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La Stampa-Corriere della Sera Rassegna Stampa
09.09.2018 Svezia: Stampa e Corriere a confronto, oggi le elezioni
Monica Perosino si schiera, Francesco Battistini - da Premio Pulitzer- esamina i fatti

Testata:La Stampa-Corriere della Sera
Autore: Monica Perosino-Francesco Battistini
Titolo: «Linde: servono nuove alleanze anti-populisti- Alby, la piccola Bagdad svedese dove anche la polizia ha paura»

Riprendiamo oggi, 09/09/2018 due servizi sulle elezioni che si tengono oggi in Svezia dalla STAMPA e dal CORRIERE della SERA, preceduti da un nostro commento.

L'inviata della Stampa, Monica Perosino, sin dal primo articolo, lasciava capire chi erano i' buoni 'e chi i 'cattivi', mischiare cronaca e opinioni personali è sempre un errore professionale.  Come si evince dalla intervista con Ann Lindem socialdemocratica. Se l'avesse condivisa con un esponente dei Democratici Svedesi avrebbe scritto un buon servizio. Così non è stato.
Il pezzo di Francesco Battistini, se in Italia ci fosse il Premio Pulitzer, lo meriterebbe. Coraggioso, raccontà una realtà che i nostri media, cartacei e visivi, nascondono con estrema cura; il lettore si rende conto del perchè oggi in Svezia il partito di Jimmie Akesson otterrà un risultato sorprendente.

Ecco i due servizi:

La Stampa-Monica Perosino: " Linde: servono nuove alleanze anti-populisti "

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Monica Perosino

Ann Linde, ministra agli Affari Europei del governo socialdemocratico, si prende 18 minuti di pausa per mangiare qualcosa e mettersi in coda a Skarholmen per le operazioni del pre-voto. Sono le ultime, frenetiche ore di campagna elettorale. Tra una stretta di mano, un comizio improvvisato nel mercato rionale e molti abbracci, arrivano i dati deli ultimi sondaggi Sifo: i Socialdemokraterna perderebbero almeno 6 punti rispetto alle passate elezioni, e la coalizione che li ha fatti governare negli ultimi 4 anni sarebbe ben lontana dal poter formare un governo, anche di minoranza. Non solo, il partito dei Democratici Svedesi, sovranisti antimigranti e anti-Ue potrebbero diventare il secondo partito. Ministra Linde, la Svezia sta diventando la patria del populismo? «Non esageriamo. Iniziamo a dire che se anche gli Sverigedemokraterna di Jimmie Åkesson diventassero il secondo partito con il 20% dei voti c’è pure sempre l’80% di svedesi che non li vuole. Concentriamoci su di loro, e su quelli che non siamo riusciti ad ascoltare. Dobbiamo capire le loro paure, quelle su cui hanno fatto leva i populisti con armi demagogiche che purtroppo funzionano, e voi in Italia lo sapete bene. In questo senso sì, anche la Svezia è stata contagiata da quell’onda di populismo che non ha risparmiato quasi nessuno in Europa». Il premier Löfven mette in guardia contro «le forze oscure che si stanno mobilitando», come pensate di contrastare l’avanzata dei populisti? «Mobilitandoci a nostra volta, a livello nazionale e nella Ue, con gli altri partiti del gruppo socialista e non solo. Servono nuove alleanze. La battaglia è iniziata. In Svezia è una battaglia di valori, quelli che ci hanno fatto diventare la patria dello Stato sociale, che hanno garantito il welfare per tutti, non solo per gli svedesi. Sul lungo periodo credo che la bolla demagogica esploderà e che, con il tempo, saranno i valori reali ad emergere». Parla di una mobilitazione anti-populista a livello europeo, ma Åkesson vorrebbe la Swexit. «Peccato che il signor Åkesson non tenga in considerazione due fattori fondamentali: il 70% degli svedesi si dichiara europeo, soprattutto dopo aver visto cosa è successo nel Regno Unito con la Brexit. Poi occorre considerare che le ricadute economiche negative sarebbero notevoli: si perderebbero 73.000 posti di lavoro, e il settore dell’export, tra i più produttivi del Paese, con il 50% del Pil, verrebbe colpito gravemente». Uno dei temi su cui puntano – e con cui vincono - i sovranisti è l’immigrazione. In che cosa avete sbagliato? «Il nostro errore è stato quello di fidarci. Credevamo davvero nel meccanismo delle quote. La nostra strategia era: accogliamo e poi ridistribuiamo. Nessuno a Stoccolma avrebbe mai creduto che alcuni Stati, come il blocco di Visegrad, avrebbe rifiutato di prendersi la propria responsabilità. Siamo stati ingenui». Cosa succederà da stasera? «Temo che i Socialdemocratici non saranno al governo. Conquistare il 25% sarebbe già una vittoria». La Svezia è famosa per i suoi governi di minoranza… «Questa volta non ce la faremo, e un’alleanza con il Partito della Sinistra, che è in forte crescita, è esclusa: abbiamo molte cose in comune ma loro sono antieuropeisti. Per noi l’unica possibilità è una coalizione con i Verdi, i Liberali e il Partito di Centro». Tutti i partiti hanno detto che non stringeranno alleanze con i Democratici Svedesi. Sarà possibile? «Probabile che non entrino in coalizioni, ma una cosa sono le alleanze, un’altra è il sostegno esterno. I Ds avranno molto peso in ogni caso»

