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Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 06/06/2011, a pag. 5, la cronaca di Francesco Battistini dal titolo " Tentano di forzare il confine del Golan, Israele spara. Venti palestinesi uccisi ", preceduta dal nostro commento, la sua intervista a Eyal Zisser dal titolo " Così Assad cerca di nascondere la sua repressione ". Dalla STAMPA, a pag. 19, la cronaca di Aldo Baquis dal titolo "Golan, fuoco israeliano sui palestinesi. E' strage", preceduta dal nostro commento. CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Tentano di forzare il confine del Golan, Israele spara. Venti palestinesi uccisi "
La cronaca di Francesco Battistini è un concentrato di ostilità contro Israele, a partire dalla prima frase : "La promessa era: spareremo". Come se l'obiettivo principale di Israele fosse ammazzare gente ai suoi confini. Battistini descrive i soldati israeliani come 'cecchini' e sostiene che i palestinesi fossero disarmati. Peccato che poi si contraddica descrivendo le loro bottiglie molotov. Sullo scopo dei palestinesi, non una parola. Meglio descriverli come 'pacifici e disarmati'. Perchè tentavano di entrare in Israele illegalmente? Che cosa avrebbero fatto una volta entrati? Silenzio, non una parola al riguardo. E perchè Israele dovrebbe mettere a rischio la vita dei propri cittadini? Qualunque Stato normale, se viene invaso si difende e lo fa con l'esercito, non è chiaro per quale motivo Israele dovrebbe fare eccezione. Anche Repubblica punta contro Israele e titola l'articolo di Fabio Scuto "Golan, Israele spara sui dimostranti al confine venti morti e 300 feriti ". L'esercito spara su semplici manifestanti. Il fatto che le loro intenzioni fossero tutt'altro che pacifiche e che fossero armati di bottiglie molotov non ha importanza. La promessa era: spareremo. «Si rischiano altri morti» , aveva detto mercoledì l’Onu. «In casi eccezionali, siamo pronti anche a mandare truppe dentro la Siria» , aveva avvertito giovedì il premier Bibi Netanyahu. «Non ci faremo più sorprendere» , aveva ripetuto venerdì il capo dell’esercito, Benny Gantz. «L’ordine è di tirare su chiunque tenti d’attraversare il confine» , aveva ribadito sabato sera la radio militare. Ieri mattina, Naksa Day, la giornata che ricorda la sconfitta araba nella guerra dei Sei giorni, non appena centinaia di palestinesi e di siriani sono arrivati alla frontiera di Majdal Shams— quella che avevano già sfondato per celebrare il Nakba Day, 15 maggio, la data che commemora la «catastrofe» dei palestinesi esiliati nel 1948 —, dagli altoparlanti del Golan occupato, ecco l'ultimo altolà: «Chi ci prova, sarà ucciso!» . Qualcuno ci ha provato: a tirare giù le barriere rinforzate, a superare le nuove trincee e i campi minati di fresco. I cecchini hanno cominciato subito: a tirare. «Alle gambe» , dicono gl’israeliani. «Alla testa» , risponde Damasco. Due tentativi d’entrare, il più massiccio nel pomeriggio a Quneitra. Lacrimogeni e molotov. Nessun dimostrante armato. Mine che esplodevano, «i soldati che sembrava facessero il tiro al tacchino» , racconta un coltivatore di mele, Fuad al-Shaar. Un’altra domenica di sangue. Con una sparatoria di cifre: 20 morti, nella contabilità siriana, compresi una donna e un bambino, e poi 325 feriti. Venti feriti, a sentire Gerusalemme, e il bambino che sarebbe caduto da un balcone. Dalla Nakba alla Naksa. Una lettera cambia la storia che si ricorda, non la cronaca che si racconta. Venti giorni e quattordici morti dopo, la Giornata della Sconfitta è sicuramente diversa dalla Giornata della Catastrofe in due dettagli: che s’è provato a sfondare solo dalla Siria e che, stavolta, nessuno ce l’ha fatta. Un negoziato Onu fra esercito libanese e israeliano, lunedì scorso, aveva spinto il governo di Beirut a impedire una nuova marcia sul confine: per commemorare la Naksa, i 12 campi profughi si sono accontentati d’uno sciopero generale. Stesso accordo in Cisgiordania e a Rafah, il confine con Gaza che l’Egitto ha aperto una settimana fa e già richiuso, dopo la scoperta di palestinesi che importavano armi da Alessandria. Ma quando sul web era partito il nuovo tam tam che invitava anche i 500 mila palestinesi della Siria a muoversi «per una Terza intifada» , dal regime di Assad era arrivato solo un generico invito a non