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Corriere della Sera - La Stampa Rassegna Stampa
11.04.2008 Non solo Vattimo
anche Angelo D'Orsi e Luciano Canfora firmano l'appello anti-Tibet

Testata:Corriere della Sera - La Stampa
Autore: Mario Baudino - Gianna Fregonara
Titolo: «No, non siamo tutti tibetani - Appello anti-monaci, 50 adesioni»

Nuovi firmatari dell'appello di Domenico Losurdo, al quale subito ha aderito Gianni Vattimo, contro il Tibet e a favore della repressione cinese.
(vedi il seguente link:
 http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=24191 )
Un altro odiatore di Israele, Angelo D'Orsi. Luciano Canfora, filologo e apologeta dello stalinismo.
Non ha firmato l'appello Sergio Romano, che però è intervenuto sul CORRIERE sostenendo che nella vicenda tibetana la Cina è dalla parte della modernità, i monaci tibetani sono dalla parte della reazione

Un articolo di Mario Baudino da La STAMPA:


C’è chi ha reagito anche solo per una questione di gusto, o di insofferenza verso il mondo dello spettacolo, come Carlo Ferdinando Russo, direttore della rivista Belfagor: «Mi ha colpito la messinscena hollywoodiana, con tutti quegli attori». E ha aderito subito al manifesto che lo storico Domenico Losurdo sta lanciando in questi giorni, contro le manifestazioni pro-Tibet, che secondo lui fanno parte di una colossale montatura. Nella generale mobilitazione a favore dei monaci tibetani e contro la repressione cinese, qualcuno comincia a farsi venire dei dubbi.
Si disegna fra gli intellettuali italiani, ancora con contorni sfocati, e molto differenziata ovviamente al suo interno, un’imprevedibile area del no, che va da Gianni Vattimo a Sergio Romano. Lo storico ed editorialista ha scritto proprio ieri sul «Corriere», rispondendo a un lettore, che quella tibetana è stata una «insurrezione conservatrice». Ha parlato di «furia devastatrice» da parte dei monaci, per concludere che «quello cui abbiamo assistito... non è, se non in parte, uno scontro fra democrazia e dittatura». Perciò «non è necessario essere marxisti o anticlericali per osservare che la Cina recita in questa faccenda, sia pure con i modi intolleranti di un regime autoritario, la parte della modernità, e che i monaci, come si sarebbe detto una vota, quella della reazione».
La presa di posizione è forte. Isolata? «Non so; le lettere che ricevo dei lettori sono per due terzi almeno dalla parte del Tibet e dei monaci». E gli «intellettuali», nella gran maggioranza, per ora tacciono, almeno che lui sappia. «Non sono affermazioni molto popolari, diciamolo», scherza l’ambasciatore. Chi invece non si tira indietro, molto più a sinistra, è ovviamente Losurdo. Ha dedicato alla storia cinese vari lavori, e non ha dubbi sul fatto che sia in corso una vera e propria aggressione contro la Cina. «Il problema del Tibet non va confuso con quello dei diritti umani - dice -. E la rivendicazione sul Tibet fa parte della storia cinese, non di quella del partito comunista». Questo non significa che sia perciò stesso commendevole. «Già, ma quante occupazioni ci sono, nel mondo, e ci sono state, nella storia? Perché usare due pesi e due misure?» Già, perché? «Perché non si può ignorare un aspetto geopolitico. Quando nel ‘51 la Cina ha proceduto alla cosiddetta “liberazione pacifica del Tibet” nessuno ha protestato. Gli Usa hanno sempre riconosciuto alla Cina nazionalista la sovranità su quel territorio».
Saremmo quindi di fronte a una montatura? «Questo non significa che non ci siano problemi. Ancora nel ‘98, secondo l’autorevole rivista Foreign Affairs, nella regione autonoma tibetana il 60-70 per cento dei funzionari erano di etnia, appunto, tibetana. E vigeva la pratica del bilinguismo. L’etnia han, cioè i cinesi, poteva fare per legge un solo figlio. I tibetani tre». Un Eden. «Non dico questo. Però lo riconosce anche Romano, che a Lhasa c’è stata una rivolta violenta, un pogrom. Come si fa a non capire questo? La verità è che l’America sta cercando di smembrare la Cina». E c’è di più, c’è una memoria razzista. «Il mito del Tibet contrapposto alla Cina l’ho trovato già in Gobineau, il teorico della razza. Tibetani ariani, quindi “bianchi”. Questa stessa mitologia passa per il nazismo e secondo me arriva anche a quanti oggi contestano le Olimpiadi nella piazza dell’Occidente». Non sarà un po’ troppo filocinese tutto questo? «Se si rilegge Huntington, Lo scontro delle civiltà, troverà che lo studioso americano diceva: “se dovesse riuscire davvero l’industrializzazione su larga scala della Cina, sarebbe il più grande avvenimento storico degli ultimi 500 anni”. Faccia i conti: si risale fino alla scoperta dell’America. Le sembra strano che qualcuno cerchi di impedire tutto questo?»
Al manifesto stanno aderendo in parecchi: per esempio l’antichista Luciano Canfora, o lo storico Angelo D’Orsi. Il quale non si avventura oltre, ma ribadisce una sua convinzione fondamentale: «Ci vuole cautela. Quella che sta trionfando è una versione dei fatti unilaterale e discutibile. Non sono un sostenitore della Cina, o della repressione, ma non si può presentare il Dalai Lama come il difensore della libertà e della democrazia. Il Tibet era uno stato teocratico, prima dei cinesi. E allora fermiamoci e proviamo a ragionare. Insinuiamo, com’è nostro dovere, il dubbio critico». Ipotizzando addirittura un complotto geopolitico? «Non sono uno specialista. Ma non escludo che si cerchi di mettere la Cina nell’angoletto, come si dice a Roma». Anche il comico Daniele Luttazzi, se è per questo, non è uno specialista. Ma, sul suo sito, sembra aver trovato la soluzione con una vignetta. Titolo: «Repressione in Tibet». Testo: «Dite a Veltroni che metta in lista un tibetano ma anche un cinese. Problema risolto».

