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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024

Aprile 2013


Rapporto dell'Indagine sull'Antisemitismo
On. Fiamma Nirenstein






L'indagine conoscitiva sull'antisemitismo


Rapporto dell’indagine conoscitiva sull’antisemitismo
(versione completa in formato pdf; seguono interventi scelti del convegno "Il Parlamento contro l'antisemitismo" , 17 ottobre 2011)

  • Su iniziativa dell'On. Fiamma Nirenstein, il Comitato di Indagine Conoscitiva sull’Antisemitismo è stato nominato nell’ottobre 2009 dalla Camera dei Deputati con l’obiettivo di monitorare e analizzare il fenomeno dell’antisemitismo, anche nelle sue nuove manifestazioni, per un’analisi di indirizzo politico.
  • La necessità di un’indagine conoscitiva si è manifestata per le crescenti manifestazioni di antisemitismo che assume forme differenti da quelle tradizionali, legate anche alle vicende del Medio Oriente.
  • L’iniziativa italiana si inserisce in un contesto internazionale che vede un sempre maggiore interesse riguardo al fenomeno dell’antisemitismo da parte delle organizzazioni internazionali, incluse l’agenzia dell’Unione Europea per i diritti umani (FRA) e l’OSCE.
  • L'antisemitismo nelle sue nuove forme si intreccia ad altri fenomeni ed espressioni di odio, che comprendono l'antigiudaismo e l'antisionismo.

Antisemitismo

La definizione internazionale di antisemitismo è stata elaborata dalla Fundamental Rights Agency dell’Unione Europea.
  • L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei, che può essere espressa come odio per gli ebrei. Manifestazioni retoriche e fisiche dell’antisemitismo sono dirette a individui ebrei e non ebrei o ai loro beni, a istituzioni comunitarie ebraiche e ad altri edifici a uso religioso.
  • In aggiunta a quanto detto, queste manifestazioni possono colpire lo Stato d’Israele, concepito come una collettività ebraica. L’antisemitismo spesso accusa gli ebrei di complottare per danneggiare l’umanità, e se ne fa spesso ricorso per dare la colpa agli ebrei “quando le cose non vanno”. È espresso attraverso discorsi, scritti, forme d’espressione visiva e azioni, e utilizza stereotipi sinistri e caratterizzazioni negative.
  • Esempi contemporanei di antisemitismo nella vita pubblica, nei mezzi di comunicazione, le scuole, il lavoro, e nella sfera religiosa, possono includere, prendendo in considerazione il contesto generale, ma non si limitano a:
    • incitare, sostenere, o giustificare l’uccisione di o la violenza contro ebrei nel nome di un’ideologia radicale o una visione estremista della religione;
    • fare insinuazioni mendaci, disumanizzanti, demonizzanti o stereotipate degli ebrei in quanto tali o del potere degli ebrei come collettività, ad esempio, specialmente ma non solo il mito del complotto mondiale ebraico o gli ebrei che controllano i mezzi d’informazione, l’economia, il governo o altre istituzioni all’interno di una società;
    • accusare gli ebrei in quanto popolo di essere responsabili di ingiustizie vere o immaginarie commesse da un singolo ebreo o da un gruppo di ebrei, o anche per azioni commesse da non ebrei;
    • negare il fatto, l’estensione e i meccanismi (ad esempio le camere a gas) o l’intenzionalità del genocidio del popolo ebraico per mano della Germania nazionalsocialista e dei suoi sostenitori e complici durante la Seconda Guerra Mondiale (l’Olocausto);
    • accusare gli ebrei in quanto popolo, o Israele in quanto Stato, di inventare o esagerare l’Olocausto. accusare cittadini ebrei di essere più leali a Israele, o a supposte priorità degli ebrei in tutto il mondo, che agli interessi della loro nazione.
  • Esempi di come l’antisemitismo si manifesta con riguardo allo Stato d’Israele, prendendo in considerazione il contesto generale, possono includere:
    • negare al popolo ebraico il proprio diritto all’autodeterminazione, cioè sostenere che l’esistenza dello Stato d’Israele è un atto di razzismo;
    • adottare due misure diverse (a Israele) aspettandosi da esso un comportamento non atteso o richiesto a nessun’altra nazione;
    • usare i simboli e le immagini associate all’antisemitismo classico (per esempio accuse di ebrei che uccidono Gesù o l’accusa del sangue) per caratterizzare Israele e gli israeliani;
    • tracciare paragoni tra la presente politica d’Israele e quelle dei nazisti; ritenere gli ebrei collettivamente responsabili per le azioni dello Stato d’Israele.
  • D’altro canto, le critiche rivolte a Israele che sono simili a quelle mosse a qualsiasi altro paese non possono essere considerate antisemite. Gli atti antisemiti sono criminali quando sono così definiti dalla legge (per esempio la negazione dell’Olocausto o la distribuzione di materiale antisemita in certi paesi).
  • I crimini sono antisemiti quando l’oggetto degli attacchi, siano essi persone o proprietà – per esempio edifici, scuole, luoghi di culto e cimiteri – sono scelti perché sono, o sono ritenuti essere, ebraici o legati agli ebrei.
  • La discriminazione antisemita è il diniego agli ebrei delle opportunità e dei servizi disponibili agli altri cittadini ed è illegale in molti paesi In termini scientifici si può affermare che il fenomeno antisemita ha tre declinazioni: religiosa, in chiave antigiudaica; razziale, in chiave antisemita; anti-israeliana, in parte assimilabile a quella antisionista.
La definizione di antigiudaismo
  • L’antigiudaismo indica l’avversione per gli ebrei sostenuta da un’ideologia religiosa, anche se le ragioni di tale ostilità non sono solo di ordine religioso.
  • Per gli antigiudaisti l’unico «rimedio» è la conversione del giudeo.
  • Per quanto riguarda l’ostilità cristiana, essa ha radici antiche e si lega anche al diffondersi della «dottrina della sostituzione», secondo la quale, in quanto colpevoli di «deicidio», gli ebrei non sarebbero più il popolo eletto.

La definizione di antisionismo

  • L’antisionismo contraddistingue chi contesta radicalmente il movimento sionista, nato a fine Ottocento, imperniato sul diritto all’autodeterminazione dei popoli e finalizzato alla costituzione di uno Stato di Israele sul territorio che divenne parte del Mandato britannico in Palestina.
  • L’antisionista non riconosce al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione; nega il diritto al ritorno agli ebrei della diaspora e, dunque, sulla spinta di tale non riconoscimento, solleva obiezioni radicali alla stessa presenza ebraica in Israele.
  • L’antisionista contemporaneo muove peraltro dal falso convincimento che la nascita dello Stato di Israele rappresenti una rivalsa rispetto alla Shoah ed un risarcimento europeo al popolo ebraico ai danni delle impotenti comunità arabe stanziate in Palestina, dimenticando l’ampiezza e le ben più risalenti origini del movimento sionista.
  • Gli antisionisti più convinti ricorrono spesso ad argomenti utili a spiegare l’illegittimità della statualità israeliana, ad esempio instaurando paragoni tra Israele e il Sudafrica dell’apartheid, Stato al tempo collocato ai margini della comunità internazionale.

Antisemitismo in Italia: dati
  • L’antisemitismo italiano affonda le proprie radici in una certa cultura cattolica e nella tradizione nel XIX e XX secolo, compresa la tradizione fascista, quella neopagana e la tradizione politica di estrema sinistra e estrema destra.
  • Un italiano su tre giudica gli ebrei poco simpatici;
  • un italiano su quattro non considera che gli ebrei siano italiani fino in fondo.
  • Circa il 10 % degli italiani condivide affermazioni riconducibili al pregiudizio antiebraico più tradizionale, quello di natura religiosa;
  • l’11 % degli italiani condivide un pregiudizio « moderno », quello più xenofobo;
  • il 12 % condivide un pregiudizio « contingente», legato spesso al giudizio su Israele.
  • Un ulteriore 12 % è animato da antiebraismo puro: si tratta degli intervistati che dichiarano il loro accordo a tutte le affermazioni antiebraiche contenute nel questionario.

