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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
06.06.2011 Palestinesi armati tentano di sconfinare dalla Siria, Israele si difende
Cronaca di Aldo Baquis, disinformazione di Francesco Battistini, rassegna di titoli

Testata:Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Francesco Battistini - Aldo Baquis
Titolo: «Tentano di forzare il confine del Golan, Israele spara. Venti palestinesi uccisi - Golan, fuoco israeliano sui palestinesi. E' strage - Così Assad cerca di nascondere la sua repressione»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 06/06/2011, a pag. 5, la cronaca di Francesco Battistini dal titolo " Tentano di forzare il confine del Golan, Israele spara. Venti palestinesi uccisi ", preceduta dal nostro commento, la sua intervista a Eyal Zisser dal titolo " Così Assad cerca di nascondere la sua repressione ". Dalla STAMPA, a pag. 19, la cronaca di Aldo Baquis dal titolo "Golan, fuoco israeliano sui palestinesi. E' strage", preceduta dal nostro commento.
Nell'immagine a destra, 
 Tzahal alla difesa di Israele.
Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Tentano di forzare il confine del Golan, Israele spara. Venti palestinesi uccisi "


Francesco Battistini

La cronaca di Francesco Battistini è un concentrato di ostilità contro Israele, a partire dalla prima frase : "La promessa era: spareremo". Come se l'obiettivo principale di Israele fosse ammazzare gente ai suoi confini. Battistini descrive i soldati israeliani come 'cecchini' e sostiene che i palestinesi fossero disarmati. Peccato che poi si contraddica descrivendo le loro bottiglie molotov. Sullo scopo dei palestinesi, non una parola. Meglio descriverli come 'pacifici e disarmati'. Perchè tentavano di entrare in Israele illegalmente? Che cosa avrebbero fatto una volta entrati? Silenzio, non una parola al riguardo. E perchè Israele dovrebbe mettere a rischio la vita dei propri cittadini? Qualunque Stato normale, se viene invaso si difende e lo fa con l'esercito, non è chiaro per quale motivo Israele dovrebbe fare eccezione.
Battistini continua a dipingere Tzahal come colpevole e scrive : "
«i soldati che sembrava facessero il tiro al tacchino», racconta un coltivatore di mele, Fuad al-Shaar ". L'opinione di un non meglio definito coltivatore di mele merita tanto rilievo?
Anche Eric Salerno, sul Messaggero, scrive una cronaca sulla stessa falsa riga. Israele è colpevole perchè sidifende dagli attacchi. I palestinesi che hanno cercato di forzare il confine per entrare in Israele sono semplici 'dimostranti'. Le fonti del regime siriano, poi, hanno maggior rilievo e credibilità di quelle israeliane. Perchè? Da quando in qua un regime che spara sui propri cittadini è più attendibile di una democrazia?

Anche Repubblica punta contro Israele e titola l'articolo di Fabio Scuto "Golan, Israele spara sui dimostranti al confine venti morti e 300 feriti ". L'esercito spara su semplici manifestanti. Il fatto che le loro intenzioni fossero tutt'altro che pacifiche e che fossero armati di bottiglie molotov non ha importanza.
Corriere della Sera non si discosta dalla linea contro Israele e titola il pezzo di Battistini : "
Tentano di forzare il confine del Golan, Israele spara. Venti palestinesi uccisi ". Sulle loro intenzioni, silenzio di tomba. Sulle loro armi, idem. Meglio descrivere gli spari di Israele.
Nemmeno l'Unità stupisce e titola : "
Tentano di forzare il confine del Golan, Israele spara. Venti palestinesi uccisi ". I terroristi palestinesi non sono definiti, cercano solo di forzare il confine. Qualunque Stato manderebbe l'esercito per bloccare l'ingresso.

Ecco l'articolo di Battistini:

