valorizza la collaborazione tra ricercatori di diverse origini etniche e religiose. E l’apartheid? Checché ne pensino i BDS, in alcune università, come l’Università di Haifa e il Technion, la presenza araba supera il 40 per cento, nonostante gli arabi in Israele rappresentino il 21 per cento della popolazione. D’altra parte, nei principali ospedali del paese, medici e ricercatori arabi ed ebrei collaborano quotidianamente, contribuendo a ridurre i pregiudizi e migliorare l’assistenza per tutti. Già solo questo dato smonta l’accusa di apartheid che viene rivolta a Israele. Il boicottaggio della medicina israeliana rappresenta quindi non solo un errore strategico, ma un pericoloso precedente. Se accettassimo il principio che le scoperte scientifiche possano essere giudicate in base alla nazionalità dei ricercatori o alle politiche dei loro governi, apriremmo la strada a una balcanizzazione della scienza che danneggerebbe tutti.

Boicottare la medicina è un autogol contro la salute globale. In un’epoca in cui le sfide sanitarie – dalle pandemie ai tumori, dalle malattie rare ai disturbi neurodegenerativi – richiedono sforzi congiunti e collaborazioni internazionali, ogni forma di isolamento scientifico rappresenta un passo indietro per l’umanità intera. Di fatto la medicina israeliana continuerà a salvare vite in tutto il mondo, con o senza il riconoscimento di chi preferisce l’ideologia – o un video virale su TikTok – alla scienza. Ma noi, come società civile, abbiamo il dovere di scegliere da che parte stare: dalla parte della conoscenza che cura o da quella dell’ignoranza che divide. La risposta dovrebbe essere ovvia, eppure, in tempi come questi, non è mai scontata.

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