Antisemitismo in Italia: fatti
  • In Italia, l’antisemitismo è fenomeno per lo più culturale, connesso al dibattito politico e non tanto fondato sull’azione violenta e organizzata.
  • Si nota un “incremento del pregiudizio antiebraico proveniente da ambienti di estrema sinistra, senza differenze di genere e in modo trasversale per età, e che si evidenzia in ripetute analisi e argomenti che demonizzano e delegittimano lo Stato di Israele, definito uno Stato che si fonda sull’apartheid nei confronti dei palestinesi, nell’assunto di base per cui le vittime di un tempo si sono trasformate in carnefici”.
  • L’antisemitismo negazionista, che nega cioè la Shoah o ne sminuisce lap portata storica, rappresenta in Italia una realtà marginale.
  • L’antisemitismo religioso, ovvero l’antigiudaismo, appare altrettanto confinato ad alcune realtà sul web e a singoli episodi assai isolati.
  • Si nota un aumento considerevole dell’antisemitismo online: i siti antisemiti censiti erano 5 nell’anno 1995 e 8.000 nel 2008.
  • Altro fenomeno in particolare aumento, in Italia e nel resto dell'Europa, è l’antisemitismo islamico: “si diffondono nelle comunità islamiche presenti in Europa episodi di intolleranza antisemita, con omicidi e attacchi fisici ad ebrei, tra cui il più noto è il rapimento e l’uccisione del giovane francese Ilan Halimi”, nato nel 1982 e vittima della "Banda dei Barbari", fondamentalisti islamici che miravano a rapire e torturare giovani ebrei in cambio di un riscatto.