La promessa era: spareremo. «Si rischiano altri morti» , aveva detto mercoledì l’Onu. «In casi eccezionali, siamo pronti anche a mandare truppe dentro la Siria» , aveva avvertito giovedì il premier Bibi Netanyahu. «Non ci faremo più sorprendere» , aveva ripetuto venerdì il capo dell’esercito, Benny Gantz. «L’ordine è di tirare su chiunque tenti d’attraversare il confine» , aveva ribadito sabato sera la radio militare. Ieri mattina, Naksa Day, la giornata che ricorda la sconfitta araba nella guerra dei Sei giorni, non appena centinaia di palestinesi e di siriani sono arrivati alla frontiera di Majdal Shams— quella che avevano già sfondato per celebrare il Nakba Day, 15 maggio, la data che commemora la «catastrofe» dei palestinesi esiliati nel 1948 —, dagli altoparlanti del Golan occupato, ecco l'ultimo altolà: «Chi ci prova, sarà ucciso!» . Qualcuno ci ha provato: a tirare giù le barriere rinforzate, a superare le nuove trincee e i campi minati di fresco. I cecchini hanno cominciato subito: a tirare. «Alle gambe» , dicono gl’israeliani. «Alla testa» , risponde Damasco. Due tentativi d’entrare, il più massiccio nel pomeriggio a Quneitra. Lacrimogeni e molotov. Nessun dimostrante armato. Mine che esplodevano, «i soldati che sembrava facessero il tiro al tacchino» , racconta un coltivatore di mele, Fuad al-Shaar. Un’altra domenica di sangue. Con una sparatoria di cifre: 20 morti, nella contabilità siriana, compresi una donna e un bambino, e poi 325 feriti. Venti feriti, a sentire Gerusalemme, e il bambino che sarebbe caduto da un balcone. Dalla Nakba alla Naksa. Una lettera cambia la storia che si ricorda, non la cronaca che si racconta. Venti giorni e quattordici morti dopo, la Giornata della Sconfitta è sicuramente diversa dalla Giornata della Catastrofe in due dettagli: che s’è provato a sfondare solo dalla Siria e che, stavolta, nessuno ce l’ha fatta. Un negoziato Onu fra esercito libanese e israeliano, lunedì scorso, aveva spinto il governo di Beirut a impedire una nuova marcia sul confine: per commemorare la Naksa, i 12 campi profughi si sono accontentati d’uno sciopero generale. Stesso accordo in Cisgiordania e a Rafah, il confine con Gaza che l’Egitto ha aperto una settimana fa e già richiuso, dopo la scoperta di palestinesi che importavano armi da Alessandria. Ma quando sul web era partito il nuovo tam tam che invitava anche i 500 mila palestinesi della Siria a muoversi «per una Terza intifada» , dal regime di Assad era arrivato solo un generico invito a non marciare. Troppo poco, per fidarsi: esercito allertato, aveva spiegato il generale Gantz, «perché abbiamo imparato la lezione» . La «provocazione di elementi estremisti» è evidente, dice ora Netanyahu, Damasco soffia sul fuoco di questa protesta per distogliere gli sguardi dagli oppositori che sta massacrando: ieri, in due città del nord della Siria, Jisr a l -S h u g h o u r e K h a n Sheikhoun, le forze di sicurezza siriane hanno fatto 35 morti. «Profondamente inquieti» , si dicono anche da Washington, dove s’invitano le parti a non alzare il livello di scontro e a «evitare ogni provocazione» . Da tre giorni, il Golan è zona militare chiusa. Chi ci abita, respira aria di guerra. Le scuole del lato israeliano, chiuse. Sulla «Collina delle Urla» , il bordo siriano dove sono radunati i manifestanti, bivacchi e falò fino a notte. Non è finita: «Sulla scena mediorientale c’è un nuovo attore: la piazza — dice il generale Gantz —. Ci è chiaro che nei prossimi mesi saremo obbligati a fronteggiare altre dimostrazioni di massa. La nostra risposta sarà appropriata» . Questione di mesi? Domani, è l’anniversario dell’occupazione di Gerusalemme Est. Un altro X Day, se continua la strategia dei compleanni di sangue.

La STAMPA - Aldo Baquis : " Golan, fuoco israeliano sui palestinesi. E' strage"

La cronaca di Aldo Baquis è corretta, ma non si può scrivere altrettanto per la titolazione del suo articolo, nè per l'immagine scelta dalla redazione della Stampa per la prima pagina del quotidiano.


 L'immagine raffigura una palestinese che urla contro un soldato israeliano armato, tanto per sottolineare che i 'manifestanti' erano disarmati, mentre Israele, come al solito, ha usato il 'pugno di ferro'. Evidentemente il diritto alla difesa non è contemplato, quando si tratta di Israele.


Ecco l'articolo di Baquis:

Nel 44mo anniversario della «Naksa» - la sconfitta degli eserciti arabi nella Guerra dei Sei Giorni del 1967 Israele si è trovato costretto a misurarsi con la nuova «arma segreta» del mondo arabo: le masse di dimostranti, per lo più disarmati, determinati a travolgere (come al Cairo, a Tunisi e a Sanaa) quanto si pari loro davanti. Ieri l’obiettivo da abbattere erano i reticolati di frontiera sulle alture occupate del Golan.

Per tutta la giornata, a ondate, centinaia di dimostranti palestinesi e siriani si sono lanciati a testa bassa verso le postazioni israeliane. Una manifestazione assecondata dal regime di Assad, che ha ordinato alla tv di Stato di seguirla in diretta. Non c’è dubbio, dice Israele, che pilotando la protesta palestinese Assad cerca di distogliere l’attenzione internazionale dalla cruenta repressione della rivolta che da mesi sconvolge il suo Paese. L’amara previsione in Israele è che sul Golan le manifestazioni proseguiranno.