marciare. Troppo poco, per fidarsi: esercito allertato, aveva spiegato il generale Gantz, «perché abbiamo imparato la lezione» . La «provocazione di elementi estremisti» è evidente, dice ora Netanyahu, Damasco soffia sul fuoco di questa protesta per distogliere gli sguardi dagli oppositori che sta massacrando: ieri, in due città del nord della Siria, Jisr a l -S h u g h o u r e K h a n Sheikhoun, le forze di sicurezza siriane hanno fatto 35 morti. «Profondamente inquieti» , si dicono anche da Washington, dove s’invitano le parti a non alzare il livello di scontro e a «evitare ogni provocazione» . Da tre giorni, il Golan è zona militare chiusa. Chi ci abita, respira aria di guerra. Le scuole del lato israeliano, chiuse. Sulla «Collina delle Urla» , il bordo siriano dove sono radunati i manifestanti, bivacchi e falò fino a notte. Non è finita: «Sulla scena mediorientale c’è un nuovo attore: la piazza — dice il generale Gantz —. Ci è chiaro che nei prossimi mesi saremo obbligati a fronteggiare altre dimostrazioni di massa. La nostra risposta sarà appropriata» . Questione di mesi? Domani, è l’anniversario dell’occupazione di Gerusalemme Est. Un altro X Day, se continua la strategia dei compleanni di sangue. La STAMPA - Aldo Baquis : " Golan, fuoco israeliano sui palestinesi. E' strage" La cronaca di Aldo Baquis è corretta, ma non si può scrivere altrettanto per la titolazione del suo articolo, nè per l'immagine scelta dalla redazione della Stampa per la prima pagina del quotidiano.
Nel 44mo anniversario della «Naksa» - la sconfitta degli eserciti arabi nella Guerra dei Sei Giorni del 1967 Israele si è trovato costretto a misurarsi con la nuova «arma segreta» del mondo arabo: le masse di dimostranti, per lo più disarmati, determinati a travolgere (come al Cairo, a Tunisi e a Sanaa) quanto si pari loro davanti. Ieri l’obiettivo da abbattere erano i reticolati di frontiera sulle alture occupate del Golan. CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Così Assad cerca di nascondere la sua repressione "
«Non è facile negoziare con Israele e meno ancora con Netanyahu. Capisco la disperazione dei palestinesi. Ma se la nuova strategia è attaccare le frontiere e usare il martirio dei rifugiati, far sì che Assad usi il loro diritto al ritorno, i palestinesi non andranno mai da nessuna parte. L’unica via è il negoziato» . Uno dei maggiori esperti israeliani di Siria, Eyal Zisser, direttore del centro studi strategici Moshe Dayan, s’aspettava questi morti: «L’esercito israeliano era pronto. Quando a centinaia cercano di sfondare il confine, cercando il martirio, qualunque Paese sparerebbe» . Ma non c’è altra via? È gente che chiede di rientrare in patria... «I morti sono una tragedia. Ma parliamoci chiaro: ha visto il mondo piangere i palestinesi uccisi il 15 maggio, giorno della Nakba? Il mondo e gli arabi per primi li hanno dimenticati subito, perché hanno capito che quei poveretti venivano usati per altri scopi: è evidente che il regime di Damasco ha interesse a muovere queste masse per distogliere l’attenzione del mondo. L’ultima volta, l’imbarazzo di Netanyahu è durato un giorno. Stavolta, durerà anche meno» . A che cosa puntano i palestinesi? «Fu Nasser a chiamare Naksa la disgrazia araba d’avere perso la guerra dei Sei giorni. E’ una cosa molto simbolica, in Siria. Ma i palestinesi non l’hanno mai commemorata. Questo perché sapevano che era pericoloso collegare la loro Nakba, la catastrofe d’essere stati cacciati nel ’ 48, con una guerra che invece minava l’esistenza stessa dello Stato d’Israele. Commemorarla adesso, significa aderire a quel significato. E farsi strumentalizzare. La rivendicazione del loro diritto al ritorno è legata al negoziato, non ha nulla a che fare con le guerre che i regimi arabi scatenarono per cancellare Israele. Però mi pare che ora ci sia un altro obbiettivo. E le prossime settimane, almeno finché Assad avrà problemi interni, mi aspetto altri scontri» . Netanyahu ha minacciato addirittura un intervento armato in Siria. «Una guerra sarebbe un errore enorme, in questo Medio Oriente che cambia. Non credo che qualcuno abbia interesse a farla» . Per inviare la propria opinione a Corriere della Sera e Stampa, cliccare sulle e-mail sottostanti lettere@corriere.it lettere@lastampa.it |
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