Fiamma Nirenstein
Presidente del Comitato di Indagine sull'Antisemitismo


Cari amici,
prima di tutto lasciate che ringrazi con sincerità il Presidente della Repubblica, il Presidente della Camera, il Ministro degli esteri che ci hanno inviato messaggi e il sottosegretario Gianni Letta che ci ha onorato di un particolare saluto a questo nostro lavoro. Vorrei ringraziare anche tutti voi che siete intervenuti, e con molto affetto il Vicepresidente della Camera Antonio Leone che ci ospita nella Sala della Lupa, i presidenti della Commissione affari esteri e della Commissione affari costituzionali, i componenti del Comitato di indagine formato dalle due commissioni e il suo direttivo, tutti i ministri, i testimoni, gli esperti che hanno partecipato alle audizioni, gli uffici, specie quello della terza Commissione, che con dedizione e competenza ci hanno aiutato a completare degnamente il lavoro con la redazione del documento conclusivo.
Con mio grande piacere posso annunciare in anteprima una comunicazione che abbiamo ricevuto in queste ore dal Ministero degli esteri: il Governo, non appena finalizzate le procedure interne, si appresta a firmare il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione di Budapest sulla cybercriminalità, in linea con la risoluzione approvata all’unanimità dalla Commissione esteri nel dicembre scorso. Tale Protocollo consentirà il perseguimento dei reati su web in tutta Europa contemporaneamente e aiuterà quindi nel contrasto dell’antisemitismo on line, fenomeno al quale il nostro Comitato ha dedicato diverse audizioni, tra cui quella del dottor Domenico Vulpiani che si trova oggi qui con noi.
La relazione è piena di considerazioni e di dati forniti da quattro ministri (Frattini, Gelmini, Meloni, Maroni) e da decine di esperti, dal dirigente della polizia di Stato Domenico Vulpiani, agli esperti di web Stefano Gatti e Andrè Oboler, ai rappresentanti delle comunità ebraiche, al CDEC, al professor Renato Mannheimer, alla professoressa Dina Porat, all’onorevole Weisskirchen e tanti altri. Abbiamo tenuto tante iniziative collaterali, per esempio col professor Robert Wistrich, forse il maggiore fra tutti gli esperti mondiali di antisemitismo, con l’ex ministro e avvocato di Nelson Mandela presidente dell’organizzazione mondiale contro l’antisemitismo Irwin Cotler, gli esperti italiani David Meghnagi, Marcello Pezzetti. Mi scusino gli altri, sono tutti importanti, tutti citati nel documento conclusivo. Non voglio dedicare il mio intervento ai nomi, ma è mio grande onore dire che abbiamo mobilitato le forze migliori contro l’antisemitismo.
Così anche oggi, qui con noi siede un consesso che potrà lumeggiare meglio di chiunque il senso del lavoro compiuto. Sono soddisfatta dei risultati, che sono allarmanti quanto innovativi, penso che lo siano tutti i miei colleghi di Comitato. Speriamo che sia utile la voluminosa testimonianza su quel 44 per cento degli italiani e sul 22 per cento dei giovani che dicono di non aver simpatia per gli ebrei, e nel cui ambito poi si disegna la banda, che non ama mostrarsi come tale, degli antisemiti dichiarati. Nel 1995 esistevano nel mondo 5 siti Internet che incitavano all’odio contro Israele, oggi se ne contano più di 8.000. Nel 2008-09 si è registrato in Italia un preoccupante e costante incremento sulle piattaforme del web e nei social network di siti di tipo razzista: dagli 836 del 2008 si è passati a 1.172 nel 2009, con un aumento del 40 per cento. Tralasciando i social network, sono una cinquantina i siti interamente dedicati alla diffusione dell’odio antiebraico, che pur essendo stati in passato oscurati, sono riusciti a eludere la legge italiana spostando i domini di registrazione all’estero. L’intolleranza della fetta antisemita dei giovani italiani si esplica in atteggiamenti tipicamente razzisti anche se l’antisemita nel nostro tempo è un razzista inconsapevole, nascosto o in stato di negazione. Un italiano su tre giudica gli ebrei poco simpatici, uno su quattro non li considera italiani fino in fondo. Per il 32 per cento gli ebrei non sono affatto simpatici. Il 10 per cento condivide il pregiudizio religioso più classico, l’11 per cento quello legato al pregiudizio su Israele, più un undici per cento che condivide tutti i pregiudizi antichi e moderni sugli ebrei. Gli israeliani sono accusati di essere uno Stato espansionista e di apartheid, di atteggiamenti nazisti contro i palestinesi, ovvero di fare come i nazisti con gli ebrei, di volere operare, cito, “una Shoah contro Gaza”. In ambito italiano, il 21,6 per cento crede che gli ebrei facciano ai palestinesi quello che i nazisti fecero agli ebrei. Viene rifiutata l’idea di avere una figlia che faccia coppia con un ebreo (51 per cento), quota che scende leggermente (48 per cento) se la cosa riguarda un figlio maschio con un’ebrea, o l’idea di trovarsi in un ufficio o in una situazione politica con un capo ebreo (38 per cento). Avere un collega ebreo viene ritenuto negativo dal 29 per cento. Poco accettate anche le situazioni che contemplano un vicino di casa ebreo (35 per cento) o la possibilità di sedere alla stessa tavola durante la cena (29 per cento). Il 27 per cento pensa che gli ebrei abbiano un potere sproporzionato, il 30,3 che parlino troppo della loro tragedia trascurando quelle degli altri, il 31,7 che muovano la finanza mondiale a loro vantaggio.
Speriamo che le soluzioni che noi indichiamo aprendo la via a un maggior impegno delle istituzioni sia nel campo legislativo sia dell’educazione e della memoria, siano utili.
E tuttavia il mio personale sentimento è quello di chi, come si dice, con un cucchiaino ha cercato di svuotare un mare oscuro e irriducibilmente tempestoso, ed è a questo sentimento di preoccupazione che intendo, cari amici, richiamarvi. Io appartengo alla generazione che ha bevuto col latte materno l’idea che l’esperienza della Shoah avrebbe cancellato l’antisemitismo. Era legittimo pensarlo mentre, durante la mia prima infanzia, nasceva lo Stato di Israele, e gli ebrei tornavano a vivere anche in Italia e negli altri luoghi dove le leggi razziali e le deportazioni avevano travolto le nostre case come è accaduto nella mia famiglia sia a Firenze che a Baranov, in Polonia.
Il mondo democratico aveva sconfitto l’ideologia genocida che nonostante fosse cresciuta su terra cristiana, aveva di fatto cercato di rimpiazzare e soppiantare anche il cristianesimo, religione fondamentale per l’Occidente democratico, il nemico di Hitler. La battaglia ingaggiata dall’ideologia hitleriana fra il mondo ariano e l’ebraismo di fatto fu il cuore di un confronto armato globale senza precedenti. L’antisemitismo fu trasformato, cito Wistrich, nella leva per ristrutturare non solo la Germania ma l’intero ordine internazionale.
Questo spunto teorico è fondamentale oggi, se osserviamo che l’ONU, nato sulle ceneri della Shoah per evitare che la storia si ripeta, ospita ormai sovente discorsi negazionisti e che promettono la distruzione di quello che è indubitabilmente l’ebreo collettivo più sotto tiro, Israele. Dalla legittima critica allo Stato ebraico, l’abbiamo ripetuto tante volte perché tutte le testimonianze ascoltate ce ne hanno dato lo spunto e perché era per noi molto importante stabilire la demarcazione fra ciò che è antisemitismo e ciò che non lo è, lo sbocco nell’antisemitismo è più che un evento corrente, è un dilagare di vecchi stereotipi, blood libel, teoria della cospirazione. Ce lo dice sia la testimonianza diretta delle vignette, delle trasmissioni televisive, dei libri di testo in cui l’antisemitismo ha assunto un volume spaventoso senza che nessuno protesti, sia la marea del suo riflesso sui social network e nelle pubblicazioni on line.
Abbiamo riscontrato senza tema di smentita anche che tutti gli ebrei del mondo, oltre a essere categorizzati secondo antichi stereotipi di egoismo, astuzia mal orientata, avarizia, vengono investiti anche da tutti i sentimenti aggressivi verso lo Stato di Israele.
Gli episodi estremi, oltre a quelli correnti, non sono mancati a tutte le latitudini. Da noi nel 1982 Stefano Gay Tache, un bambino ebreo di due anni che usciva dalla Sinagoga fu ucciso, e tanti altri che erano stati a pregare furono colpiti, da un commando terrorista. Il trentanovenne americano Daniel Pearl, giornalista del Wall Street Journal nel febbraio del 2002 fu sgozzato e fatto a pezzi da terroristi talebani dopo essere stato costretto a dire «Mio padre è ebreo, mia madre è ebrea». Nel 2006, il ventitreenne Ilan Halimi, la cui madre è stata da noi qui ospitata, fu ucciso perché ebreo, a Parigi, da una banda di estremisti islamici che l’ha torturato per tre settimane. La polizia non cercava nella direzione giusta perché la pista dell’antisemitismo non era stata presa in considerazione, non era identificata a dovere. Perché per scovare il nascondiglio dove era stato trascinato Halimi si sarebbe dovuto andare oltre la strada seguita in genere per un giovane che scompare nella metropoli, oltre le solite piste. Questo è proprio il punto: col lavoro del nostro Comitato abbiamo cercato oltre le solite piste.
L’antisemitismo ha un potere particolare: quello di infettare un essere umano dopo l’altro, un giovane dopo l’altro, casa dopo casa, nazione dopo nazione. La consapevolezza di questo è stata per alcuni anni una leva di civiltà: la rinascita dalla guerra portava il segno della vittoria sul regime che aveva operato lo sterminio degli ebrei e quindi quello della democrazia. Esso fu descritto, conosciuto nei particolari fra lo stupore e l’orrore generale, finché lo stupore si è trasformato talvolta in rifiuto, talvolta in quell’ignoranza di ritorno per cui gli europei spagnoli (ma ce n’è per tutte le nazioni) non sanno per il 35 per cento quando sia avvenuta la Shoah e due terzi degli europei non sanno quanti ebrei vi siano stati uccisi.
È un revival senza precedenti dalla vigilia della seconda guerra mondiale: un anno fa il numero di incidenti anche violenti ha superato quello degli anni precedenti alla seconda guerra mondiale. I dati dell’Università di Tel Aviv, riportatici dalla professoressa Dina Porat in audizione, indicano che, se nel 1989 si sono registrati 78 episodi antisemiti nel mondo, nel 2009 sono stati ben 1.118. Si tratta quindi di un fenomeno nuovo di questi ultimi anni, come si evince dal nostro lavoro e da ciò che si rovescia nel mio computer giorno dopo giorno, dai siti e gli interventi dei neonazisti europei (anche quelli nostrani che hanno accusato il nostro Comitato di essere la longa manus della cospirazione sionista) e degli americani suprematisti, da paesi che mai avremmo pensato di dover mettere al primo posto come nidi di antisemitismo, come quelli scandinavi e dall’immensità di un mondo estremista islamico intossicato da teorie della cospirazione che hanno attribuito agli ebrei, visti come appendice o cervello dell’imperialismo americano, l’attacco alle Twin Towers del 2001. Non c’è da stupirsi se si pensa che da anni sono un best seller in tutto il mondo arabo I protocolli dei Savi di Sion, il falso storico che diffuse la teoria del diabolico piano ebraico per conquistare il mondo, e di cui si sono fatte sponsor le élite arabe.
Ma viviamo una temperie molto particolare, il mondo islamico cambia ogni giorno con le cosiddette primavere arabe, l’ammirevole aspirazione alla libertà di tanti giovani che dovrebbe rappresentare una finestra di opportunità da cui anche su questo tema potrebbe, se agiamo, entrare aria fresca, si mescola con pericolose pulsioni integraliste. Si apre qui un fronte in cui la lotta all’antisemitismo diventa diplomazia, trattativa, diventa progetto di pace se riusciremo ad agire con decisione contro l’antisemitismo ovunque, perché l’antisemitismo non è un privilegio dell’autodeterminazione, è una tabe che uccide il portatore e l’ambiente circostante.
L’Europa è scossa col resto del mondo da una crisi economica molto dura, che di nuovo può creare sconvolgimenti morali, può fare impazzire le menti degli ignoranti e dei fragili, e spesso i giovani sono fra questi. Quanta responsabilità ci siamo presi nell’aprire questa pagina. Lo vedrete nei punti programmatici che ci siamo dati, per esempio quando ci occupiamo di dare attuazione alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il genocidio e il suo incitamento e ci proponiamo di monitorare l’iniziativa internazionale di deferimento del Presidente della Repubblica islamica dell’Iran Ahmadinejad presso la Corte penale internazionale per incitamento al genocidio. Speriamo di poterla seguitare a fronteggiare, col nostro cucchiaino, per la nostra piccola parte, per il futuro.





Rino Fisichella
Presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione


Grazie all’onorevole Nirenstein e un saluto a tutte le autorità che sono qui presenti. Carissimi amici, prendo la parola innanzitutto per congratularmi con i responsabili per questo studio, che risulta essere quanto mai significativo. Ho letto con particolare interesse il resoconto e mi sono soffermato in particolare su due punti sui quali vorrei riflettere: la relazione con la Chiesa cattolica e il rapporto tra i giovani e l’antisemitismo.

