domenica 19 maggio 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






La Repubblica Rassegna Stampa
17.05.2013 A Gaza chi muore di fame spende 27$ per il pollo fritto americano
non era una 'prigione a cielo aperto' ?

Testata: La Repubblica
Data: 17 maggio 2013
Pagina: 17
Autore: Fares Akram
Titolo: «Nel tunnel del pollo fritto, così Gaza sogna la normalità»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 17/05/2013, a pag. 17, l'articolo di Fares Akram dal titolo "Nel tunnel del pollo fritto, così Gaza sogna la normalità".


Nei tunnel di Gaza, borse da Kentucky Fried Chicken

Gli abitanti di Gaza chiedono 'normalità' e democrazia.
Il contrabbando di pollo fritto rappresenterebbe entrambe le cose ?
Se questa è la prima richiesta delle 'vittime' della 'prigione a cielo aperto', forse sarebbe il caso di riflettere su che cosa sia realmente una prigione.
Sui media anti israeliani la popolazione di Gaza 'muore di fame', non ha la luce elettrica, è senza soldi. In questo articolo si legge che c'è chi spende 27$ per un cestino di pollo con patate fritte.
Non morivano di fame? Questa è la priorità di chi, in teoria, non ha nemmeno la luce elettrica?
Perchè i nostri giornaloni non ci raccontano  come si vive davvero a Gaza ?
Ecco il pezzo:

GAZA — Le patatine fritte arrivano mollicce, la croccantezza del pollo è ormai un ricordo. Un cestino da 12 pezzi costa circa 27 dollari, più del doppio di quello che costa dall’altro lato del confine, in Egitto. È fast-food, ma è tutto fuorché fast: ci sono volute quattro ore, qualche giorno fa, perché il pollo fritto ordinato al Kentucky Fried Chicken di el-Arish, in Egitto, arrivasse qui a Gaza, passando per due taxi, un confine internazionale, un tunnel sotterraneo usato per contrabbandare merce varia e un giovane imprenditore che coordina il tutto da un negozietto di Gaza chiamato Yamama (in arabo “piccione”). «Abbiamo il diritto di godere anche noi delle cose buone che mangiano nel resto del mondo», dice l’imprenditore in questione, il trentunenne Khalil Efrangi, che ha avviato la sua attività qualche anno fa, con una flotta di motorini che vanno a prendere il cibo nei ristoranti di Gaza e lo recapitano a domicilio: è il primo servizio di questo genere qui nella Striscia. Nessuna delle grandi catene di fast- food ha una filiale in questo lembo di terra palestinese di 360 chilometri quadrati e 1,7 milioni di abitanti lungo la costa del Mediterraneo, dove restrizioni in entrata e in uscita rendono difficile il passaggio di merci e persone e la disoccupazione è intorno al 32%. I palestinesi dicono che Gaza è sotto assedio da parte di Israele e l’isolamento è una delle cose di cui più si lamentano gli abitanti della Striscia. «La situazione insolita di Gaza genera un modo di pensare insolito nelle persone», spiega Fadel Abu Hin, professore di psicologia all’Università al-Aqsa di Gaza. «Pensano a tutto quello che sta appena dietro il confine, esattamente come il prigioniero che pensa a tutto quello che sta oltre le sbarre». Il professor Abu Hin ricorda che quando Hamas, il gruppo islamista che controlla la Striscia di Gaza, nel 2008 aprì il confine con l’Egitto durante il momento più drammatico dell’assedio israeliano, migliaia di palestinesi si riversarono a el-Arish per comprare medicine e prodotti alimentari di prima necessità, ma anche sigarette, dolciumi e cose di cui non avevano bisogno. Anche dopo che Israele ha allentato le restrizioni sulle importazioni, negli ultimi anni, a Rafah sono spuntati centinaia di tunnel illegali, usati per far entrare nella Striscia armi e persone, ma anche auto di lusso, materiali da costruzione e beni di consumo. E ora anche il pollo fritto. La filiale del Kfc di el-Arish, la cittadina egiziana appena oltre il confine meridionale di Gaza, è stata inaugurata nel 2011. Un’altra è stata aperta a Ramallah, in Cisgiordania. Questo e le onnipresenti pubblicità televisive della Kfc e di altre catene di fast-food, hanno stimolato la passione degli abitanti di Gaza per la ricetta segreta del colonnello Sanders. E così, dopo che Efrangi il mese scorso aveva portato indietro da el-Arish un po’ di pollo fritto per gli amici, le richieste hanno cominciato a fioccare. Nelle ultime settimane, Efrangi ha coordinato quattro consegne a domicilio per un totale di circa 100 pasti, realizzando un profitto di circa 6 dollari a pasto. Pubblicizza il servizio sulla pagina Facebook di Yamama e ogni volta che si raggiunge una massa critica di ordinativi mette in moto un complicato processo di coordinamento con le autorità per far arrivare il pollo fritto. L’altro giorno, dopo che Efrangi aveva fatto 15 ordinativi per telefono e pagato il Kfc di el-Arish con un bonifico, un tassista egiziano è andato a prendere il cibo. Nel frattempo, dall’altro lato del confine, Ramzi al-Nabih, un tassista palestinese, arrivava al checkpoint di Hamas a Rafah. Dal checkpoint, Nabih ha telefonato al suo collega egiziano e gli ha indicato il tunnel che il funzionario di Hamas aveva autorizzato a usare per la consegna. Dopo un po’ lo hanno fatto scendere con un ascensore 10 metri sotto terra e ha percorso a piedi metà del tunnel, lungo 200 metri, finché non ha incontrato due ragazzi egiziani che spingevano un carrello pieno di scatole e cestini di cibo, avvolti nella plastica. Nabih ha dato ai ragazzi l’equivalente di 16,50 dollari circa. Mezz’ora dopo, il cibo è stato caricato nel bagagliaio e sul sedile posteriore della sua Hyundai ed è partito per Gaza City. Arrivati allo Yamama, Efrangi ha distribuito i pasti fra i suoi motociclisti per la consegna a domicilio. Ibrahim el-Ajla, 29 anni, lavora per il servizio idrico di Gaza ed è uno di quelli che hanno ordinato il pollo del Kfc l’altro giorno: ammette che è più buono mangiarlo caldo e appena cucinato nel ristorante, ma dice che probabilmente ripeterà l’esperienza. «L’ho assaggiato in America e in Egitto, e mi manca quel sapore», dice. Il monopolio di Efrangi fra poco potrebbe finire. Adib al-Bakri, che possiede quattro fra Kfc e Pizza Hut in Cisgiordania, dice che ha avuto l’autorizzazione ad aprire un ristorante a Gaza. «Dobbiamo ottenere l’autorizzazione per rifornirci di pollo dagli allevamenti di Gaza secondo i criteri fissati dalla Kfc, dobbiamo assicurarci che lascino passare al confine le friggitrici, dobbiamo fare in modo che gli esperti della Kfc possano venire a Gaza ogni mese per le verifiche di rito», dice Bakri. Bakri non era a conoscenza del servizio di consegna a domicilio di Efrangi e storce il naso a sentire dell’odissea di quattro ore: «Noi, dopo mezz’ora il pollo lo buttiamo », dice.

Per inviare la propria opinione a Repubblica, cliccare sull'e-mail sottostante


rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT