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La Stampa Rassegna Stampa
10.09.2018 Svezia: Monica Perosino ritratta, Jimmie Akesson ha ripulito il partito dai neo nazi
Oggi, un commento corretto

Testata: La Stampa
Data: 10 settembre 2018
Pagina: 3
Autore: Monica Perosino
Titolo: «Akesson, il sovranista che rifiuta le alleanze e mette paura all’Ue»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 10/09/2018, a pag.3 con il titolo "Akesson, il sovranista che rifiuta le alleanze e mette paura all’Ue" il commento di Monica Perosino.

Dopo il pessimo articolo di ieri, ripreso da IC (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999920&sez=120&id=71973), Monica Perosino oggi scrive un onesto ritratto del leader dei "Democratici svedesi" Jimmie Åkesson.

Ecco l'articolo:

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Monica Perosino

Il glaciale Jimmie Åkesson non riesce a nascondere un sorriso. È distante, composto come al solito, circondato dai suoi che lo proteggono dalla folla mentre entra al Kristal, un ristorante a Kungsgatan dove ieri notte si è celebrato il nuovo modello svedese. È lui il campione dell’ultradestra sovranista che in meno di dieci anni è riuscito a trascinare oltre la soglia sbarramento e fuori dall’infamia neonazista i suoi Democratici svedesi. Li ha ripuliti dalle svastiche e ha espulso i più impresentabili (che ora hanno creato l’Alternative för Sverige, perché Jimmie «ha perso tutti i denti e non morde più») e con il suo slogan ripetuto fino alla nausea - «La Svezia agli svedesi»- ha imposto una nuova idea di stato sociale. Quello esclusivo, che punta tutto sulla protezione dei cittadini scandinavi. Gli altri, fuori.

 

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Jimmie Åkesson

Gli avversari gli hanno sempre riconosciuto un grande talento: quello della perseveranza e della tenacia, in un Paese in cui l’80% degli elettori lo detesta o, nella migliore delle ipotesi ne ha paura, Jimmie ha fatto della coerenza un’arma. Il 39enne dello Skåne, figlio di un’assistente sociale e di un dirigente pubblico, ha cavalcato senza compromessi e con qualsiasi mezzo quel malessere, prima latente e poi sempre più manifesto, causato dalla crisi dei migranti del 2015, quando la Svezia accolse in pochi mesi oltre 160.000 migranti (su una popolazione di dieci milioni).

Dalle scorse elezioni del 2014, in cui gli Sverigedemokraterna fecero il grande salto passando dal 5,7% al 12,9% dei voti, Jimmie ha capito che la strada era quella giusta: ha cavalcato gli scontri tra le gang nordafricane del Sud della Svezia, diffuso i dati sugli stupri «quadruplicati» collegandoli all’ingresso nel «Paese di decine di migliaia di stranieri». Il suo «Sweden First» ricordava sempre più da vicino l’«America First» di Trump, e quello che l’allora candidato presidente diceva - «Guardate cosa è successo l’altra notte in Svezia»-, è stato fatto suo da Jimmie. Stessa sorte per le «no gone zone» svedesi stampate sulle brochure elettorali di Orbán durante la sua ultima campagna elettorale e riprese di Democratici svedesi come prova della «dissoluzione del benessere svedese attaccato dagli immigrati».

Nonostante il risultato eccezionale della formazione sovranista che punta a spingere il governo, qualunque esso sia, ad aumentare i respingimenti alle frontiere, a limitare i permessi di soggiorno e a ridurre drasticamente l’assistenza sanitaria agli stranieri, i giochi veri si apriranno solo da fine settembre, quando verrà nominato lo o la speaker che avrà il difficilissimo compito di consultare i leader dei partiti e nominare un candidato a primo ministro, che dovrà formare il nuovo governo: l’unica cosa sicura è che la Svezia è destinata a un periodo di incertezza, con un governo di minoranza debole, la possibilità di elezioni anticipate e la minaccia più che realistica che saranno i Democratici svedesi a poter far saltare il banco in qualsiasi momento. Era già successo nel 2014, con la Finanziaria presentata dai socialdemocratici: l’opposizione di Jimmie Åkesson aveva bloccato la legge di bilancio del premier Löfven, e il Paese rischiò elezioni anticipate.

«La Svezia ha una lunga tradizione di governi di minoranza - spiega Li Bennich Björkman, analista politica dell’Università di Uppsala -, e a differenza di altri Paesi, sono di solito molto duraturi». Questa volta però la stabilità è meno vicina: tutti i partiti dell’arco parlamentare, tranne i Cristianodemocratici, hanno escluso qualsiasi alleanza con l’ultradestra di Åkesson, tanto che una delle ipotesi - inedite per Stoccolma - è una Grande coalizione su stampo tedesco. Jimmie di coalizioni, alleanze e sostegno esterno «agli altri», non vuole parlare. Pochi giorni fa assicurava in un comizio: «Non ne avremo bisogno».

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direttore@lastampa.it

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