Antisemitismo e Chiesa cattolica
Personalmente noto che, tra i siti che si dicono cattolici, almeno un dieci per cento denota tratti antisemiti e, personalmente, non posso non sentirmi a disagio finché questa percentuale non sarà scomparsa. Così come nonmi sentirò tranquillo fino a quando non venga debellata qualsiasi altra espressione che abbia a indicare una forma di discriminazione, di antisemitismo o altra dimensione sociale e civile.
Noi viviamo purtroppo in un contesto culturale di grande transizione. Da una parte, si concludono almeno quattro secoli di cultura, e dall’altra, si apre una nuova espressione, che ancora non riusciamo a comprendere che cosa sia realmente. Che in questa nuova epoca, comunque, ci siano ancora cifre così forti e preoccupanti in merito all’antisemitismo, non può lasciare nessuno di noi tranquillo. Queste forme, infatti, non toccano soltanto la religione ebraica e lo Stato di Israele, ma riguardano anche, e in maniera sempre più forte, anche il Cristianesimo.
È proprio di stamattina la notizia che un altro prete nelle Filippine, un Paese di profonda tradizione cattolica, è stato ucciso. Se da una parte è vero che, da sempre, ogni religione ha conosciuto nella propria storia la persecuzione, dall’altra è anche vero che, crescendo la cultura e il progresso, questa non dovrebbe ormai più esistere.
Oggi ci troviamo in questa meravigliosa sala e ammiro, davanti a me, due arazzi storici e di una bellezza incredibile che attestano fatti della storia di Israele. Una storia che appartiene a questo popolo, ma che appartiene anche a noi cristiani. In un arazzo troviamo scritto: Moises ex aquis educitur super aquam refectionis populum educaturus. Indica il passaggio di Mosé sulle acque del Mar Rosso. Nell’altro arazzo, invece, troviamo: Pharao superbus ascendere cupiebat et in profundum descendit quasi lapis. Questa espressione, che in latino mi piace particolarmente, in italiano potrebbe essere così tradotta: «Il superbo faraone che voleva salire è sprofondato, invece, nel più profondo».
Penso che questa dimensione debba essere considerata anche oggi. Ci sono alcuni che pensano di ascendere, imponendosi con le loro espressioni di violenza non rendendosi conto, invece, che presto o tardi, sono destinati a discendere e ad affossarsi da soli, perché quanto compiono non è degno della persona umana.
Da questa prospettiva, confesso che, se da una parte preoccupa quel dieci per cento a cui prima mi riferivo, devo anche costatare che proprio questa percentuale, pur confessandosi cattolica, non lo è affatto. Questi gruppi, infatti, quasi schegge impazzite, non riconoscono neppure l’insegnamento del Romano Pontefice; alcuni, talvolta non riconoscono neppure il Pontefice stesso. Dunque tali gruppi antisemiti non possono considerarsi la voce della Chiesa cattolica. La Chiesa cattolica, infatti, ha iniziato un cammino irreversibile e irrevocabile con il Concilio Vaticano II, che è destinato a continuare. Questo percorso è stato determinato dai tanti segni di Giovanni Paolo II (la prima visita alla Sinagoga di Roma) e anche da altrettanti gesti di profonda amicizia, anche personale, da parte di Benedetto XVI, prima come Prefetto della dottrina della fede e adesso, ancora di più, come Papa. Egli, nelle sue visite in tutto il mondo, non manca mai di avere, e di volere, contatto con le comunità ebraiche. La sua visita alla Sinagoga con il rabbino capo, Riccardo Di Segni, non è che l’ultimo segno.
Non possiamo noi cattolici dimenticare che, soprattutto qui a Roma, la comunità ebraica esisteva prima che noi arrivassimo. Noi cristiani siamo giunti dopo e noi stessi siamo stati accolti dalla comunità ebraica. Questa memoria deve essere per noi sempre viva e non ci deve mai abbandonare.
Quello che temo, purtroppo, è che si sia diffusa una falsa concezione di tolleranza che ha fatto dimenticare una realtà importantissima come il rispetto. Questo, probabilmente, spiega anche la profonda ignoranza di tanti gesti. Anche a livello linguistico noi usiamo il termine “tolleranza” in maniera ambigua: noi tolleriamo qualcuno. È vero che Locke non ha questa interpretazione, ma in effetti, quando parliamo di tolleranza, cadiamo inevitabilmente in questa visione di significato. Non deve essere così. Noi dobbiamo crescere nella profonda convinzione del rispetto.
Rispetto è una parola molto più antica e per noi cristiani più coerente. Rispetto deriva da respicere, che significa: “mi rendo conto” cioè mentre sto camminando prendo coscienza, che c’è qualcuno che cammina insieme a me. A questo qualcuno io non posso fare alcun sgarbo. È una persona che cammina insieme a me. Mi accorgo che non sono solo, mi accorgo che ci sono altre persone insieme a me, che non sono io, sono diverse da me. Ciò non implica che stiano insieme a me facendo un identico cammino; e, tuttavia, devo essere cosciente della loro presenza e appunto rispettarle.
Noi siamo tutti quanti innestati in un cammino, è quel cammino di progresso e di sviluppo; un cammino di umanizzazione che dovrebbe caratterizzare tutti, soprattutto le religioni che svolgono un ruolo del tutto particolare. Guai se le religioni venissero meno alla loro peculiarità di umanizzazione del progresso e dello sviluppo delle società. Verrebbero meno alla loro stessa natura, che implica dare una risposta alle domande di senso che albergano nel più profondo del cuore di ogni uomo e di ogni donna.

I giovani e l’antisemitismo

C’è, inoltre, una seconda dimensione, e questa preoccupa maggiormente. Riguarda i giovani. I giovani sono il futuro. Costruendo il futuro, dobbiamo avere una particolare attenzione per i giovani e trovare tutte le forme necessarie, perché si intraprenda un cammino che non sia unilaterale, ma piuttosto condiviso e partecipato. Un cammino che trova corresponsabilità nella famiglia, là dove si trasmettono i valori fondamentali. Inoltre, deve trovare le istituzioni, in modo particolare la scuola, coinvolte in questa trasmissione. Non può mancare il coinvolgimento delle comunità religiose e delle innumerevoli espressioni dell’associazionismo. Insomma, tutto ciò che è presente nella vita dei giovani deve trovare noi adulti in una condizione unitaria e partecipata.
Sono preoccupato, in particolare, perché una percentuale ancora troppo alta delle giovani generazioni non conosce o non ha avuto alcun contatto con il mondo ebraico. Non è pensabile che si possa vivere in una società dove i giovani si rifiutano di avere contatti con un’altra realtà. Ciò equivale a non voler costruire il futuro, e non essere capaci di pensare ad un’autentica concezione di societas. Il relativismo, che continuamente ribadiamo come nocivo per la comprensione stessa della comunità civica e sociale, scaturisce da un individualismo in cui ognuno pensa di bastare a se stesso e come sua conseguenza rinchiude ancora di più in un individualismo asfissiante. Questa situazione è nociva. L’uomo vive e può vivere solo in relazione con gli altri, è persona. Essere “persona” significa anche essere chiamati a conoscere, perché dove manca il desiderio di conoscenza, là viene meno la capacità di crescere.
In questo contesto merita riflettere su due verbi tedeschi particolarmente significativi: erinnern e vergessen. Erinnern significa “ricordare” e vergessen “dimenticare”. Temo che ci giochiamo tutto su queste due dimensioni. L’uomo di oggi purtroppo vive nell’oblio. È una patologia che tocca tutti, nessuno escluso. Guai però se facessimo dell’oblio, del vergessen, del dimenticare, quasi un progetto di vita; sarebbe la fine. L’uomo deve vivere di un erinnern, cioè di un mantenere sempre vivo, deve vivere di una memoria, per dirla con un termine ancora più significativo. Memoria implica una dimensione molto più forte del ricordo. Il ricordo, infatti, equivale limitarsi al passato; la memoria, invece, è ciò che viene mantenuto costantemente vivo, perché appartiene alla coscienza delle persone. Ecco perché abbiamo bisogno di essere costantemente vigili come “sentinelle del mattino”, per riprendere l’espressione del Salmo.
È necessario mantenere una vigilanza costante, perché, nelle realtà dove si compie la formazione primaria, ci sia una memoria sempre viva di ciò che la storia ha insegnato e ha consegnato come contributo. Contributo che talvolta diventa monito per non ripetere errori passati, e che deve essere usato come occasione di crescita.
Vorrei concludere questo breve intervento con un rinnovato pensiero di riconoscenza per il lavoro svolto. Mi augurerei che qualcosa del genere potesse nascere anche in ambito cristiano, perché questi studi e queste indagine insegnano anche a noi come poter affrontare situazioni analoghe che purtroppo vedono oggi anche molti paesi in una condizione di xenofobia preoccupante.
Nei quindici anni in cui sono stato cappellano della Camera, di cui oggi siamo ospiti, ricordo con piacere la celebrazione del Giorno della Memoria. Ogni anno l’abbiamo celebrato insieme al rabbino capo di Roma con i parlamentari; la comunità cattolica e quella ebraica si ritrovavano insieme e abbiamo sperimentato la costante crescita nei rapporti di amicizia e stima reciproca. Se manca conoscenza e manca il desiderio di conoscenza, viene meno anche la gioia di vivere. Gli antichi filosofi dicevano che la meraviglia è l’origine di ogni conoscenza. Mi auguro che la lettura di questo testo possa provocare ancora una profonda meraviglia, cioè un desiderio di conoscere ancora di più per poter trasmettere alle generazioni future il frutto di un impegno positivo.
Grazie.