Come richiesto dal premier Benjamin Netanyahu, i soldati israeliani hanno prima dato prova di «autocontrollo» (avvertimenti in arabo con megafoni; spari di intimidazione in aria; spari di tiratori scelti alle gambe), poi hanno mostrato «determinazione». In nessun caso, era stato detto loro, si doveva permettere ai dimostranti di aprire una breccia, come già avvenuto il 15 maggio scorso.

In serata, dopo ore di aspri scontri, la televisione siriana ha fornito un bilancio ufficioso drammatico: oltre 20 morti e circa 200 tra feriti, contusi e intossicati da gas lacrimogeni. A quanto pare, parte delle vittime sono state provocate dall’esplosione di mine anticarro nella zona di Quneitra (il settore del Golan controllato dalla Siria), dovuta a incendi provocati dal lancio di bottiglie incendiarie da parte dei dimostranti.

In occasione della giornata della «Naksa» l’esercito israeliano era stato costretto a elevare lo stato di allerta anche su altri fronti. Ma a Gaza Hamas ha provveduto a tenere a distanza di sicurezza un corteo di dimostranti, mentre in Libano l’esercito nazionale ha dichiarato «zona militare chiusa» il confine con Israele. In Cisgiordania si sono avuti incidenti limitati.

Eppure a tutti è chiaro che dopo la giornata della «Nakba» (la «catastrofe» del 1948 celebrata ogni 15 maggio) e dopo quella della «Naksa» (ieri) le masse palestinesi torneranno a ripresentarsi lungo le frontiere. Il bollettino degli impegni include già il 7 giugno (anniversario dell’occupazione militare israeliana di Gerusalemme Est nel 1967); il 20 giugno (partenza di una flottiglia filo-palestinese diretta a Gaza); il mese di luglio (anniversario di una condanna internazionale della barriera di difesa in Cisgiordania) e, a settembre, l’attesa proclamazione dello Stato palestinese indipendente alle Nazioni Unite.

Gli assalti ai reticolati del Golan, secondo il dirigente politico palestinese Mustafa Barghuti, sono solo il primo atto di una campagna ben coordinata, che sempre più spesso vedrà i soldati israeliani confrontarsi con le masse arabe.

CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Così Assad cerca di nascondere la sua repressione "


Eyal Zisser

«Non è facile negoziare con Israele e meno ancora con Netanyahu. Capisco la disperazione dei palestinesi. Ma se la nuova strategia è attaccare le frontiere e usare il martirio dei rifugiati, far sì che Assad usi il loro diritto al ritorno, i palestinesi non andranno mai da nessuna parte. L’unica via è il negoziato» . Uno dei maggiori esperti israeliani di Siria, Eyal Zisser, direttore del centro studi strategici Moshe Dayan, s’aspettava questi morti: «L’esercito israeliano era pronto. Quando a centinaia cercano di sfondare il confine, cercando il martirio, qualunque Paese sparerebbe» . Ma non c’è altra via? È gente che chiede di rientrare in patria... «I morti sono una tragedia. Ma parliamoci chiaro: ha visto il mondo piangere i palestinesi uccisi il 15 maggio, giorno della Nakba? Il mondo e gli arabi per primi li hanno dimenticati subito, perché hanno capito che quei poveretti venivano usati per altri scopi: è evidente che il regime di Damasco ha interesse a muovere queste masse per distogliere l’attenzione del mondo. L’ultima volta, l’imbarazzo di Netanyahu è durato un giorno. Stavolta, durerà anche meno» . A che cosa puntano i palestinesi? «Fu Nasser a chiamare Naksa la disgrazia araba d’avere perso la guerra dei Sei giorni. E’ una cosa molto simbolica, in Siria. Ma i palestinesi non l’hanno mai commemorata. Questo perché sapevano che era pericoloso collegare la loro Nakba, la catastrofe d’essere stati cacciati nel ’ 48, con una guerra che invece minava l’esistenza stessa dello Stato d’Israele. Commemorarla adesso, significa aderire a quel significato. E farsi strumentalizzare. La rivendicazione del loro diritto al ritorno è legata al negoziato, non ha nulla a che fare con le guerre che i regimi arabi scatenarono per cancellare Israele. Però mi pare che ora ci sia un altro obbiettivo. E le prossime settimane, almeno finché Assad avrà problemi interni, mi aspetto altri scontri» . Netanyahu ha minacciato addirittura un intervento armato in Siria. «Una guerra sarebbe un errore enorme, in questo Medio Oriente che cambia. Non credo che qualcuno abbia interesse a farla» .

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