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Il Venerdì di Repubblica Rassegna Stampa
07.02.2014 La nuova invenzione della propaganda contro Israele: il popolo gazawi
in un pezzo di Chiara Cruciati che sembra scritto sotto dettatura di Hamas

Testata: Il Venerdì di Repubblica
Data: 07 febbraio 2014
Pagina: 32
Autore: Chiara Cruciati
Titolo: «Dentro i tunnel segreti tra Gaza e l'Egitto»

Riportiamo dal VENERDI' di REPUBBLICA di oggi, 07/02/2014, a pag. 32, l'articolo di Chiara Cruciati dal titolo "Dentro i tunnel segreti tra Gaza e l'Egitto".


Uno dei prodotti 'necessari alla sopravvivenza' che passavano nei tunnel da Gaza all'Egitto: il pollo fritto della catena americana KFC
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=4&sez=120&id=49197

Nell'articolo Cruciati descrive la situazione dei tunnel di Gaza, ora bloccati  dall'Egitto.
Come mai i tunnel sono così necessari?
Secondo Cruciati per la sopravvivenza dalla popolazione di Gaza, chiusa in una sottile Striscia di terra divenuta 'prigione a cielo aperto' per colpa del governo di 'Tel Aviv'.
Interessante notare la nuova invenzione della propaganda contro Israele: il popolo gazawi. Non si tratta più di 'popolo palestinese' (altra fortunata creatura della propaganda araba contro Israele): a Gaza è nato un nuovo popolo, ovviamente vessato da quello ebraico.
Sul perché Israele abbia imposto un embargo a Gaza, silenzio. C'è qualche vago accenno alle armi di contrabbando, niente di più. Razzi contro Israele? Nemmeno una sillaba, potrebbero far pensare al lettore che Israele non ha torto a tenere isolati i terroristi della Striscia.
Per altro, notiamo che secondo Cruciati a Gaza la popolazione muore di fame, ma c'è gente che è stata in grado di investire 150.000$ in un solo tunnel di contrabbando.
Più che un articolo sembra un bollettino scritto sotto dettatura dell'addetto stampa di Hamas.
Ecco il pezzo:

RAFAH (GAZA). Una distesa di tendoni ricopre la striscia di terra tra le ultime abitazioni e la rete elettrificata. Al di là si scorgono le prime case e una moschea Ci fermiamo all'ingresso a un posto di blocco: nel casotto con la vernice bianca scrostata dall'umidità, un poliziotto sonnecchia con i piedi appoggiati alla scrivania Un altro si avvicina: «Non si passa, area vietata». La nostra guida insiste. E poliziotto si convince e ci affida a un giovane collega per controllarci: nessuna fotografia. Siamo a Rafah, estremo confine Sud di Gaza, di fronte a uno degli innumerevoli tunnel scavati dal popolo gazawi per raggiungere  l'Egitto e rompere così l'embargo che dal 2007 Israele impone contro la Striscia. Da cinque anni le gallerie illegali sono l'unica porta verso il resto del mondo, il solo strumento in mano a una popolazione di un milione e 700mila persone per tenersi aggrappata alla speranza di sopravvivenza. Una striscia di terra conosciuta da tutti, qui a Gaza, ma allo stesso tempo quasi segreta, nascosta, alla quale è difficile accedere: ingresso vietato ai giornalisti, se non dopo lunghe procedure e richieste di permesso alle autorità di Hamas. Ci fanno segno di entrare. La prima parte del tunnel è scoscesa, senza punti di appoggio. C'è un odore stantio, di umidità e di sudore. La galleria buia si illumina grazie a lampadine collegate con delle prolunghe al tendone. E tunnel è largo non più di tre metri e alto un metro e mezzo, così che per passare occorre piegarsi. Hanno messo delle barre di legno per sorreggere la precaria struttura. Da fuori il poliziotto ci autorizza a scattare una foto, ma dice di farlo in fretta per non essere visti dalla sicurezza. Usciamo. I due operai ci seguono e ci accompagnano nel tendone vicino. Anche il poliziotto ci segue, lo sguardo imperturbabile. Qui lo spazio è più ampio del precedente. Un gruppo di uomini è seduto a terra per il pranzo: hummus, pane e cetrioli. Un uomo ci fa sedere sopra il tappeto sfilacciato: fuma sigarette di contrabbando e ci offre Coca Cola, mentre ci mostra la sua creatura, il tunnel dove ha lavorato sei mesi e investito 15Omila dollari. Altri due operai escono dalla galleria: la stanno ricostruendo dopo un allagamento. Sembrano stanchi: si avvicinano al tank dell'acqua, si sciacquano le mani e raggiungono gli altri per il pranzo. Tutti restano in silenzio. La giornata di lavoro riprenderà tra poco. Ad allagare il tunnel con acque di scarico è stato il governo egiziano. La galleria è uno degli oltre mille corridoi sotterranei costruiti a Rafah dai palestinesi di Gaza per aprirsi un varco verso l'esterno e far arrivare nella Striscia cibo, animali, automobili, carburante, sigarette e - argomento del quale si preferisce non parlare - le armi. Fino a dieci anni fa gli ultimi metri di territorio palestinese, tra Gaza e l'Egitto, ospitavano abitazioni civili. Poi, dal 2000 al 2004, l'esercito israeliano ha raso al suolo oltre 2.500 case in tutta la Striscia, di cui due terzi a Rafah, 16mila persone hanno perso la loro casa. Oggi, in quella striscia di terra il popolo gazawi tenta di spezzare l'embargo imposto da Israele: si scorgono decine di tendoni colorati, sotto i quali sono stati costruiti i tunnel sotterranei. «Dal 2007, dopo la presa del potere di Hamas a Gaza, Israele ha posto la Striscia sotto embargo completo» ci spiega SamiAbu Ornar, la nostra guida. «Due annii terribili: mancava tutto. La gente faceva ore di fila per un sacco di farina. Non c'erano medicine, carburante, vestiti, scarpe. Quel poco che si trovava, aveva prezzi quasi inaccessibil ».«Eravamo diventati come animali. Mangiavamo, ma non potevamo fare altro. Ci facevamo i piatti con la terracotta. I miei figli mi chiedevano una bottiglia di Sprite o di Coca-Cola. Introvabili. Mera sopravvivenza, ma nessuna vita». I primi tunnel furono costruiti dal popolo gazawi nel 2009 per raggiungere l'Egitto e importare i beni di prima necessità. Le gallerie si moltiplicano, ognuna di grandezza diversa: nelle più piccole, larghe un paio di metri, cibo e cemento sono trascinati da cavi mossi da un motore alla fine del tunnel. Delle armi, nessuno vuole parlare. Le gallerie più grandi, per automobili e camioncini, arrivano ai 4-5 metri di larghezza. Le più tecnologiche, hanno veri e propri binari. Tutte sono illuminate da luce elettrica e rafforzate con barre di legno. Una prevenzione che a volte non è bastata: oltre 170 lavoratori palestinesi sono stati uccisi dai crolli. «I tunnel sono privati» continua Abu Ornar. «Si affitta il terreno della famiglia che qui prima aveva la propria casa. Poi si costruisce il passaggio: cinque o sei mesi di lavoro e costi che superano i l00mila dollari. Il proprietario si accorda con le famiglie egiziane proprietarie del terreno su cui sbuca il tunnel e a cui va la metà del profitto. Il palestinese, invece, prende i soldi dell'affitto, pagato da compagnie o privati che richiedono un certo materiale. Una tonnellata di beni di prima necessità costa sui mille dollari, un'auto tremila». Il giro di affari consistente e la concreta possibilità di aggirare l'embargo hanno attirato l'attenzione del governo de facto della Striscia: Hamas ha presto preso il controllo dei tunnel, imponendo tasse e costruendo magazuna delle entrate in territorio palestinese zini di stoccaggio per il materiale in arrivo. Il 3 luglio scorso, però, la deposizione del presidente Morsi, leader dei Fratelli musulmani in Egitto, ha cambiato le cose. Il nuovo governo militare ha accusato Hamas di sostenere con armi e miliziani l'ex regime islamista. In pochi mesi l'esercito del Cairo ha distrutto oltre 1100 tunnel. Il confine ufficiale di Rafah apre solo un paio di giorni ogni due settimane e solo una decina delle gallerie sotterranee restano ancora attive. «Ormai entrano solo sigarette. Prima arrivavano 6-7mila tonnellate di cemento al giorno» commenta il gestore della prima galleria che visitiamo. «Si lavorava 24 ore su 24. Una tonnellata di cemento costava 700-750 dollari, oggi arriva a 2.500». Il cemento non c'è e lo si vede dai tanti cantieri senza operai, fermi in attesa del materiale edilizio. Sono rimasti senza lavoro 30mila operai del settore delle costruzioni e dell'indotto, dai tunnel ai trasporti: almeno 200mila persone oggi non hanno alcuna entrata. «Questa galleria era lunga un chilometro, ma è stata distrutta dall'esercito egiziano. L'abbiamo ricostruita, ora arriva a 200 metri» racconta il proprietario del secondo tunnel. «La usavamo per il cemento, ne facevamo entrare 250 tonnellate al giorno. Gli operai sono pagati a settimana. Prima il salario era di 100 dollari, ora di 30, perché i guadagni sono crollati. Ho costruito il tunnel nel 2011, ho investito 150mila dollari. I primi due anni ho lavorato bene e ho coperto metà dell'investimento iniziale. Dopo la caduta di Morsi, è diventato solo una spesa». A rischio mille imprese e un business che garantiva a Gaza 230 milioni di dollari al mese, secondo il ministero dell'Economia di Hamas, che sta tentando di trovare un accordo con il Cairo: chiusura dei tunnel in cambio di vie ufficiali di commercio. Così ora Gaza deve combattere non solo l'embargo israeliano, ma anche le restrizioni egiziane. Kerem Shalom, unico passaggio al confine con Israele, è un valico piccolo e gestito completamente da Tel Aviv, che decide cosa entra e quando. E Gaza resta in prigione.

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