Claudia De Benedetti
Vicepresidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane (UCEI)


Illustri Autorità, gentili ospiti,
è per me un grande onore prendere la parola, in rappresentanza dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, alla presentazione al pubblico del documento finale di indagine conoscitiva sull’antisemitismo approvato all’unanimità dal Comitato presieduto dall’onorevole Fiamma Nirenstein, vicepresidente della Commissione esteri della Camera dei deputati.
Il rapporto, allarmante e innovativo, ha visto l’UCEI partecipare con le audizioni del presidente Renzo Gattegna, la comunità di Roma con il presidente Riccardo Pacifici e con il rabbino Benedetto Carucci, il Centro di documentazione ebraica contemporanea e l’Osservatorio sull’antisemitismo.
A nome di tutti gli enti ebraici italiani che sono stati coinvolti desidero porgere all’onorevole Nirenstein ed a tutto il Parlamento italiano le più vive e sincere felicitazioni.
La crescita verticale dell’antisemitismo, che nel 2009 ha raggiunto un picco senza precedenti dalla seconda guerra mondiale, è conclamata, il 44 per cento degli italiani dichiara di non provare simpatia per gli ebrei, il 22 per cento dei giovani italiani ha un atteggiamento variamente ostile verso gli ebrei. Allo Stato di Israele vengono applicati i peggiori stereotipi antisemiti. Il negazionismo, “l’odio più antico”, è un flagello da combattere quotidianamente senza risparmio di energie.
Gli ebrei italiani solo 70 anni fa si sono visti imporre le leggi razziste, lo strumento giuridico che permise la loro completa emarginazione dalla vita civile italiana e rese formalmente legittimo l’antisemitismo nel nostro Paese. Per loro, piccola minoranza che si era identificata con la causa risorgimentale e nazionale, quelle leggi furono il tradimento dello Stato alla cui nascita avevano contribuito e per il quale molti avevano combattuto.
Quelle leggi furono all’origine di discriminazioni e umiliazioni che trasformarono gli ebrei italiani da cittadini in perseguitati.
Il ricordo di quanto avvenuto negli anni bui dell’Italia fascista costituisce un tassello fondamentale nella formazione della nostra Repubblica, basata su una Costituzione che sancisce con chiarezza l’importanza di valori quali la libertà, l’eguaglianza, la dignità umana e la solidarietà sociale. Ma il valore della memoria, tanto più se riferito ad eventi drammatici, subirebbe un pericoloso vulnus se noi lo considerassimo un punto di arrivo, fine a se stesso.
Ringrazio, a nome dell’ebraismo italiano il Comitato che ha lavorato alacremente e affermo che noi siamo qui oggi, per riconoscere il valore dell’indagine che ricorda il passato guardando al futuro.
La tradizione ebraica è caratterizzata dall’imperativo categorico zachor, ricorda. Il verbo zachar, nelle sue varie forme, ricorre nella Bibbia 222 volte e, nella maggior parte dei casi, ha per soggetto Israele o Dio. Il concetto di ricordare trova il suo complemento e completamento nel verbo opposto: dimenticare.
Al popolo ebraico viene ingiunto di ricordare e al tempo stesso di non dimenticare.
La Torah – il Pentateuco – Deuteronomio, 32; 7, sprona ripetutamente a ricordare e a non dimenticare: nelle ultime parole di congedo, Mosè raccomanda al popolo: «Ricorda i tempi antichi, cerca di comprendere gli anni trascorsi, interroga tuo padre e ti racconterà, i tuoi anziani e te lo diranno...».
Per questo, quando parliamo dei contenuti dell’indagine conoscitiva sull’antisemitismo non possiamo che guardare ai nostri figli, ai giovani che sono qui, che ci guardano e ci ascoltano; a loro dobbiamo dare gli strumenti più potenti per lottare contro i provvedimenti aberranti e i pregiudizi, per impedire che siano increduli e impreparati di fronte alle intimidazioni, alle discriminazioni, ai cinici tradimenti, alle angherie e ai soprusi che hanno subito e, vogliamo sperare, non subiranno mai più, per avere la sola colpa di essere nati ebrei o israeliani, per essere, come si disse nel 1938 una “razza”, distinta biologicamente dal resto del popolo italiano.
Primo Levi, di fronte alle domande degli studenti ai quali cercava di spiegare cosa fosse e a cosa avesse portato la barbarie nazifascista, diceva che talvolta non si deve comprendere, perché comprendere è quasi giustificare, perché comprendere un comportamento umano significa, anche etimologicamente, contenerlo, contenerne l’autore, mettersi al suo posto, identificarsi con lui. Ma, proseguiva Primo Levi, se comprendere è impossibile, conoscere è necessario per capire quali siano state le cause, perché ciò che è accaduto può ritornare.
Tuttavia, dobbiamo guardare avanti con fiducia. Sempre nella Torah, Deuteronomio, 30; è scritto: «Guarda, io ho posto davanti a te oggi la vita e il bene, la morte e il male … tu scegli la vita». E così è accaduto in Italia nel dopoguerra, negli anni della rinascita dopo la dittatura fascista, l’Assemblea Costituente è stata presieduta da un ebreo, Umberto Terracini, che aveva pagato con anni di prigionia la sua opposizione al regime. E oggi siamo qui accanto ai nostri deputati ebrei che siedono nel Parlamento italiano, rappresentando, con tutti i loro colleghi, l’intera nazione italiana. Si tratta di conquiste fondamentali. E i vincitori di queste battaglie non sono soltanto gli ebrei, ma tutto il popolo italiano.
Oggi il nostro Paese sta attraversando un periodo storico nel quale si sono affermati e consolidati la tutela ed il rispetto dei diritti umani fondamentali.
La nostra Costituzione repubblicana costituisce un robusto telaio sul quale è stato tessuto un sistema di norme che garantiscono la libertà, l’eguaglianza e la dignità di ciascuno di noi. Ma noi ebrei siamo chiamati troppo spesso ad alzare la nostra voce contro il razzismo che ci colpisce, contro l’indifferenza, contro il pregiudizio.
L’Italia e la l’Europa ci impongono di non abbassare il livello di guardia, di impegnarci giorno dopo giorno.
Per tutelare il nostro diritto ad esistere, i risultati dell’indagine ci dimostrano che non sono sufficienti, purtroppo, i buoni propositi e le occasioni istituzionali, quali il giorno della memoria o i viaggi ai campi di sterminio. In questi giorni ricorre il 29º anniversario dell’attentato alla Sinagoga di Roma in cui fu assassinato il piccolo Stefano Gay Taché. A 29 anni da quel massacro c’è ancora imbarazzo e silenzio e penso a me spetti qui oggi il compito di ricordare Stefano, barbaramente trucidato, di portarlo nel cuore, di chiedere di fare giustizia.
Desidero concludere questo mio intervento con alcune parole di speranza che sono state trovate scritte sul muro di una cantina di Colonia, dove alcuni ebrei si nascosero per tutta la durata della seconda guerra mondiale: «Credo nel sole, anche quando non splende; credo nell’amore, anche quando non lo sento, credo in Dio, anche quando tace».
Grazie per essere venuti qui oggi a riflettere e ricordare, ma soprattutto grazie per ciò che farete affinché i tanti spunti che ci vengono offerti dall’indagine non siano inascoltati.