Dal CORRIERE della SERA un articolo di Gianna Fregonara, che riporta alcune risposte all'appello anti- Tibet:

ROMA — «Vietate le Olimpiadi ai cani e ai cinesi». Si intitola così, prendendo polemicamente a prestito gli avvisi appesi fuori dalle concessioni occidentali in Cina alla fine dell'Ottocento, l'appello anti-Tibet di Gianni Vattimo e Domenico Losurdo. Che ieri ha raccolto oltre cinquanta firme di professori e intellettuali della sinistra radicale, tra i quali spicca quella dello storico Luciano Canfora accanto a quella di Massimiliano Marotta, presidente della Società di studi politici, degli storici Ugo Dotti e Angelo d'Orsi, del filosofo Guido Oldrini. Scrivono di un complotto, «un'indegna campagna di demonizzazione della Repubblica popolare cinese», orchestrato «dai governi e dagli organi di stampa decisi ad avallare il martirio interminabile del popolo palestinese» e pronti alla guerra preventiva e che avrebbero nella Cina il prossimo nemico contro cui scatenare «la nuova crociata», anche a costo di sostenere la costituzione di uno Stato teocratico in Tibet.
L'appello, che i due filosofi stanno diffondendo via internet, indigna non poco i radicali, che invece sulla questione Tibet sono mobilitati dall'inizio pur essendo contrari a ogni forma di boicottaggio dei Giochi olimpici: «Sono dichiarazioni che non hanno senso: con la Cina l'Occidente lavora, dopo l'11 settembre, in nome della lotta al terrorismo. Francamente l'antiamericanismo qui è mal riposto», replica l'europarlamente radicale Marco Cappato. «Di gesti belli, poetici, ne abbiamo fatti tanti nel '68 che oggi ci sembrano patetici e imbarazzanti, allora difendemmo dittatori e carnefici, oggi non dobbiamo più fare questi sbagli», suggerisce Vincenzo Cerami, responsabile cultura del Pd. Anche il politologo Gianfranco Pasquino ritiene che quelle di Vattimo e compagni non siano altro che «stupidaggini» scritte da chi pensa ancora con «testardaggine manipolatoria che l'Occidente debba scomparire»: «Per quanto riguarda la Cina, andrebbe fatto di tutto per tenerla ai margini della comunità internazionale. Mi auguro che la cerimonia di inaugurazione olimpica sia la più triste mai vista».

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