Corriere della Sera-Francesco Battistini: "Alby, la piccola Bagdad svedese dove anche la polizia ha paura"

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Francesco Battistini          Stoccolma, quartiere Alby

ALBY (Svezia) Era una bella Saab. «L’avevo comprata coi soldi che m’aveva lasciato mio padre». Una sera gliel’hanno incendiata proprio sotto casa, dietro il piazzale dell’Alby Centrum. «Ci sono stati degli scontri con la polizia». Dalla finestra, l’impiegata di banca Tove Friedriksson ha visto tutto: le proteste degli iracheni, le molotov, i lampeggianti blu, le cariche casco&manganello, gli arresti. «Non sono uscita di casa, perché ho avuto paura. Ma la mattina dopo, sì. Vado a fare la denuncia dei danni. E siccome all’assicurazione servono i dettagli, chiedo qualcosa degli arrestati». Niente nomi, dice la polizia. «E quelli dei loro avvocati?». Niente. «Ma sono stati gli arabi o gli africani?». È a quel punto che il poliziotto alza gli occhi: che razza di domanda, «l’etnia non possiamo comunicarla». Vietato chiedere: «Ho rischiato una denuncia per razzismo e xenofobia. Dichiarare che è stato un immigrato a bruciare l’auto, è un’informazione impropria. Va contro la legge». Se domattina vi chiederete perché la Svezia alle urne ha castigato dopo un secolo i socialdemocratici della tolleranza totale, premiando la destra intollerante, Tove ha qualche risposta. Indovinate oggi per chi vota lei. Ad Alby fa sorridere l’altissima media nazionale d’accoglienza dei profughi, uno ogni cinque svedesi: in questo sobborgo alla penultima fermata della linea rossa, venti chilometri a ovest e migliaia d’anni luce dal centro di Stoccolma, gli svedesi-svedesi come Tove sono uno su dieci. L’11 per cento. Mosche bianche. Sperdute fra alveari marroni edificati negli anni delle guerre balcaniche, dei massacri africani, delle fughe afghane, delle agonie mediorientali. Diecimila abitanti, cinquemila appartamenti riservati ai rifugiati: Alby, Norsborg, Hallunda ormai li chiamano Little Bagdad, Little Mogadiscio, Little Sudan. La squadra di calcio del quartiere è il Konya, come la città dei dervisci, e ha la stessa divisa biancoverde del Konyaspor turco. Nella scuola elementare non si festeggia mai il Natale, per non discriminare la stragrande maggioranza musulmana. Nei fast food non si trova il bacon. E se negli anni 80 c’era un asilo no gender fiorito dalla pedagogia egualitaria e socialdemocratica, di quelli che proibiscono di fare distinzioni discriminatorie e politicamente scorrette fra maschietti e femminucce, ora in piscina si nuota separati per sesso e le mamme ci entrano velate. La disoccupazione è al 70 per cento, contro la media nazionale del sei. Un tempo, qui si veniva a fare il bagno sulle rive dell’Albysjon, a pedalare nei boschi, a vedere dove aveva la villa il signor Ericsson, quello dei telefonini. Oggi, Alby è stata dichiarata una delle otto «no go zone» vulnerabili del Paese, gang e spaccio, dove la sera i pompieri non sempre vanno se li chiamano e anche i poliziotti stanno all’occhio: «L’auto di servizio non dobbiamo mai posteggiarla lontana — dice l’agente Roger Kampe, in servizio da sette anni —, perché te la trovi danneggiata. E l’ordine è di girare sempre in due o tre, mai da soli». In un garage, a marzo è stato scoperto un deposito d’esplosivo, «roba da professionisti». Sugli ascensori dei palazzoni, le scritte in arabo inneggiano a qualche guerra santa. Un ragazzino di 16 anni è stato accoltellato in pieno giorno, un mese fa, davanti al centro commerciale: «C’erano almeno trenta testimoni, nessuno ha visto nulla». Ad Alby, governano da sempre le sinistre. Ma stavolta non si sa. I postfascisti di Svezia Democratica, annunciati vincitori di queste elezioni politiche, qui non mettono piede. Non si vede un manifesto di Jimmie Akesson, il Salvini che vuole rispedire a casa i migranti e sull’esistenza di posti così sta costruendo la sua fortuna politica. L’imam non ha voglia di parlare coi giornalisti, da quando l’hanno messo in mezzo con una telecamera nascosta (si vede un candidato locale della sinistra garantire tremila voti sicuri a un alleato di lista, «alla preghiera l’imam convincerà i musulmani a votare te, e tu in cambio gli costruirai la nuova moschea...»: tutta acqua al mulino di Jimmie lo spaventastranieri). Venerdì sera il sobborgo era mezzo deserto, tutti a guardare Jimmie Akesson nell’ultimo confronto elettorale in tv. E sentirlo parlare di posti come Alby. Parole pesanti: «Lo sapete perché quella gente non trova lavoro? Perché non s’adattano alla Svezia. E non sono svedesi». Urla, fischi, buuu. Nessuno ad Alby voterà mai Jimmie. «Ma qui siamo in Medio Oriente», dice Tove. E fuori di qui c’è una Little Svezia che non vuole diventare una grande Bagdad.

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