Charles Small
Direttore dell’Institute for the Study of Global Anti-Semitism and Policy, New York


Grazie infinite Fiamma Nirenstein, è un vero onore essere qui e rendere omaggio a tutti coloro i quali hanno lavorato all’indagine sull’antisemitismo, nonché alle Commissioni affari costituzionali e affari esteri italiane. È un vero onore essere qui. Chiaramente, l’Italia è in prima linea nella lotta contro gli antisemitismi globali e si è distinta come Paese guida per quanto concerne il trattamento di tale questione.
Oggi parlerò della relazione in rapporto a un articolo che ho scritto e ad alcuni aspetti dell’antisemitismo.
Guardando l’arazzo, mi sovviene una storia: avevo uno zio che viveva in Israele e che era originario di Montreal, in Canada. Nel corso di un suo viaggio in Nordamerica, trovandosi a New York, decise di venire in macchina da New York a Montreal. Le due città distano circa cinquecento chilometri e nel bel mezzo del tragitto la sua vettura rimase in panne. La spinse fino a una cittadina nella parte dello Stato di New York a nord della città e bussò alla porta di un agricoltore, il quale lo fece entrare. Mio zio disse che l’auto aveva avuto un guasto e queste persone furono molto ospitali, chiamarono un meccanico nel cuore della notte e questo accorse a riparare la vettura, mentre a mio zio veniva offerto del cibo. Nel giro di qualche ora l’automobile fu riparata e mio zio poté ripartire. Ma prima che se ne andasse, queste persone squisite gli chiesero se poteva far loro una cortesia. Mio zio volendo sdebitarsi per la gentilezza ed il cibo ricevuti disse: «Certo, farei qualunque cosa per voi». La coppia che viveva nella casa (tutto questo avveniva quindici anni fa nello Stato di New York) gli chiese se per cortesia poteva toccargli le corna. Credo che i simboli culturali e il potere dei simboli siano importantissimi in relazione alle idee e ai valori.
Vorrei prendere in esame una serie di componenti dell’antisemitismo. Ritengo che l’antisemitismo, a grandi linee, abbia attraversato tre o quattro fasi. La sua prima fase fu religiosa o teologica, essendo l’ebraismo considerato la religione sbagliata perché gli ebrei non accettavano il Messia cristiano.
A questa fase subentrò un’era durante la quale gli ebrei erano il popolo sbagliato nel paese sbagliato. In termini di determinazione biologica dell’identità, gli ebrei erano il gruppo etnico e razziale sbagliato nella nazione sbagliata. Ciò che distingue l’antisemitismo da altre forme di discriminazione in società diverse, nonché sul piano storico, è un’insita tendenza al genocidio – e sto pesando con cura le parole. Quando vigeva il concetto per cui l’ebraismo era la religione sbagliata, era convinzione innata delle società che non solo gli ebrei si sarebbero salvati se avessero cambiato religione, ma si sarebbe salvato il mondo intero. Quando l’antisemitismo si fondava su concezioni razziali dell’identità e gli ebrei erano la razza sbagliata o la razza che in qualche modo corrompeva la razza bianca ariana, la gente credeva che la razza della nazione si sarebbe salvata solo se gli ebrei se ne fossero andati.
Attualmente, secondo le forme contemporanee di antisemitismo rivolte a Israele, che applicano a Israele criteri differenti, Israele diventa la pattumiera dei problemi del mondo. Proprio come nelle altre forme di antisemitismo, la gente oggi crede che basterebbe che gli israeliani cambiassero politica, a prescindere da ciò che accade nel contesto in cui Israele è situato, per salvare loro stessi, la regione e magari addirittura il mondo intero. In termini di teoria sociale è la stessa logica che unisce forme analoghe di antisemitismo, e questo andrebbe tenuto presente.
Nella relazione del Comitato, si legge che il 44 per cento degli italiani manifesta discriminazione o atteggiamenti discriminatori verso gli ebrei, dato reso più grave dal fatto che un 12 per cento dichiara un antisemitismo ancor più estremo.
Nel 2006 abbiamo intervistato cinquemila persone in dieci paesi europei tra cui l’Italia, cinquecento per ciascun paese, e i dati statistici e le conclusioni cui siamo pervenuti sono simili. Abbiamo però anche misurato le vecchie forme di antisemitismo e abbiamo posto a queste cinquemila persone quesiti relativi ai concetti antisemiti tradizionali, come il fatto che gli ebrei pensano solo ai loro correligionari, che gli ebrei pensano solo agli ebrei, che gli ebrei sono eticamente scorretti negli affari, temi che si riallacciano ad antiche idee antisemite. Abbiamo così rilevato che il livello di antisemitismo in Europa era stabile e che l’Italia, rispetto agli altri nove Paesi, occupava una posizione intermedia. Essendo il nostro studio incentrato anche sull’antisemitismo contemporaneo, ai cinquemila intervistati abbiamo anche posto quesiti su Israele. Abbiamo quindi predisposto una voce anti-Israele, e formulato domande sul paese in questione. Nei quesiti posti abbiamo suggerito che gli israeliani trattano i palestinesi come i sudafricani trattavano le persone di colore durante l’apartheid, che i militari israeliani sparano deliberatamente sui bambini palestinesi e così via. Quanto scoperto è a dir poco stupefacente: in dieci Paesi europei le tendenze anti-israeliane si attestavano su livelli relativamente bassi, il che è positivo, ma emergeva che il 56 per cento delle persone considerate ostili a Israele (pari a soltanto il 6 o 7 per cento della popolazione, a seconda del paese esaminato, percentuale dunque relativamente bassa) solitamente era anche antisemita nel senso tradizionale. In tale gruppo, la probabilità di essere un antisemita tradizionale è 13 volte maggiore rispetto alla media della popolazione. Immaginate per un istante che un medicinale acquistato in farmacia o un prodotto alimentare acquistato in un supermercato abbia il 56 per cento di probabilità in più di provocare il cancro o sia 13 volte più cancerogeno rispetto ad altri prodotti. Se così fosse, scatterebbe un’indagine a livello nazionale e il prodotto verrebbe subito tolto dagli scaffali. Tali dati statistici sono oltremodo scioccanti e inattesi.
Un’altra notazione importante, rispetto alla relazione italiana sull’antisemitismo secondo la quale il 44 per cento degli italiani manifesta un certo grado di antisemitismo, è che il centro di ricerca statunitense Pew ha recentemente condotto un sondaggio sulla percezione degli ebrei nel mondo arabo. Se credete che il 44 per cento dell’Italia sia un dato negativo, sappiate che ben il 95 per cento degli egiziani è risultato antisemita, così come il 97 per cento dei giordani, il 98 per cento dei libanesi e il 75 per cento dei turchi si è rivelato ostile nei confronti del popolo ebraico. Sono statistiche che rispecchiano le gravissime problematiche del Medio Oriente.
Attualmente in Medio Oriente stiamo assistendo all’ascesa dell’Islam radicale. Non parlo dell’Islam in quanto religione o dei musulmani come popolo, ma mi riferisco alla sua forma radicale o Islamismo. Come abbiamo potuto vedere, sin dal 1979 il regime rivoluzionario iraniano ha fatto leva sull’antisemitismo come componente della sua retorica. Hamas, stando alla lettura del suo Statuto, è un movimento sociale che si prefigge di espellere gli interessi e le istituzioni occidentali dalla Palestina e dal Medio Oriente. Leggendo lo Statuto e analizzando la retorica di Hamas e del regime rivoluzionario iraniano, come pure quella dei Fratelli musulmani, si nota che ricorrono tutti a un’arma strategica contro gli interessi occidentali, non contro gli ebrei. Ciò nondimeno la storia dei Savi di Sion è tornata a pervadere le società e la cultura popolare del Medio Oriente. Non si tratta di un fenomeno sociale marginale, ma di qualcosa che si sta diffondendo in tutta la società, nella cultura politica, nell’informazione e persino nella musica di consumo.
Ritornando allo Statuto di Hamas, siamo di fronte a un movimento sociale che tenta di liberare il Medio Oriente dall’influenza europea ed ebraica. Del Protocollo dei Savi di Sion fa il fondamento per la stesura dell’intero documento costitutivo del movimento sociale, ossia dello Statuto. Occorre ricordare che la Shoah non ha avuto inizio con i vagoni per la deportazione e i mattoni per costruire i forni crematori: è iniziata dalle idee e dalle parole. I Protocolli dei Savi di Sion hanno svolto un ruolo fondamentale nel demonizzare, disumanizzare e separare il popolo ebraico dalle società europee, dalle quali esso è stato poi distrutto. È la stessa ideologia ad aver pervaso il Medio Oriente, per cui non c’è da stupirsi se Ahmadinejad o i rappresentanti di altre società fanno il proprio ingresso nelle Nazioni Unite e parlano seguendo la falsariga dei Protocolli dei Savi di Sion. Se cercate su Google i discorsi tenuti da Ahmadinejad a New York presso le Nazioni Unite alcuni mesi fa o l’anno prima, noterete che si esprime con termini propri dell’antisemitismo di stampo genocida, e uso queste parole non a caso.
Occorre comprendere e sviluppare un nuovo linguaggio. In Turchia, ad esempio, i Protocolli sono stati pubblicati da dodici case editrici. Questa retorica antisemita è stata impiegata come arma strategica non solo contro Israele, non solo contro il popolo ebraico, ma contro gli interessi occidentali. Affermo risolutamente, specie all’indirizzo di chi tra noi ha a cuore i diritti umani, che è risaputo che la retorica dei Protocolli seguita a diffondersi liberamente mentre i decisori politici e i principali esperti di comunicazione non intervengono. Quando Ahmadinejad si è recato negli Stati Uniti nessuno gli ha mai contestato il suo ricorso ai Protocolli dei Savi di Sion, eppure durante il suo soggiorno è stato intervistato da tutti i grandi mezzi di comunicazione.
Recentemente, nel suo discorso alla Columbia University, Ahmadinejad ha affermato che in Iran non vi sono omosessuali. Tra il pubblico, formato da docenti e studenti d’origine mediorientale, tutti hanno riso, trattandosi di un’affermazione assurda. A nostro parere il regime rivoluzionario iraniano non è affatto roba da ridere, perché essere omosessuale in Iran va contro il decoro, essere un musulmano moderno che combatte per i diritti democratici va contro il decoro, battersi per il pluralismo religioso in tutte queste società diventa un problema. Man mano che la Primavera araba segue il suo corso e i Fratelli musulmani acquisiscono maggior peso nei conflitti in atto in Egitto e in Siria, dobbiamo comprendere appieno il linguaggio e la retorica di questo movimento sociale e capire come scongiurare il ricorso all’antisemitismo come arma strategica, facendo in modo invece che il programma dei diritti umani e della piena cittadinanza per tutti – uomini e donne, eterosessuali e omosessuali, minoranze religiose, cristiani ed ebrei – rechi pari diritti a ognuno, come cittadino a pari titolo delle nuove società che si profilano.
Dobbiamo avere piena consapevolezza del modo in cui l’antisemitismo è stato adoperato come arma. Il professor Rootweiss ha sempre affermato che storicamente l’antisemitismo è quasi come una profezia. I dittatori, i movimenti sociali reazionari additano gli ebrei, additano i sionisti, additano gli israeliani e catalizzano su di essi l’attenzione della gente. Intanto, questi dirigenti privano i cittadini dei loro diritti umani fondamentali e noi dobbiamo adoperarci affinché questo non accada mai più.
Grazie mille.





Ugo Volli
Semiologo, Università di Torino


Voglio iniziare ringraziando la Camera dei deputati per il documento che oggi viene presentato. Che esso sia stato elaborato, e che sia stato approvato all’unanimità, è un fatto importante. È ancora più importante che esso sia completo, che non si limiti a stigmatizzare il vecchio antisemitismo nazifascista, ma si occupi anche del nuovo, quello cioè che non odia, almeno dichiaratamente, gli ebrei per essere una “razza inferiore” o per conservare la loro religione invece di convertirsi o perché i loro avi avrebbero tradito Gesù o Maometto, o ancora con per essere residui culturali da eliminare o l’epitome del capitalismo da abolire. Ma li odia per essere legati a uno Stato, Israele, che è descritto come abusivo, colonialista, assassino, la cui fondazione sarebbe stato «il più grande crimine dell’umanità», come ha detto il Presidente iraniano Ahamdinedjad. Il documento della Camera riesce a includere tutte queste forme di antisemitismo, le classifica, le distingue, le esemplifica con cura, facendo un ottimo lavoro che è anche l’esempio morale di come l’attività parlamentare possa e debba essere lucida analisi dei problemi e formulazione di proposte e di rimedi, secondo un consenso bipartisan.
Vorrei aggiungere qui delle considerazioni che derivano dalla mia disciplina scientifica, la semiotica. L’antisemitismo non è solo “pregiudizio”, cioè credenza. È un certo tipo di discorso sociale, in particolare, come dicono gli americani, hate speech. Un discorso che genera la passioni negative su un soggetto sociale, che produce odio. L’antisemitismo, come dice il rapporto, è probabilmente il più antico di questi discorsi, e anche il più diffuso al mondo. Non c’è naturalmente razzismo contro gli africani in Nigeria, ma c’è antisemitismo; non c’è paura degli asiatici in Giappone, ma c’è antisemitismo, pure in assenza di una comunità ebraica. C’è antisemitismo in Argentina, come ha mostrato un recente rapporto pubblicato sul web, c’è in forma pubblica e istituzionalizzata in paesi semidittatoriali come il Venezuela e in tutto il mondo islamico, che pure da cinquant’anni è sostanzialmente Judenrein. Si è letto nei giorni scorsi su Internet che gli ultimi otto ebrei dell’Iraq sono nella necessità di fuggire dal paese, attualmente accolti in un rifugio segreto da qualche nuovo giusto delle nazioni, dopo che Wikileaks ha rivelato la loro identità, nascosta da decenni. Si chiude in questa maniera una presenza che risale ininterrottamente almeno dai tempi dell’esilio babilonese, 2600 anni fa. Ma l’antisemitismo resta.
Come tutti i discorsi, l’antisemitismo non si produce da sé. Ogni discorso ha due soggetti, quello grammaticale, ciò intorno a cui si parla, e quello sociale, chi parla. Si parla di ebrei, ma è qualcuno a farlo. Certamente i discorsi si riproducono, si diffondono, come mostrano gli studi e i pettegolezzi. Ma essi hanno anche una fonte, vengono da qualche parte. Per combattere l’antisemitismo è essenziale individuare l’origine dei discorsi antisemiti e combatterne la diffusione. Ci sono della agenzie sociali che producono antisemitismo, che lo vogliano o meno, che lo sappiano o meno. In primo luogo vediamo per lo più agenzie mediali, dato che il loro lavoro è la diffusione di discorsi. Per lo più però il giornalismo non è l’origine dei discorsi sociali, si tratta di media, che istituzionalmente stanno in mezzo fra fonti dei discorsi e loro destinatari. La stessa condizione, ma con una maggiore invisibilità, viene spesso svolta da agenzie pedagogiche, dalla scuola. Naturalmente si tratta di un ambiente complesso, e nessuno può pensare che vi sia un progetto pedagogico antisemita, oggi. Ma alcuni recenti allarmi sui libri di testo chiedono una forte attenzione al mondo della scuola. Del resto i dati molto allarmanti sull’antisemitismo giovanile, riportati nel rapporto, richiedono una spiegazione, al di là della trasmissione familiare.
Il rapporto indica alcune tipologie di discorso, e dunque implicitamente alcune fonti. Quando si parla di antigiudaismo religioso, per esempio, è chiaro che vi è stata un’azione di diffusione di stereotipi antisemiti da parte della Chiesa, che è stata particolarmente intensa fino a un secolo fa circa. È chiaro che progressivamente nel corso del Novecento la Chiesa ha rinunciato a questo discorso e lo ha sconfessato. Ma la diffusione dei discorsi si prolunga ancora molto tempo dopo la loro cessazione, e ancora vi sono echi di questo vecchio hate speech, anche in luoghi non molto periferici della comunità ecclesiale. Così come vi sono echi del razzismo del secolo scorso, echi dei vecchi discorsi antisemiti secondo gli stereotipi del potere economico e della “conquista del mondo”. Il documento lo mostra bene. Continua invece, quasi incontrastato all’interno della sua comunità, il discorso antisemita di matrice islamica.
Il problema oggi sta soprattutto nell’antisemitismo legato all’odio per Israele e nelle agenzie politiche e giornalistiche che lo diffondono. La ragione è la sua pretesa di innocenza. La storia terribile del Novecento non ha eliminato, ma ha tolto ogni legittimità all’antisemitismo per così dire “classico”. Chiunque oggi attribuisca in pubblico agli “ebrei” avarizia o congiure per conquistare il mondo, per non parlare dell’assassinio di bambini per usarne il sangue o “odio per l’umanità”, oggi sarebbe immediatamente squalificato e magari anche incriminato. Ma attribuire alla “lobby di Israele” o al Mossad il dominio dell’America, se non del mondo, crimini orribili come l’attentato alle Twin Tower, assassini sistematici di bambini e magari l’uso dei loro organi, può farlo, e sentirsi innocente, magari perfino può pensare di agire per il bene dell’umanità. Solo nel mondo islamico questi crimini sono attribuiti direttamente agli ebrei. In occidente le accuse sono allontanate attribuendole agli “israeliani” o magari ai “coloni” o al “Governo di Israele”. Che poi naturalmente sono ebrei, anzi l’espressione storica contemporanea più importante dell’ebraismo. In realtà le accuse sono più o meno le stesse, e sono fatte a Israele in maniera iniqua, come mostra il criterio del doppio standard evocato nel documento. Come indica correttamente il documento conclusivo, c’è un confine poroso fra antisionismo, critica più o meno legittima delle politiche israeliane e antisemitismo più o meno profondo. Questo confine poroso, molto frequentato anche da persone che si credono di buona volontà, da religiosi e politici, da ONG e giornalisti, perfino da certi settori del mondo ebraico, è la vera origine dell’antisemitismo contemporaneo. L’agenzia sociale che produce oggi la gran massa del discorso antisemita in tutto il mondo e ne garantisce l’assurda sopravvivenza sta nella militanza antisraeliana (o si nasconde dietro a essa). Su questo mondo bisogna esercitare la massima vigilanza, non naturalmente per impedire la libera manifestazione del pensiero e dell’azione politica, ma per denunciare all’origine lo sconfinamento del discorso politico in hate speech.





Gert Weisskirchen
Coalizione interparlamentare per combattere l’antisemitismo (ICCA)


Fiamma, anzitutto vorrei ringraziare te e il Comitato per ciò che avete fatto. È straordinario che abbiate dato seguito all’idea dibattuta in seno a vari Parlamenti europei e al Parlamento canadese, istituendo questo autorevole Comitato dalle posizioni coraggiose. Grazie ad esso noi ora abbiamo l’opportunità di esaminare con attenzione quanto scritto nel vostro documento ed è su quest’ultimo e sulle vostre raccomandazioni che vorrei soffermarmi.
Anzitutto, vorrei sottoporre alla vostra attenzione quello che è il problema reale al momento. Ogniqualvolta le società sono attraversate da turbolenze e si trovano come in uno stato d’irritazione per una molteplicità di cause, sempre possono riaffiorare i lineamenti del pregiudizio. Ciò che realmente temo è che, raggiunto nel 2009 l’apice dell’antisemitismo, ci si trovi da allora, come tu hai detto, in presenza di un dibattito pubblico inquietante. Considerando le statistiche, si scopre che nei paesi europei, e in realtà anche negli Stati Uniti e in Canada, vi è una sorta di antisemitismo che riguarda circa il 10-15 per cento della popolazione. A volte – e specialmente – il culmine è raggiunto quando si instaura una sorta di processo di commistione tra antico antigiudaismo, antisemitismo sociale e antisionismo. In assoluta franchezza, se si considerano i problemi del Vicino e Medio Oriente, si comprende bene che nel futuro prossimo tutti noi, società civili, parlamentari e governi, dovremmo essere consapevoli del fatto che un nuovo apice potrebbe essere toccato sotto altre forme. A tal riguardo, ho un secondo problema o timore: il ricambio generazionale farà sì che il ricordo, la personale memoria di coloro che conobbero ciò che nella mia parte del mondo – la Germania, ad esempio – è stato definito “nazionalismo” o “nazismo” si perda con la scomparsa di quelle persone. Ciò significa che è in atto un mutamento della memoria individuale. Ma qual è allora la risposta di tutti noi, degli insegnanti, degli storici, dei parlamentari? Se tale cambiamento implica che l’unica risposta è l’oblio, allora di nuovo ci attendono tempi bui. Ciò che occorre adesso è un tipo di memoria culturale che promuova gli atteggiamenti e le azioni in grado di contrastare il nuovo antisemitismo che avanza.
Attualmente ci troviamo per molti versi in un momento cruciale: dobbiamo dunque essere estremamente grati al Parlamento italiano per ciò che ci presenta con questa relazione. Si tratta di un nuovo consenso forgiato attraverso discussioni talvolta aspre e difficili in seno al Parlamento, e poi ripreso da altri all’esterno. Ciò significa che il nuovo consenso deve costituire la base per nuove azioni che saranno necessarie davanti al diffondersi di un nuovo antisemitismo. In qualche modo esso costituisce l’elemento centrale di ciò di cui tutti noi abbiamo bisogno in Europa, e spiego perché.
In quanto cristiano protestante, io non sono contrario all’antisemitismo in quanto fenomeno che riguarda esclusivamente gli ebrei. Sono invece contrario all’antisemitismo perché esso è contrario alla dignità europea, alla democrazia europea, ai valori europei. Ecco perché tutti noi, di fede ebraica, di fede cristiana, di qualunque altra fede e persino di fede islamica, dovremmo unire le nostre forze per gettare le basi di una battaglia comune contro il fenomeno nuovo che ci sta davanti. Mi auguro che la presente relazione possa costituire la base di tale impegno a favore di nuove forme di lotta contro l’antisemitismo. Fiamma, grazie ancora per ciò che avete fatto.
Il mio ultimo paragrafo sarà dedicato a quel che bisogna fare adesso. Siccome le nuove generazioni risentono in qualche modo di una mancanza di conoscenza, dobbiamo incentivare ogni nuova forma d’istruzione cognitiva. Ciò significa, in primo luogo, che abbiamo bisogno di una nuova logica per affrontare il problema.
In secondo luogo, sì, è necessario sapere ciò che è avvenuto e ciò che sta avvenendo al momento, ma ciò di cui davvero abbiamo bisogno è l’empatia. Empatia per comprendere i pensieri e i sentimenti dell’altro e condividere con lui, qualora sia in pericolo, quel tipo d’emozione ch’è essenziale in tali casi.
In terzo luogo, essere attivi. Un’azione di tipo diverso è la terza e ultima cosa che dovremmo creare.
Dunque in primo luogo è necessaria la logica, in secondo luogo l’empatia e infine l’azione. La vostra relazione costituisce la base per la ricerca di nuovi tipi di azione e rappresenta un eccellente, magnifico punto di partenza che offre agli altri soggetti, ai parlamentari di tutta Europa una nuova empatia, una nuova opportunità di agire. Grazie.





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